Separazione!
Luca disegna il piano del Dio di Israele al mon do. A tutti i discepoli di Gesù viene assegnato un itinerario: da Gerusalemme a Roma.
Il fine è Roma, infatti negli ultimi anni della sua opera missionaria Paolo è a Roma e insegna a tutti quelli che vengono da lui (At 28:30), dopo il fallimento del suo ultimo incontro con i nota bili giudei della città (At 28:24), e anche da Roma viene ribadito un tema ricorrente negli Atti, riguardante Israele:
“Sappiate dunque che questa salvezza di Dio è rivolta alle nazioni; ed esse presteranno ascol to” (At 28:28).
La cristianità alla quale si rivolge Luca è separa ta dal giudaismo, egli scrive la sua opera per spiegare perché, pur avendo tante cose in comune, la chiesa e la sinagoga si sono separa te. In tutto il libro degli Atti, la diffusione del Vangelo va di pari passo con la progressione di un processo di separazione. Egli vuole dimo strare che il cristianesimo è nato da Israele, ma separato da esso, sebbene il Vangelo fosse destinato a Israele prima di essere offerto ai pagani.
Mi sarete testimoni
Come i discepoli prima dell’ascensione di Gesù, così i cristiani del tempo di Luca aspettano la
restaurazione del regno di Israele:
“Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?” (At 1:6).
La domanda è più che legittima dopo il parlare di Gesù “delle cose relative al regno di Dio” (At 1:3), ma vengono subito a sapere che il calen dario della fine è sottratto al loro sapere: “Non spetta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria autorità” (At 1:7). La risposta di Gesù non rifiuta la domanda, ma sostituisce all’attesa paralizzante del suo ritor no una messa in cammino:
“Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusa lemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (At 1:8).
Dalla risposta di Gesù emerge che il regno di Dio attende la testimonianza che deve essere resa su di esso fino ai confini della terra. I disce poli non riceveranno una sovranità per Israele, ma piuttosto il potere dello Spirito di Dio, la cui effusione produrrà l’effetto di abilitare a rende re testimonianza e a parlare con franchezza (At 4:29, 31).
Luca, pertanto, non disegna la sovranità per Israele, ma il piano del Dio di Israele al mondo. Alla testimonianza apostolica viene assegnato un itinerario: da Gerusalemme a Roma, passan do per la Giudea e la Samaria.
“Mi sarete testimoni” riepiloga il progetto di Gesù, riferito da Luca. Compito degli apostoli e di tutti i discepoli sarà quello di rendere testi monianza a tutti i popoli “di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare” (At 1:1).
Perciò la Parola di Dio deve diffondersi al di fuo ri di Gerusalemme. La domanda sul “tempo del la restaurazione di Israele” riceve la sua risposta definitiva con il mandato trasmesso ai testimo ni. Essa presuppone che il compimento finale non verrà subito, ma sarà preceduto da un tem po (più o meno lungo) nel quale sarà compito missionario rendere testimonianza a Gesù. Il compimento delle promesse, in senso tempo rale, verrà soltanto quando il messaggio dei testimoni avrà raggiunto nello spazio i confini della terra.
Anche alla domanda sull’ampiezza della salvez za viene data una risposta definitiva. L’ordine è stato già formulato da Luca nel Vangelo:
“nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedi mento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme” (Lu 24:47), e negli Atti comincia da Gerusalemme per poi espandersi. Così Luca delinea definitivamente lo schema di spazio di azione del Vangelo come di un fatto universale che ha un proprio svolgi mento continuato e dinamico in più tappe.
La salvezza non resta limitata a Israele, ma vie ne proposta prima ai Giudei e poi ai pagani, nasce per Luca il nuovo e il vero popolo di Dio che si forma man mano per la fede nel Cristo risorto, indipendentemente dalla razza, dalla tradizione religiosa e dalla posizione sociale: “Qui non c’è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti” (Cl 3:11).
Sotto il segno della continuità
Dopo l’effusione dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste, cominciano ad essere distri
buiti i primi carismi. Il primo dono dello Spirito è il dono della parola che equivale al dono di esprimersi nelle varie lingue parlate:
“Noi Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopo tamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia… li udiamo parlare delle grandi cose di Dio nelle nostre lingue” (At 2:911).
Lo smarrimento degli astanti per questo prodi gio, diventa lo spunto affinché Pietro si alzi, prenda la parola e predichi il primo messaggio pieno di Spirito Santo, che si conclude con un invito per tutti:
“Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito San to” (At 2:38).
Il messaggio di Pietro è sconvolgente, di fatto dimostra che i Giudei necessitano della salvez za per grazia tanto quanto i pagani.
Ma la novità più sorprendente è “il nome di Cri sto”, cioè il Messia che Israele ha rifiutato e cro cifisso e che ritorna nella sua nuova posizione di Risorto che perdona i peccati, una delle accu se che gli sono state mosse quando era in vita (Mr 2:7). Perciò la predicazione ha i suoi effetti (suscita la fede), ma anche i suoi limiti (quelli che accettarono… non tutti). La fede produce poi la comunione fraterna: “Tutti quelli che cre devano stavano insieme” (At 2:44), letteralmen te “sulla la stessa cosa” o “nello stesso luogo”, comunque indica l’accordo su una stessa dire zione, uno stesso progetto.
I nuovi aggiunti però non si accontentano del battesimo in acqua e della comunione fraterna, non restano semplici credenti di nome, ma si impegnano a vivere con perseveranza una vita che corrisponda alla chiamata ricevuta.
I dati che caratterizzano i credenti di Gerusa lemme sono quattro: la loro adesione all’inse gnamento degli apostoli, la forma di vita comu nitaria, lo spezzare il pane e le preghiere.
A tutto questo si aggiunge anche la vita cultua le che Luca specifica sotto il segno della perma nenza (ogni giorno), della perseveranza (assidui), della unanimità (concordi) e del luogo (il tempio).
I credenti in Cristo sono assidui al tempio, par tecipano con gli apostoli alle funzioni religiose del tempio, non c’è né contesa, né disprezzo. Israele, le Scritture, Mosè e i profeti non sono né dequalificati né confiscati all’uso esclusivo di Israele o dei credenti in Cristo. Anzi Luca non conferisce mai ai nuovi credenti il nome di “nuovo Israele”. Nei loro discorsi, gli apostoli e Paolo non smettono di ripetere che la venuta di Gesù e la sua risurrezione si collocano in confor mità con la parola profetica (At 2:2336; 3:1226; 13:2639).
La conclusione è d’obbligo: Luca indica ai nuovi convertiti dove si trova l’origine della loro fede, nella storia di Dio con Israele. Ai suoi destinata ri, cristiani essenzialmente di origine pagana e separati dalla sinagoga, Luca vuole far com prendere, da una parte che essi appartengono al popolo di Dio e quindi sono eredi delle pro messe della salvezza, e dall’altra che la separa zione dai Giudei è per i cristiani il frutto di una rottura indesiderata.
È il rifiuto di Israele ad accogliere la predicazio ne apostolica, a determinare la nascita di una Chiesa composta essenzialmente da credenti provenienti dal paganesimo, una Chiesa ormai ben distinta dal giudaismo.
In questa realtà nasce inevitabilmente la que stione aperta ancora oggi: con quale diritto una simile Chiesa, separata dal popolo eletto di Dio, può dichiararsi l’erede legittimo delle promesse fatte da Dio a Israele? Di conseguenza Luca si sforza di mostrare come lo sviluppo che ha por tato alla nascita della Chiesa e il rifiuto di Israe le, siano uno sviluppo nella continuità della sto ria della salvezza, tutto è stato annunciato per mezzo dei profeti. Non c’è dunque rottura (per il momento), ma continuità, quindi fedeltà al disegno divino.
Lo stesso rifiuto di Israele è un elemento di con tinuità, visto che in tutta la sua storia Israele si
dimostra come un popolo di collo duro (At 7:51), lo sarà anche nei confronti di Gesù (Lu 4:1630) e della predicazione cristiana (At 4:14) che non manca di rispettare la priorità di Israele:
“Era necessario che a voi per primi si annunzias se la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivol giamo agli stranieri” (At 13:46).
Se quindi ci sarà una rottura nella storia della salvezza, questa non sarà per colpa della Chie sa.
Dunque, tra Israele e i credenti dalla Penteco ste in poi, Luca costruisce una continuità teolo gica. L’uno dopo l’altro, i discorsi degli Atti lo ripetono: il Dio di Israele che ha risuscitato Gesù dai morti, ora chiama al pentimento e alla conversione (At 2:2236; 3:1326; 4:912; 7:253;
13:1741; 24:1415). In questa prospettiva si capi sce l’importanza data all’Antico Testamento, costantemente citato negli Atti e si capisce anche l’importanza assunta da Paolo considera to da Luca il vero fondatore delle comunità paganocristiane, colui che, più di tutti, ha attuato il programma missionario comunicato da Cristo agli apostoli (At 1:8).
Paolo viene mostrato come l’espressione più perfetta della continuità storicosalvifica tra Israele e la Chiesa delle nazioni, egli fariseo diventato apostolo di Cristo, non cessa di affer mare la sua immutabile fedeltà verso la Legge e Luca lo riporta alla fine del libro:
“Fratelli, senza aver fatto nulla contro il popolo né contro i riti dei padri, fui arrestato a Gerusa lemme, e di là consegnato in mano dei Romani” (At 28:17).
La presenza di Israele nell’ordine della salvezza è pienamente affermata, ma ormai la grazia concessa in Gesù si estende a chiunque crede (At 10:43; 13:3839,46). Così il popolo di Dio che si costituisce attorno al nome di Gesù Cristo è formato da Giudei e pagani.
giugno
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Paolo metterà definitivamente fine alla contro versia IsraeleChiesa:
“Noi tutti siamo stati battezzati mediante un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbe verati di un solo Spirito” (1Co 12:13).
C’è un solo corpo di Cristo oggi, è quello for mato da chiunque crede, chi non crede in Cri sto non fa parte del popolo di Dio, chi aggiun ge differenziazioni elettive (Israele) o di appar tenenza (denominazioni) si pone al di fuori del l’insegnamento del Nuovo Testamento.
I motivi della discontinuità
Luca ha delineato la vita cultuale dei credenti dicendo che essi “ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio” (At 2:46), ma introduce per la prima volta una polarità geografica, gli apostoli e i nuovi convertiti sono assidui al tempio, ma spezzano il pane nelle case (At 2:46).
Avviene uno spostamento molto significativo: l’attaccamento al tempio di Gerusalemme sim boleggia la continuità con Israele e le promesse della salvezza, il rompere il pane (il ricordo del Cristo crocifisso e risorto) a domicilio annuncia il ruolo che giocherà la casa nella quale si costruirà la chiesa, un progetto futuro secondo la promessa di Gesù: “Io edificherò la mia chie sa” (Mt 16:18), ma un progetto che comincia a realizzarsi.
Di tappa in tappa, nel corso degli Atti, la casa diventerà il luogo dell’accoglienza dei missio nari e il luogo dell’inserimento della salvezza nel cuore della vita quotidiana. Ben presto il tempio perde addirittura il primato come luo go di insegnamento: “E ogni giorno, nel tempio e per le case, non cessavano di insegnare e di portare il lieto messaggio che Gesù è il Cristo” (At 5:42). Dall’inizio alla fine: gli Atti degli apo stoli passano dal tempio alla casa romana pre sa in affitto da Paolo (At 28:1631), dove si tes seranno ormai i nuovi legami alimentati dal Vangelo.
Come mai questo spostamento? La motivazio ne risiede nel significato stesso del tempio di Gerusalemme: fu costruito da Salomone per essere la casa di Dio (1Re 8:20), ma al tempo di Gesù era diventato un covo di ladri (Mt 21:13). Il Signore aveva avvertito Salomone che l’infe deltà di Israele si sarebbe riversata anche sul tempio:
“Per quanto concerne questa casa, una volta così eccelsa, chiunque le passerà vicino rimarrà stu pefatto e si metterà a fischiare; e si dirà: «Perché il Signore ha trattato così questo paese e questa casa?». Perché hanno abbandonato il Signore, loro Dio” (1Re 9:89).
A quanto pare l’avvertimento non è stato ascol tato, da casa di preghiera, il tempio si era tra sformato in casa mercato, infatti si vendeva e si comprava, c’erano cambiamonete e venditori di colombe per i sacrifici (Mt 21:1213). Un po’ come avviene oggi nei grandi centri religiosi, alla maestà della costruzione si contrappone un sistema economico basato sulla vendita di oggetti religiosi. È in questo tempio che i cre denti vanno assidui, probabilmente fino alla sua distruzione definitiva nel 70 d.C. ad opera del futuro imperatore Tito per soffocare la rivolta degli Ebrei contro Roma.
La distruzione divenne ancora più radicale ses sant’anni dopo, quando Adriano rase completa mente al suolo Gerusalemme in seguito all’en nesima sommossa.
I Giudei si ritrovano privi del tempio, la gloriosa casa di Dio è un ammasso di macerie. Da un giorno all’altro, i riti sacrificali di purificazione e di riconciliazione sono aboliti. Insieme al tem pio spariva l’orgoglio di Israele, ma più ancora il luogo dove i credenti si riunivano per lodare Dio.
L’identità del giudaismo, fondata sui due pila stri del Tempio e della Torah, è cancellata par zialmente, rimane solo la Legge, la sola capace di cementare l’unità di un giudaismo ferito e la Sinagoga (nata già al tempo dell’esilio babilo nese) luogo che sostituirà il Tempio.
La prima causa di discontinuità tra i credenti e il giudaismo è proprio il tempio.
La casa di Dio non esiste più per motivi storici (distruzione da parte di Roma), per motivi geo grafici (la casa diventa il nucleo del radunamen to) e per motivi teologici (Dio non abita in tem pli costruiti da mani d’uomo, At 17:24). Se il pri mo spostamento va dal tempio alla casa, il secondo va dalle casa alla singola persona che crede: “come pietre viventi, siete edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1P 2:5). L’autore della let tera agli Ebrei aggiungerà “Cristo lo è (fedele) come Figlio, sopra la sua casa; e la sua casa siamo noi” (Ebr 3:6).
Il culto non è più statico legato a un luogo, ma dinamico a “quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore” (1Co 1:2). Da qui la costruzio ne dell’ekklesia che non è la casa di Dio, perché la casa di Dio non è un edificio fatto di mattoni o di pietre o di legno, ma un edificio spirituale fatto da persone nate di nuovo il quale serve da dimora a Dio per lo Spirito Santo. La pre senza di Cristo è dovunque due o tre sono riu niti nel suo nome (Mt 18:20).
La seconda causa di discontinuità tra i credenti e il giudaismo risiede nella predicazione apo stolica che avviene prima nel tempio e poi nelle sinagoghe. Luca continua il racconto del pro gresso del Vangelo presentando gli apostoli che, da una parte continuano a frequentare il tempio, predicando il Vangelo, dall’altra subi scono persecuzioni per il nome di Cristo.
giugno
giugno
Nel primo episodio (At 4:122), Pietro e Gio vanni sono trascinati davanti alle autorità reli giose di Gerusalemme perché hanno spiegato al popolo il motivo per cui il mendicante stor pio era stato guarito nell’area del tempio. Sono arrestati mentre parlano nel tempio. Il pretesto per l’irritazione è l’insegnamento al popolo della risurrezione di Gesù (At 4:2), sono rilasciati il giorno dopo con l’ordine “di
non parlare né insegnare affatto nel nome di Gesù” (At 4:18).
Le autorità religiose giudaiche non vogliono che si parli di colui che hanno crocifisso.
Iniziano di fatto i processi indetti dal giudaismo contro i credenti che hanno l’intento di mette re a tacere il messaggio evangelico.
Dopo la liberazione di Pietro e Giovanni, Luca racconta un secondo arresto di tutti gli aposto li (At 5:1718). Anch’essi miracolosamente libe rati dall’angelo, sono di nuovo catturati nel tempio dove insegnano al popolo (At 5:25) e condotti davanti all’autorità giudaica. Lo scon tro si fa sempre più acceso, al punto che i mem bri del sinedrio: “udendo queste cose fremevano d’ira, e si proponevano di ucciderli” (At 5:33). Solo dietro l’intervento saggio, pacificatore e prudente del maestro di Paolo, Gamaliele, gli apostoli sono rilasciati.
La persecuzione continua e assume toni di chiara violenza (At 6:88:4).
Stefano viene arrestato, il suo coraggioso e franco discorso davanti al Sinedrio produce la sua condanna a morte. In seguito alla sua mor te, la persecuzione invece di placarsi, accresce sempre di più, spingendo e disperdendo i cre denti al di fuori di Gerusalemme. Fuori Gerusa lemme la persecuzione non si affievolisce, Sau lo, diventato Paolo, sarà insieme a Barnaba e ad altri collaboratori perseguitato nei suoi viaggi missionari, fino a Roma dove troverà ancora una volta la diffidenza dei suoi fratelli giudei: “Alcuni furono persuasi da ciò che egli diceva; altri invece non cedettero” (At 28:24). Qui fini sce il Libro degli Atti, così come è cominciato: il rifiuto di Israele di accettare il Cristo e la per secuzione contro chiunque parla nel nome di Cristo.
Dalla discontinuità alla rottura
Accanto alla forte insistenza sulla continuità e discontinuità che accomuna il Vangelo alla sto
ria di Israele, Luca non nasconde l’avvenuta rot tura tra giudaismo e i discepoli di Cristo. Come ha fatto notare, subito dopo la Pentecoste, gli apostoli sono il bersaglio dell’ostilità del Sine drio che vuole farli tacere (At 25).
Stefano il primo martire è linciato dallo stesso Sinedrio a causa di un discorso nel quale ricorda la continua insensibilità di Israele durante la storia (At 7:153).
Saulo da Tarso, all’indomani dell’imprevedibile conversione sulla via di Damasco, diventa il ber saglio dell’ostilità ebraica (At 9:329).
Il copione si ripete ad Antiochia di Pisidia nella locale sinagoga, la sua predicazione è accettata da qualcuno, ma rifiutata dalla maggioranza che lo butta fuori, si rivolge allora ai pagani che accolgono con interesse la sua predicazione (At 13:4252).
La missione di Paolo è solo l’inizio di una lunga serie di offese il cui effetto è quasi sempre l’o stilità degli Ebrei verso la sua predicazione evangelica, fino alla sommossa finale di Gerusa lemme che lo farà imprigionare dall’autorità romana (At 21:2736).
Luca quindi lega due fili durante la narrazione. Il primo parla della continuità teologica di fon do tra la storia di Israele e la storia di Gesù e dei suoi apostoli.
Il secondo mette in ordine gli avvenimenti che hanno alimentato una crisi che si è fatta, in iti nere, sempre più acuta, tra la sinagoga e la chie sa nascente.
Arrivati all’ultimo capitolo degli Atti, si ha la convinzione che il cristianesimo è nato da una rottura indesiderata, sofferta ma non voluta, con la sinagoga. In ultima analisi il cristianesi mo è il risultato di una storia ferita.
La sua origine attinge dalla storia del Dio di Israele, ma la sua nascita deriva da una separa zione e da una diffidenza.
Il dialogo giudeocristiano, secondo Luca può avvenire solo se si congiunge la radice comune con la singolarità del Vangelo.
La differenza cristiana
Qual è allora la differenza cristiana? Su che cosa si infiamma, negli Atti, la collera ebraica nei con fronti dei messaggeri del Vangelo?
La reazione dei membri della sinagoga non è, come ci si potrebbe aspettare, una confutazio ne della messianicità di Gesù. La predicazione di Paolo nella sinagoga di Antiochia di Pisidia (At 13:1641) ne è la conferma.
Invitato a commentare le Scritture, Paolo passa a lungo in rassegna ciò che il “Dio di questo popolo Israele” ha fatto, ha scelto i Padri, ha liberato dalla schiavitù d’Egitto, ha reso grande il popolo con l’ingresso in Canaan, poi la desi gnazione dei re, Saul, Davide:
“Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio ha suscitato a Israele un salvatore nella per sona di Gesù” (At 13:23).
Poi aggiunge:
“Fratelli miei, figli della discendenza d’Abraamo, e tutti voi che avete timor di Dio, a noi è stata mandata la Parola di questa salvezza” (At 13:26). Non si potrebbe essere più diretti: Gesù si inse risce nella discendenza degli uomini che Dio ha inviato per guidare e salvare il suo popolo.
Segue poi una dimostrazione scritturale della risurrezione di Gesù: “Tu non permetterai che il tuo Santo subisca la decomposizione” (At 13:35), presa dal Salmo 16:10.
Abbiamo un bell’esempio del modo in cui i pri mi credenti sono andati a cercare la radice di una continuità tra l’Antico Testamento e il Van gelo, sia paragonando la venuta di Gesù a quel la dei re e dei profeti, sia cercando in esso gli annunci nascosti della novità del Vangelo.
Gesù dunque è venuto come compimento del le Scritture per salvare chiunque crede in lui.
La reazione della sinagoga è, in un primo momento, positiva. All’uscita, Paolo e i suoi compagni vengono pregati di ritornare il saba to seguente per continuare il dibattito.
È il sabato successivo che tutto precipita:
giugno
giugno
“Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò
per udire la Parola di Dio. Ma i Giudei, vedendo la folla, furono pieni di invidia e, bestemmiando, contraddicevano le cose dette da Paolo” (At 13:4445).
Perché questa esplosione di rabbia e impreca zione? Perché i Giudei “vedendo la folla” venuta per ascoltare Paolo, si adirano?
Questa folla è tutta la città e ci sono Ebrei e non Ebrei. È qui che si verifica l’inaccettabile: men tre l’annuncio della salvezza doveva essere riservato a Israele, ecco che viene annunciato davanti a tutti e per tutti!
La conferma è che i Giudei furono presi dallo zelo. Le traduzioni bibliche hanno la parola furore o gelosia, ma il greco è chiaro: è zelos che designa lo zelo religioso.
Viene però mostrato il legame con la collera: lo zelo per Dio può essere collerico e fanatico. L’importante è capire che i Giudei di Antiochia di Pisidia non agiscono sotto l’effetto di uno sbalzo di umore, ma presi da uno slancio di zelo sacro per Dio. Per lo meno, per il Dio di Israele, così come ne comprendono il messaggio, la sal vezza è riservata al popolo eletto: punto! L’al largamento dell’alleanza ai non Ebrei non è all’ordine del giorno. La linea di rottura appare con molta chiarezza:
l’espansione universale della salvezza è la con tesa che istiga giudaismo e cristianesimo.
E il susseguirsi degli eventi lo conferma:
“Era necessario che a voi per primi si annunzias se la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non vi ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivol giamo agli stranieri” (At 13:46).
Parole taglienti che riflettono il dramma che si sta innescando: la chiusura di Israele spinge fuori i cristiani.
giugno
giugno
E nello stile profetico, Paolo e i suoi amici, lasciando Antiochia: “scossa la polvere dei piedi contro di loro, andarono a Iconio” (At 13:51), una prassi già auspicata da Gesù (Lu 9:5; 10:5), ma che segna la rottura di ogni relazione con i Giu dei della città.
UN PARTICOLARE SOGGETTO DI PREGHIERA
In questo mese di giugno hanno inizio, nei vari Centri Evangelici presenti nella nostra penisola, i Campi di studio biblico per ragaz zi, per giovani, per famiglie. Preghiamo per gli organizzatori e per tutti i partecipanti!!
Tutto risolto? Non esattamente!
Quando Paolo dichiara che si rivolgerà soltanto ai pagani, non lo farà davvero.
In tutte le città dove entra, la prima destinazio ne rimane sempre la sinagoga, anche se il copione è sempre lo stesso:
- calunnia a Iconio (At 14:17),
- sommossa a Tessalonica (At 17:1014),
- denunciati al proconsole Gallione a Corinto (At 18:117),
- diffamati a Efeso (19:810).Paolo e i suoi collaboratori sono costretti a fug gire non senza aver riscosso successo presso gli ascoltatori non Ebrei.
Dietro questa apparente ambiguità paolina, Luca vuole far passare il messaggio di Paolo: “Io non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco” (Ro 1:16).Ostinatamente, fino quasi all’assurdo, Paolo continua a rivolgersi, in primo luogo, ai fratelli giudei. La rottura tra Giudei e cristiani, rivela Luca negli Atti degli apostoli, è un tragico epilo go contro il quale Paolo ha lottato con tutte le sue forze fino alla fine.
Se hanno rifiutato il Vangelo e se c’è stata rot tura, è per colpa loro e non è per colpa di quel li che hanno ricevuto Gesù e sono diventati figli di Dio:
“È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevu to; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome” (Gv 1:1112).