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“Alle 8,55 circa del 16 marzo 1978, la Fiat 130… guidata dall’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci e con a bordo l’onorevole Aldo Moro e il capo della sua scorta personale, maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, mentre percorreva via Mario Fani, seguita dall’Alfetta… guidata dalla guardia di P.S. Giulio Rivera e con a bordo la scorta (brigadiere di P.S. Francesco Zizzi, guardia di P.S. Raffaele Iozzino), veniva improvvisamente bloccata da una Fiat 128 bianca, di tipo familiare… che retrocedeva da via Stresa verso via Fani:… l’auto dell’onorevole Moro veniva tamponata dall’autovettura di scorta. Immediatamente dalla Fiat 128 scendevano gli occupanti che, dispostisi ai due lati dell’auto dell’onorevole Moro, aprivano il fuoco contro i due carabinieri, Nello stesso tempo quattro individui, che indossavano divise del personale di volo dell’Alitalia, armati di pistole mitragliatrici, che avevano estratto da una grossa borsa nera ed appostati sul lato sinistro della strada, aprivano a loro volta il fuoco contro i militari che occupavano le due autovetture. Prima che potessero reagire, venivano uccisi i due autisti e il maresciallo Leonardi. La guardia di P.S. Iozzino, lanciatasi fuori dall’autovettura impugnando la pistola d’ordinanza, riusciva ad esplodere qualche colpo, ma veniva subito raggiunta ed uccisa dai proiettili sparati da altri due individui che si trovavano appostati tra le vetture in sosta. Il brigadiere Zizzi veniva gravemente ferito e decedeva poco dopo al Policlinico Gemelli ove era stato trasportato morente. Almeno altri due terroristi sorvegliavano la strada, disposti uno lungo via Fani, dietro autovetture posteggiate, l’altro, una donna, all’incrocio con via Stresa. L’onorevole Moro, rimasto leggermente ferito, veniva prelevato dalla sua autovettura e caricato su una Fiat 132 blu, sopraggiunta in quell’istante: essa si allontanava subito, con a bordo quattro terroristi”.

Questo il drammatico racconto con cui si apre la relazione della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla Strage di via Fani.

La sera di quel 16 marzo ero di ritorno da Napoli. Dopo il casello di Roma Nord trovammo l’A1 sbarrata da poliziotti in assetto di guerra. Fui costretto ad entrare in un’area di parcheggio, dove l’auto fu subito circondata. Vedersi i mitra puntati davanti al parabrezza e a destra e a sinistra delle portiere anteriori mi provocò un senso di inquietudine che ricordo come se tutto fosse accaduto ieri. Sì, l’Italia era in stato di guerra: una guerra anomala, una guerra interna dichiarata dalle Brigate Rosse alla Repubblica. Il ricordo di quella giornata drammatica e di tutti gli avvenimenti che seguirono (indagini, trattative controverse per liberare Moro, il suo assassinio 54 giorni dopo la strage, l’individuazione successiva dei responsabili e soprattutto la consapevolezza dei tanti errori compiuti) suggeriscono un momento di riflessione.

Le Brigate Rosse sorsero come spropositata e violenta reazione ad un sistema politico, economico e sociale attraversato da tensioni, contraddizioni e ingiustizie. La scelta di combattere “il male” con “il male” peggiore (la distruzione, la morte di persone innocenti come i cinque agenti della scorta di Moro), ritenendolo “un bene” solo per la sua presunta efficacia di cambiare le cose, rivela come spesso il desiderio di modificare le situazioni porti a scegliere strumenti che si rivelano peggiori del male stesso. Questo accade quando il desiderio di cambiamento si esprime con l’odio e la violenza. Quello che il Signore ci chiede ancora oggi, a quarant’anni di distanza da quell’evento, è di continuare a pregare per la nazione nella quale viviamo, di continuare ad essere in ogni contesto “la luce” e “il sale” e di adoperarci per realizzare “tutto il bene che noi possiamo compiere alla gloria di Cristo” (Fi v. 5).