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Tempi difficili, ma tempi di crescita

 

In questo periodo. non ancora sopito, delle celebrazioni del centocinquantesimo dell’unità d’Italia, che ha coinvolto in varia misura ed enfasi anche le Assemblee, siamo sollecitati a ricerche sul nostro comune passato ed a riguardare ai nostri fratelli ottocenteschi, ai colportori diffusori della Parola, ai giovani formati da Teodorico Pietrocola Rossetti ad Alessandria, per come avessero nella mente e nel cuore di svolgere il lavoro di testimonianza evangelica tra la gente.

 

L’esperienza della “infinitamente varia sapienza di Dio” (Ef 3:10), confortava questi pionieri della fede, acquisita per grazia e sperimentata dal fuoco della “prova”, consistente in enormi difficoltà, in persecuzioni molteplici e violente nella vita quotidiana.

 

Proprio conoscendo queste prove possiamo comprendere come mai, in alcuni casi, i primi credenti chiedevano di essere ammessi alla Cena del Signore privi del battesimo, perché all’indomani di un eventuale battesimo avrebbero potuto rischiare lo sfratto dalla casa, il repentaglio per la famiglia, la perdita del lavoro, le derisioni e bastonature dai soliti aizzati ed irresponsabili. Per riportare chiarezza sull’argomento, Rossetti nel 1877 diffuse comunque una magistrale spiegazione della dottrina biblica del battesimo.

Riposi e trastulli erano sconosciuti agli arditi testimoni, la militanza cristiana era perenne, senza soste di sorta.

La fiducia nel Signore, era vissuta passo dopo passo, ma spedita e risoluta; non erano tutti eroi della fede ma sicuramente confidavano nell’amore di Cristo ed erano retti e ben disposti nella testimonianza, per dimostrare una diversità da quelli che giacevano e praticavano le tenebre.

 

Questi credenti dispensavano una sapienza da Alto, elargitagli abbondantemente dallo Spirito Santo, con una crescita senza fretta nel comprendere in profondità i temi e le dottrine della Scrittura.

La conoscenza della Parola acquisita – ripeto: lentamente e con preghiera – era sufficiente a convertire al Signore le anime di interi sobborghi, di cascine sparse, di nuclei in piccoli paesi realizzando nel loro servizio l’intervento divino: “Dio stesso aggiungeva la sua testimonianza alla loro” (Eb 2:4).

 

La potenza dell’Evangelo, che è “la potenza di Dio”, come ben spiegato in 1Corinzi 1:18, cioè la forza della Parola atta a distruggere idolatrie e superstizioni milleniali, l’acqua pura della Vita che rinnova con la sua freschezza i cuori incrostati da eresie e dal peccato, si esprimeva proficuamente in ogni predicazione.

 

La fame e l’esperienza della Scrittura di questi primi testimoni (“Ora chiunque usa il latte non ha esperienza della parola di giustizia, perché è un bambino, ma il cibo solido è per gli adulti, per quelli cioè che, per via dell’uso, hanno le facoltà esercitate a discernere il bene e il male” ( Eb 5:13-14) erano vissute con compostezza, non c’era tempo per riflessioni teologiche lunghe e approfondite, perché le anime erano sempre sazie della Parola e della presenza vivente dell’amore di Gesù.

 

La conoscenza comunque non risentiva d’improvvisazione e non s’incanalava in una spasmodica ricerca di ciò che caratterizza l’odierna cultura biblica: un sapere senza esperienza.

 

 

La carenza dei supporti non indispensabili

 

Questi primordiali Servitori avevano poche letture di commentari, perlopiù in francese ed inglese, i libri di controversia erano rari; tutti però trascorrevano ore sul Libro dei libri ed attendevano la crescita e l’edificazione per la dispensazione dello Spirito Santo nella sua funzione di guida e di maestro (Gv 15:26).

 

Non si vuole dipingere quel tempo come se tutto fosse rose e fiori, ma, confortati da certe Bibbie, usurate nelle pagine dal quotidiano sfogliare, con gocce di cera delle candele sulle copertine o affumicate dal fumo dei camini, possiamo riconoscere con certezza le ore di studio trascorse sulla Parola da questi preziosi testimoni.

 

La controversia con le tenebre faceva parte della lotta, non si disdegnava evidenziare come le pratiche dei pagani fossero contrarie nella lettera e nello spirito alla Parola (già sul finire del XIX secolo da qualche benpensante protestante verrà l’esortazione esplicita ad essere più morbidi, ecumenici verso Jezebel:consiglio non ricevuto!).

 

Il ricordarsi la posizione dei versetti senza l’aiuto di chiavi bibliche implicava studi costanti, destrezza degli argomenti, spirito di contrasto contro l’errore e contro le menzogne clericali.

 

La radunanza veniva vissuta come veramente deve essere: un momento di pari consentimento, vissuto nella comunione con Dio e con i fratelli, rompendo il pane e bevendo il calice come il ricordo dell’amore di Cristo e della sua presenza in mezzo ai credenti riuniti.

 

Il ritorno del Signore era una molla potente per l’evangelizzazione, come per lo studio delle profezie che, sepolte per lungo tempo, affascinavano ed aumentavano la dedizione nel conoscere.

Le nuove assemblee erano attive e vigilanti nella testimonianza, accompagnate dalle opere di pietà e di sovvenzione, pur nelle ristrettezze di una vita avara di comodità e di dovizie.

 

Occorre sottolineare come, durante certi radunamenti, culti ed altre riunioni trovavano spazio e incoraggiamento i nuovi doni per emergere; risoluto era “l’allattamento” dei nuovi credenti nel latte puro della Parola (1P 2:2)

Capitava sovente, alla fine delle riunioni, essendo poche le ore libere, che i giovani si radunassero intorno agli anziani per porre domande ed attendere chiarimenti su dottrine bibliche e profezie.

 

L’apprendimento delle verità bibliche era vissuto in modo tale da renderle incancellabili e ben impresse nelle menti rinnovate dei nati di nuovo. La conoscenza non era fine a sé stessa: si era consapevoli del rischio di rendere vana la croce di Cristo con una sapienza umana, non sottoposta allo Spirito Santo. Si evitava anche un pur velata esaltazione del fratello predicatore.

 

 

Un solo metodo comprovato dalla Scrittura

 

La predicazione nell’assemblea costituiva il metodo esclusivo per accrescere e sviluppare i nuovi doni, il“parlino due o tre per l’edificazione e gli altri giudichino” (1Co 14:29) era la regola d’oro.

Certe scuole bibliche, nate con sincerità di intenti nei secoli scorsi, avevano come traguardo quello di aumentare la conoscenza e la sapienza biblica.

Scopriamo invece, come traguardo odierno, la negazione dell’autorità della inerrante Parola e una serie di eresie sfocianti nel tollerare comportamenti etici immorali, contrari al dettato evangelico, come omosessualità e la benedizione delle unioni gay nel mondo protestante. V’è da inorridire!

 

Stiamo forse transitando nel tempo nel quale “la conoscenza sarà abolita” (1Co 13:8)?

Certamente ci stiamo allontanando dalla rivelazione di 1Corinzi 12:8 (“…infatti ad uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza, ad un altro parola di conoscenza…”).

L’aver accantonato questa norma spirituale relativa all’insegnamento nell’assemblea ha portato a comportamenti devianti.

 

Non siamo certo a favore dell’ignoranza o del pressappochismo, ma se il risultato è quello di ridurre la Parola di Dio ad un testo da interpretare secondo la nostra mediazione, mettendo da parte la pedagogia dello Spirito Santo (Gv 16:13), di questo tipo di istruzione non ne abbiamo bisogno.

Una sapienza ed una conoscenza non illuminate dal Dio sono prive degli obiettivi salvifici, producono morte, divisioni ed orgoglio insensibile.

Preme quindi ribadire come l’insegnamento genuino debba essere vissuto nell’ambito dell’assemblea locale.

 

Certamente non disconosciamo l’aiuto nell’insegnamento dei Campi per i giovani o degli Agapi.

Apro un inciso riguardo gli Agapi, iniziativa geniale di Teodorico Pietrocola Rossetti, resa viva dallo Spirito Santo per l’edificazione e per l’avanzamento del popolo di Dio.

Dalla disposizione dei tavoli a Spinetta Marengo, durante l’agape dell’anno 1875, quella in cui sventolano le tre bandiere (Amore, Grazia e Pace), si possono ricavare alcune conclusioni che viaggiano su quattro direttive:

 

1. Far conoscere i servitori all’Opera, sostenuti dal Conte Piero Guicciardini, ai credenti delle nuove assemblee nascenti, essendo loro a servire il pasto comune, cioè a passare i piatti della mensa comune (cfr At 6:2-3).

 

2. Stabilire comunione fraterna con coloro che dispensavano rettamente la Parola in modo che questa fosse affidata a uomini capaci e fedeli, per insegnarla ad altri (2Ti 2:2).

 

3. Integrare le nuove assemblee nascenti con le precedenti, sia nella dottrina che nei canti, strumenti importanti di testimonianza e di unità delle Assemblee.

 

4. Consolarsi ed esortarsi, per superare le difficoltà tra Servitori, nel difficile lavoro di testimonianza e di diffusione della Parola.

 

Sotto il tendone dell’Agape i tavoli, ai quali mangiavano le 270 persone partecipanti, erano disposti proprio in modo tale da favorire questa reciproca conoscenza.

Occorrerebbe leggere la cronaca sulla Vedetta Cristiana, esposta da Teodorico Pietrocola Rossetti per capire il grado di vera spiritualità e grazia, che si respirava tra quei pionieri, per imparare.

Che dire poi dei messaggi degli evangelisti e dei dottori della Parola, commoventi fino alle lacrime di gioia!

 

Propongo ora un salto nel tempo di quasi un secolo.

 

 

Riflessioni sul dopoguerra del 1945

 

Ritaglio ancora una parentesi a riguardo di questo tempo: nel rileggere le annate de IL CRISTIANO dopo la fine della seconda guerra mondiale, appare evidente, come si sia aperta una nuova stagione e una domanda per saperne di più, indipendentemente dalla lenta esperienza della Parola.

La velocità prodotta dai nuovi mezzi, l’accumulo di nuove nozioni, la frenesia di nuove conoscenze e di nuove relazioni, portano a sguardi interessati verso realtà diverse, che, nel tempo, riveleranno frutti amari per la comunione delle assemblee.

 

Il non andare “oltre ciò che è scritto” (1Co 4:6) è ancora il limite insuperabile posto dai fratelli che si sono avvicendati nella direzione del mensile, così benedetto nel tempo.

 

Emblematici sono gli articoli dei vari Gian Nunzio Artini, Alfredo Prencipe, Vito Oronzo Lella, Abele Biginelli e altri, tutti confortati da frequenti e puntuali citazioni bibliche, per provare la verità del dire, ma soprattutto frutto di prolungati studi sulla Parola e dell’esperienza di essa.

 

 

Un disegno strategico

 

Nel dopoguerra le Assemblee vivono l’intuizione straordinaria di Giona Prencipe, nel proporre i Campi di studi biblici per giovani di ambo i sessi di Poggio Ubertini.

Occorrerebbe conoscere le storie di preghiere occulte e incessanti al Trono di Grazia durate intere nottate, così come le trame per promuovere raduni, allora inimmaginabili, per renderci edotti come questi Convegni siano stati finalizzati alle conversioni dei partecipanti, più che ad una qualificante promozione sapienziale.

 

Il dopoguerra è stato anche l’inizio della superficialità.

Profondi articoli sulla santificazione personale sono rimasti inascoltati e si sono scontrati con il crescente consumismo.

 

La nuova mobilità consentita dalle automobili ha prodotto facilitazioni di percorsi e nuove aggregazioni, purtroppo quasi sempre tendenti al logorio della fermezza dottrinale insegnata da servitori ed anziani sperimentati da un servizio fedele.

Oggigiorno, constatando le varie e rinnovate forme di culto in uso nelle Assemblee, con nuove figure di presidenze, con sostituzioni di simboli e conduttori del servizio, viene da domandarsi quali saranno le prossime tappe ed gli ultimi ritrovati, se il Signore tarderà ancora a venire.

 

Inutili ci appaiono le vie disciplinari accompagnate da esaltazioni dell’individuo. Leggi: anziani, dilatati arbitrariamente nel loro ruolo e immaginati così, per tenere vincolata con sistemi umani una comunione spirituale, sempre più evanescente tra le Assemblee.

 

Credo opportuno, per meglio approfondirsi, andare a rileggere gli studi tenuti negli anni aiCampi di studi biblici di Poggio Ubertini, sintetizzati nella magnifica edizione che il fratello Giona Prencipe ha voluto pubblicare in occasione del cinquantesimo Campo, per poi farne dono a tutte le Assemblee.

 

In quelle pagine vi sono argomenti di riflessione e di indirizzo per crescere nella conoscenza, avvalendosi dell’esperienza di fratelli consacrati: argomenti, certamente, che non possono sostituirsi alla lettura quotidiana della Parola, ma che possono essere di sicuro aiuto specie per i più giovani.

 

L’esortazione di Gesù, riportata nel vangelo di Giovanni 6:27 (“Adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà”) è sempre attuale e pregna di celesti benedizioni per tutti i figli di Dio.

 

Conoscere “il mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti” (Cl 2:2-3) ed avere la mente aperta “per capire le Scritture” (Lu 24:45) sono i due obiettivi che mi auguro possano accompagnare ancora la testimonianza delle Assemblee Italiane.