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Introduzione

 

In passato mi era sembrato un po’ forzato definire le persone affette da qualche disabilità come persone“diversamente abili”.

Poi, per la seconda volta nella vita, mi sono trovato a combattere personalmente con una disabilità.

Devo ammettere che mai, come nel 2012, mi sono sentito motivato a seguire le Paraolimpiadi! Avendo praticato l’atletica leggera da adolescente, mi sembrava per certi versi improprio abbinare il nome “Olimpiadi” – dal nome della città greca di “Olimpia” – alle imprese di persone che non possono sperare di raggiungere la stessa velocità o lanciare un oggetto per la stessa distanza che possono fare persone pienamente abili.

Infatti ai giochi di Olimpia erano i più forti a ricevere un ramoscello di ulivo come segno della propria vittoria.

Invece, guardando le Paraolimpiadi di Londra, ho visto con grande ammirazione la grinta straordinaria di un ciclista tedesco che, con un solo braccio e una sola gamba, aveva spinto con abilità la sua bicicletta a una velocità niente male.

Ho visto anche la nuotatrice italiana, Francesca Camellini, mantenere la rotta e vincere due medaglie d’oro e una di bronzo, nonostante sia una ragazza non vedente.

Queste imprese e altre ancora mi hanno fatto pensato a Murray Halberg, il neozelandese che nel 1960 vinse la medaglia d’oro sui 5000 metri alle Olimpiadi di Roma nonostante una disabilità, per poi dedicare il resto della sua vita a perorare la causa dei disabili.

La disabilità di questi atleti li ha fatto diventare degli autentici campioni.

 

Poi mi è tornato in mente la storia del fratello Foster che fece visita all’assemblea di Via Prenestina a Roma, all’inizio degli anni settanta. Questo fratello aveva perso l’udito a sedici anni.

Essendo un afro-americano e un credente consacrato, si interrogò sullo scopo che Dio avrebbe voluto raggiungere attraverso questo cambiamento inatteso nella sua vita.

Venne a sapere dello stato di abbandono in cui si trovavano molti africani che vivevano nella sua stessa condizione, ma con la differenza che non avevano alcuna  possibilità di ricevere un’adeguata assistenza.

Così si laureò in medicina e si specializzò per poi investire la sua vita in un progetto che vide l’apertura di quattro o cinque cliniche specializzate per la riabilitazione dei non udenti in diverse parti del continente africano.

Questi non udenti hanno ricevuto, oltre all’assistenza professionale per alleviare disagi prodotti dalla loro disabilità, anche la buona Notizia della salvezza in Cristo.

Storie come queste insegnano che una disabilità può fare emergere altre abilità che, diversamente, potrebbero rimanere nascoste.

 

 

Il mio rapporto con le disabilità

 

La disabilità di cui soffrivo da ragazzo non era di tipo fisico, me lo disse chiaramente la logopedista che cercò, senza successo, di aiutarmi. Balbettavo, o meglio, spesso non riuscivo a dire una parola in pubblico o al telefono. È molto imbarazzante avere un problema del genere. Nel mio caso, a motivo dell’umiliazione che subivo, o temevo di subire, tutti i giorni, lasciai la scuola pubblica non appena possibile, quando compii 15 anni, e mi misi a lavorare nella fattoria di famiglia.

Coloro che sapevano che andavo bene a scuola mi dissero che ero sciocco a non terminare gli studi, ma non ce lo facevo più a sopportare la vergogna che provavo. Avevo una paura matta delle interrogazioni perché, più che balbettare, mi bloccavo completamente quando la risposta giusta doveva cominciare con certe lettere come la “r” o la “t”. Quindi davo l’impressione al professore di non voler rispondere.

 

Trovai il modo di arrivare alla maturità scolastica, seguendo corsi serali e studiando per corrispondenza. Intanto la mia difficoltà di esprimermi a voce mi spinse a cercare altri modi di usare le parole in cui potevo utilizzare qualsiasi parola liberamente. Così cominciai a esprimermi per iscritto.

Il primo mio scritto di una certa importanza, per quanto mi ricordi, era quello che feci per un concorso aperto a persone sotto 18 anni d’età. Si trattava di scrivere un testo sul tema”Martin Lutero e la giustificazione per grazia mediante la fede”. Mi ricordo che rimasi a scrivere tutta la notte per poterlo completare entro i termini stabiliti.

Conservo ancora il libro ricevuto come premio, una copia in inglese del Manuale della Bibbia curato da G. T. Manley, che il fratello Abele Biginelli fece tradurre e poi pubblicò per i lettori italiani.

Incoraggiato da questo successo inaspettato, decisi di seguire un corso, sempre per corrispondenza, per aspiranti scrittori. A quel tempo non avrei potuto mai immaginare che, anni dopo, sarei stato iscritto nell’elenco speciale dei giornalisti all’altro capo del mondo, in qualità di direttore responsabile di “LUX BIBLICA”! Ma sicuramente ciò non sarebbe mai successo se non avessi tratto un altro beneficio dalla mia difficoltà nel parlare.

 

A 14 anni mi fu chiesto di fare la lettura biblica in occasione dell’annuale “parata” del gruppo locale degli Scout evangelici in una riunione di chiesa. A me sembrò semplicemente assurdo che i conduttori degli Scout avessero chiesto a me di assolvere questo compito, ma decisi di cogliere l’occasione per “mettere Dio alla prova” per così dire.

Quindi accettai e stabilii la seguente regola: se avessi balbettato oppure se mi fossi bloccato nella lettura, sarebbe stata l’ultima volta in vita mia che avrei accettato di fare qualcosa in pubblico. In quel caso avrei saputo che la mia parte nella missione che Cristo ha affidata alla sua chiesa sarebbe stata di far prosperare l’azienda di famiglia per sostenere finanziariamente coloro che si impegnano in prima linea.

Quando arrivò il momento di fare questa lettura, mi avvicinai al pulpito e, dopo aver riempito i polmoni d’aria e averla fatto uscire, mi lanciai nella lettura, senza inceppare!

Mentre continuavo a leggere, sentivo la mia voce come se fosse quella di qualcun altro. Non ho idea di quanto fosse espressiva la lettura. L’unica cosa che so è che arrivai al termine senza essermi inciampato nemmeno una volta!

 

Intorno a questo periodo feci la conoscenza di un certo Matthew Finlay, un missionario neozelandese che, nonostante avesse un grave problema di balbuzie, aveva lanciato una radio evangelica a Mumbai, India, che trasmetteva programmi in quattro lingue.

Evidentemente questo fratello, partendo dal suo problema personale, aveva imparato a utilizzare altri mezzi di comunicazioni, coinvolgendo altre persone, di modo che alla fine riuscì a moltiplicare ciò che lui avrebbe potuto fare personalmente se non fosse stato balbuziente.

Pur avendo sostanzialmente superato il problema delle balbuzie mentre ero ancora giovane, un residuo di vulnerabilità nell’esprimermi mi ha accompagnato per tutta la vita e ha fatto sì che sono sempre consapevole di dipendere dal Signore quando mi tocca parlare in pubblico. Leggiamo che “chi confida nel Signore non sarà deluso” ma bisogna confidare veramente per poter fare l’esperienza di Paolo a cui Dio disse:“La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (2 Co 12:9).

Sono riconoscente al Signore per le molte volte che ho potuto predicare e insegnare in pubblico, oltre che esprimermi per iscritto, ma non ho mai dato per scontato questo privilegio.

 

Ora mi trovo ad avere a che fare con un altro tipo di disabilità. Dall’essere in grado di correre con i miei studenti, mantenendo senza difficoltà il loro passo fino all’età di 64 anni, ora non posso uscire di casa senza l’aiuto di una sedia a rotelle. La malattia del Moto Neurone accelera notevolmente il processo di invecchiamento fisico e quindi mi rende cosciente, più di prima, della mia mortalità.

Ciò che ho provato all’inizio, dopo la diagnosi definitiva della malattia nel gennaio del 2012, era soprattutto un senso di disagio. Non ero abituato a non essere auto-sufficiente.  Meno di un mese dopo la diagnosi ci fu la improvvisa chiamata alla casa celeste di Eunice, la mia compagna di vita, a complicare ulteriormente le cose. Ma ho scoperto che, anche in simili circostanze, il nostro buon Padre celeste provvede per ogni nostra necessità quando confidiamo in lui.

Dopo un periodo di adattamento, ho potuto comprendere che anche questa disabilità mi rende in qualche modo“diversamente abile”. Per esempio anziché dare per scontato molte cose, adesso riconosco che ogni giorno è un dono e costituisce un’opportunità per fare qualcosa di utile o per dire una parola di incoraggiamento a qualcuno.

Sto imparando ad essere grato per quello che ho e a non pensare alle molte cose che non posso più fare. Ho capito che c’è un’ultima volta per ogni cosa in questa vita.

Ma soprattutto la mia disabilità mi conduce a prepararmi per l’incontro con il Signore.

Finché si sta bene, si è più portati a pensare al futuro su questa terra e a lavorare in questa prospettiva. Quando, invece, subentra una condizione degenerativa irreversibile si è costretti a pensare al futuro, oltre la morte.

Questo non significa rinunciare a vivere nel presente ma significa vivere nel presente nella prospettiva dell’eternità.

 

Quando si affronta la giornata in questa prospettiva molti valori subiscono cambiamenti mentre quelli espressi nelle beatitudini (Mt 5:1-12) assumono un aspetto più normativo. Ad esempio, tenendo conto che le uniche cose durevoli, di tutto ciò che vediamo intorno a noi, sono le persone e la Parola di Dio, appare importante adoperarsi per la pace, come si addice ai figli di Dio. Inoltre appare più importante di quanto non sembrasse in precedenza ciò che la Bibbia insegna riguardo al futuro personale e del mondo.

Si tratta del destino ineluttabile di tutti noi.

Non tutti hanno bisogno di una disabilità per pensare a queste cose, ma per alcune persone, fra cui metto me stesso, una disabilità come quella che mi caratterizza attualmente, serve per indurre a prepararsi più consapevolmente per la parte più sostanziale della nostra esistenza: l’eternità, nella presenza di Dio.

Questo è un grande vantaggio perché ci protegge dalla stoltezza di cui Gesù parla in Luca 12:16-21.

 

 

È Dio a causare le nostre disabilità

 

Un modo di leggere Romani 8:28 induce a pensare che tutte le cose, positive e negative, facciano parte del disegno di Dio per la nostra vita. Nella Bibbia Nuova Riveduta il versetto viene tradotto come segue:

“Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno”.

 

Da questa traduzione si può dedurre che siano le cose stesse a cooperare al bene, anche le disabilità, perché il versetto parla di “tutte le cose”.

Ma l’ordine delle parole nel testo greco permette di sottintendere, come il soggetto del verbo “cooperare” sia non “tutte le cose”, bensì “Dio”.

Sottintendendo Dio come colui che “[fa] cooperare” tutte le cose e seguendo l’ordine delle parole nel testo originale, si ottiene:

“Sappiamo che, a quelli che amano Dio, Egli fa cooperare tutte le cose al bene, per quelli che sono chiamati secondo il suo disegno”.

Questo modo di tradurre rende più chiaro il fatto che, qualunque cosa succeda, la provvidenza divina saprà utilizzarla per il nostro sommo bene.

La verità, affermata precedentemente nello stesso brano, è che “tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo” (vv. 22-23).

Quanto al disegno di Dio per la vita di coloro che lo amano, esso viene definito nel v. 29.

Dio si serve di tutte le cose affinché coloro che lo amano vengano trasformati progressivamente“all’immagine del Figlio suo” (cfr. 2 Co 3:17-18).

In altre parole Dio fa in modo che tutte le cose, comprese le disabilità, cooperino a tal fine. Anche in questo caso Dio trasforma il male in bene.