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Il giorno del riposo

 

Abbiamo già affermato che dobbiamo lavorare perché Dio stesso lavora. In continuità con questo primo punto, possiamo dire che dobbiamo anche riposare perché Dio stesso si riposa.

Anche questo aspetto emerge dal racconto della creazione:

 

“Il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l’opera che aveva creata e fatta” (Ge 2:2-3).

 

A questo preciso riposo di Dio fa riferimento il comandamento del decalogo relativo al giorno del riposo, che motiva quella direttiva proprio a quanto fece il Creatore:

 

Ricordati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; poiché in sei giorni il Signore fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il Signore ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato” (Es 20:8-11).

 

Così come Dio in sei giorni creò ogni cosa “e si riposò il settimo giorno da tutta l’opera che aveva fatta” (Ge 2:2), ad Israele era comandato di lavorare sei giorni e riposarsi il settimo giorno.

È interessante osservare che il ritmo del tempo con cadenza 6+1 venne impartito dal divino Legislatore anche per favorire il riposo del suolo nel ciclo settennale: il settimo anno doveva essere “un sabato” (Es 23:10-11; Le 25:1-7).

 

Non c’è dubbio sul fatto che una simile legislazione distingueva il popolo d’Israele da tutti gli altri, perché, ben prima dell’avvento di forme associative di tutela dei lavoratori, proteggeva la salute psicofisica di uomini e animali da lavoro evitandone uno sfruttamento sconsiderato! Mettendo in atto il piano previsto da Dio, il popolo d’Israele avrebbe constatato la differenza abissale rispetto all’esperienza di schiavitù che aveva conosciuto in Egitto, quando gli Egiziani “obbligarono i figli d’Israele a lavorare duramente. Amareggiarono la loro vita con una rigida schiavitù, adoperandoli nei lavori d’argilla e di mattoni e in ogni sorta di lavori nei campi. Imponevano loro tutti questi lavori con asprezza” (Es 1:13-14).

Ma oltre ad essere il modello di riferimento per gli esseri umani, il riposo di Dio nel settimo giorno aveva anche una connotazione spirituale.

Il sabato, insieme a varie altre cose, era ombra di una realtà che doveva essere rivelata in seguito e che Cristo ha introdotto attraverso il suo insegnamento e la sua opera.

 

Nella lettera agli Ebrei leggiamo:

“Rimane dunque un riposo sabatico per il popolo di Dio; infatti chi entra nel riposo di Dio si riposa anche lui dalle opere proprie, come Dio si riposò dalle sue” (Eb 4:9-10).

 

Di quale riposo sta parlando l’autore di Ebrei?

Il contesto ci fa capire che non si tratta di un riposo fisico offerto da un giorno di inattività, bensì di un riposo spirituale a cui si accede per fede“Noi che abbiamo creduto, infatti, entriamo in quel riposo” (Eb 4:3).

Coscienti che Cristo “dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi” (Eb 1:3), vale a dire che la nostra salvezza dipende esclusivamente da un’opera già perfettamente completata dal Signore Gesù, noi conosciamo uno stato di riposo interiore in lui. Siamo stati convinti che non erano le nostre opere a conferirci grazia, e quando siamo andati a Gesù abbiamo ottenuto il riposo che lui offre agli affaticati e oppressi (Mt 11:28-30)!

 

 

Il sabato e noi

 

Dobbiamo continuare ad osservare il sabato, come era prescritto al popolo d’Israele?

Le parole scritte dall’apostolo Paolo nel passaggio che segue mi sembrano estremamente illuminanti:

Nessuno dunque vi giudichi quanto al mangiare o al bere, o rispetto a feste, a noviluni, a sabati, che sono l’ombra di cose che dovevano avvenire; ma il corpo è di Cristo (la realtà è in Cristo)” 
(Cl 2:16-17).

 

In parole povere, Paolo dice ai Colossesi che non avrebbe molto senso continuare ad attenersi all’ombra delle cose quando ormai abbiamo la realtà! Per cui, pur non “sparando a zero” su chi intendeva osservare il sabato (magari perché proveniva proprio dal giudaismo), non imponeva assolutamente a chi si convertiva a Cristo l’obbligo di osservare il riposo nel giorno di sabato.

Anche nel capitolo 14 di Romani l’apostolo Paolo fa riferimento all’osservanza di determinati giorni:

“Uno stima un giorno più di un altro; l’altro stima i giorni tutti uguali; sia ciascuno pienamente convinto nella propria mente. Chi ha riguardo al giorno, lo fa per il Signore…” (Ro 14:5-6).

 

Questa posizione si inquadra nel contesto del primo periodo della Chiesa, periodo segnato da un acceso dibattito in merito al rapporto che “la nuova Via” doveva istaurare con la legge e l’Antico Patto. Pur conoscendo contrasti, dubbi e a volte incongruenze, la questione divenne più chiara per tutti strada facendo, perché la guida dello Spirito Santo condusse all’unica conclusione possibile: diventare cristiani non esige l’osservanza delle prescrizioni della legge, e se ciò venisse imposto significherebbe turbare “la libertà che abbiamo in Cristo Gesù” (Ga 2:4).

 

Detto questo, se Dio fin dall’inizio ha stabilito un rapporto di 6 a 1 tra lavoro e riposo, non si può ignorare la saggezza di questo ritmo di vita che il Creatore ha indicato.

Alcuni affronterebbero il discorso in questi termini: Israele osservava il sabato, la Chiesa osserva la domenica… ma è proprio corretto dire così?

In realtà non c’è alcun passo che ci autorizzi ad affermare una cosa del genere. Il primo giorno della settimana (domenica) non è un nuovo sabato. Il Nuovo Patto rende nuovo l’approccio ai giorni non perché ne sostituisce uno con un altro, ma perché è cambiato il regime in vigore, perché la rivelazione progressiva ha fatto passi avanti e perché i destinatari delle “migliori promesse” previste dalla dispensazione attuale hanno un cuore nuovo.

Del resto, anche il Signore Gesù, presentandosi come “Signore del sabato” condannò il modo formale di rispettare il riposo sabatico, mostrando che neppure la legge andava interpretata e osservata così (Mr 2:23-28; Lu 13:10-17; Lu 14:1-6).

 

Ciò detto, avendone la possibilità sceglierò sempre un lavoro che mi permetta di essere il più possibile presente agli incontri della mia chiesa locale, perché “Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica” (1Co 10:23).

Perciò sarà saggio, per quanto possibile, evitare un’occupazione che impegni la domenica in quanto giorno di riunione della chiesa e sarà saggio, in vista di questo, evitare quei percorsi di studio che hanno come unico sbocco lavorativo un impiego di questo tipo. Teniamo presente che le nostre scelte possono incidere molto significativamente sulla nostra felicità e sul nostro servizio per il Signore: “Perciò non agite con leggerezza, ma cercate di ben capire quale sia la volontà del Signore” (Ef 5:17).

 

 

Riposo non solo fisico

 

Quando Dio comandava: “Ricordati del giorno del riposo per santificarlo” (Es 20:8) non si riferiva ad un settimo giorno generico, ma si riferiva al giorno del riposo di Dio alla creazione. Ciò voleva dire, di riflesso: “Ricordati di Dio, pensa a Dio”. Per cui in questo comandamento c’è l’incontro tra il riposo fisico e la ricerca di Dio che coinvolge l’anima e lo spirito. Tutta la Bibbia dimostra e conferma che c’è un nesso tra la fatica del corpo e quella interiore, che un vero riposo parte dalla liberazione dai pesi del cuore, che la forza e la tenacia anche fisica scaturiscono dal benessere interno.

 

“Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9:36).

Come non leggere in questa descrizione della visione che Gesù aveva delle folle, uno sguardo rivolto verso le anime oltre che verso i corpi?

 

Il nostro tempo è caratterizzato da una drastica riduzione della fatica fisica nel lavoro rispetto al passato, eppure mai come oggi si osservano persone stanche e sfinite, affette da una forma di appesantimento psico-fisico per la quale si è coniato un termine specifico: lo stress.

Una definizione dello stress è la seguente:

“Lo stress è la risposta psicofisica ad una quantità di compiti emotivi, cognitivi o sociali percepiti dalla persona come eccessivi”.

 

Dopo una fase in cui si risponde ai numerosi compiti richiesti facendo fronte ad essi, si arriva poi alla fase dell’esaurimento in cui si manifestano sintomi psico-fisici di allarme. Ma il problema nasce a monte: si richiede alla nostra persona più di quanto possiamo veramente dare. Osservando il mondo del lavoro temo che questo livello di richiesta diventerà sempre più comune rendendo ulteriormente “difficili” gli ultimi giorni (2Ti 3:1), non a caso si parla sempre più spesso di “competitività” come di un obiettivo irrinunciabile nel campo lavorativo e il capitale umano non può esserne escluso.

 

È evidente che si dà al lavoro uno spazio eccessivo là dove non si hanno chiare le giuste priorità della vita, e questo avviene soprattutto quando Dio e la sua Parola non sono presi in considerazione. Nelle vite dei suoi figli, Dio vuole portare ordine insegnando a dedicare lo spazio giusto ad ogni cosa. Dobbiamo ricordare che abbiamo dei limiti di sopportazione fisici e psicologici per cui dobbiamo volontariamente dedicarci al riposo quando occorre. Se questo non accadrà qualcuno prima o poi ne farà le spese.

 

Ma è proprio nell’incontro con Dio che la nostra anima sperimenterà il riposo (Sl 62:1,5) tale da farci attribuire il posto appropriato ad ogni impegno in modo da non farci sopraffare da nulla!

Certo, da un lato c’è la promessa di nuove energie per chi spera in Dio:

 

“Egli dà forza allo stanco e accresce il vigore a colui che è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i più forti vacillano e cadono; ma quelli che sperano nel Signore acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” 
(Is 40:29-31).

 

Ma attenzione a non sopravvalutare le nostre forze, perché anche Gesù mostrò sensibilità verso i discepoli offrendo loro riposo nel momento della loro stanchezza:

 

“Ed egli disse loro: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco». Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare” (Mr 6:31).

 

Sarà allora motivo di gratitudine al Signore il riposo che ci donerà:

 

“Egli mi fa riposare in verdeggianti pascoli, mi guida lungo le acque calme” (Sl 23:2).

 

Tra gli eccessi di chi, da un lato, dà spazio alla pigrizia e chi, dall’altro, è schiavo del proprio lavoro al punto da non volersi mai fermare, c’è la strada indicata da Colui che ci ama davvero ed è un giusto equilibrio, assolutamente benefico per la nostra salute psicofisica. Non sottovalutiamo l’importanza di trascorrere un adeguato tempo di riposo dalle attività consuete, evitando così che il fare della nostra quotidianità ci faccia perdere di vista altre cose importanti: la famiglia, le relazioni, le opere buone, la chiesa ma soprattutto Dio.

Del resto è grazie a lui che possiamo lavorare ed è sempre grazie a lui che possiamo riposare, come ben esprimono le parole di quel canto che dice: “Da te sol prendo forza, o Dio; in te sol posso riposar”.