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La Riforma Protestante ha avuto due grandi meriti, il primo è di aver riportato la Scrittura al centro della vita della chiesa, il secondo è aver reso accessibile a tutti la Scrittura perché tutti potessero bere l’acqua viva della fede cristiana, invece di quella fangosa e stagnante della chiesa del Medioevo prodotta dalla Vulgata.

Oltre a questo si sentì anche la necessità di ritornare alla dottrina cristiana.

Troppe aggiunte erano state fatte dalla chiesa, tanto che alla fine del medioevo la chiesa di Roma era più un’istituzione politica che religiosa. I riformatori dunque hanno messo in luce alcuni aspetti del messaggio evangelico originario che era stato travisato o coperto dalla teologia ‘Scolastica’ e approvato dalla chiesa.

Quando si considera la corruzione nella chiesa romana del tempo, gli insegnamenti degenerati da questa promossi e una tradizione sempre più corrotta e usata per difendere se stessa, è facile capire come un ritorno alla Scrittura era la sola cosa più semplice e più saggia che i riformatori potessero fare.

Come avrebbe potuto Lutero appellarsi alla tradizione per combattere questi abusi, quando la tradizione era personificata da quello stesso papato che era responsabile di tali abusi?

Per Lutero, erano la tradizione, il papato, il clero e tutta la struttura gerarchica della chiesa che avevano sbagliato, e dovendo riformare la chiesa avrebbe dovuto farlo con il sostegno sicuro delle Scritture.

È per questo che il pensiero dei riformatori fu poi condensato nei cinque ‘Sola’, cinque affermazioni in latino che riassumono le convinzioni teologiche essenziali della Riforma.

I riformatori volevano riportare la dottrina e le pratiche della chiesa a quelle che erano state nell’età apostolica, cioè l’età d’oro della chiesa.

Ma da dove è scaturito questo pensiero teologico?

I cinque “Sola”

 

sola fede

Meditando sul brano di Romani 1:17 
“… poiché in esso (nel vangelo) la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà»”, Lutero scopre un nuovo messaggio: la giustizia di cui parla Paolo non è quella che Dio userà nel punire i peccatori e premiare i giusti, ma i meriti di Cristo cancellano i peccati di coloro che si abbandonano a lui e hanno fede in lui. Si tratta di una giustizia che salva, perciò il giusto può camminare per fede. Dunque: Sola fede”.

 

sola scrittura

Da qui, il passo verso gli altri principi fu molto semplice. Secondo i riformatori ciò che occorre per ottenere la salvezza è già tutto presente nella Scrittura. Questa è la norma di fede e di vita cristiana, il cristiano può e deve capire da solo questa Scrittura con l’aiuto dello Spirito Santo e del libero esame, senza l’aiuto della chiesa, del magistero e della tradizione.

Dunque: Sola Scrittura”.

 

 

sola grazia

 La grazia che salva, porta il peccatore, che è stato rigenerato “non da seme corruttibile, ma incorruttibile, cioè mediante la parola vivente e permanente di Dio” (1P 1:23), ad essere santo. La grazia secondo Lutero è un dono totalmente gratuito di Dio, fra l’uomo e Dio c’è un rapporto diretto, dunque rifiuta ogni mediazione istituita dal-
l’uomo. Niente e nessuno può far ottenere la salvezza, nemmeno i sacramenti. Dunque: Sola grazia”.

 

 

solo cristo

 Ogni credente è sacerdote e non ha bisogno di alcun mediatore e di nessun ponte tra se stesso e Dio.

L’unico mediatore tra Dio e l’uomo è Gesù Cristo uomo (1Ti 2:5). La sua mediazione è sufficiente, tutte le altre superflue e inutili. Con questo principio Lutero annulla il significato della chiesa come istituzione: “Extra Ecclesiam nulla salus”, cioè che “al di fuori della chiesa di Roma non c’è salvezza”.

Dunque: Solo Cristo”.

 

 

solo a dio la gloria

Infine, se in nessun modo siamo autori della salvezza, l’unico vero onore e l’unica vera gloria vanno resi a Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.

La vita cristiana diviene un rendere gloria a Dio in tutto ciò che si fa.

Ricevuta grazia e fede si è chiamati ad agire secondo la volontà di Dio.

Dunque: Solo a Dio la gloria”.

 

 

La dottrina della giustificazione per fede fu il principio sostanziale della Riforma, ma il “Sola Scrittura” ne fu il principio formale. I riformatori detronizzarono l’autorità del magistero ecclesiastico e del papa e intronizzarono la vera autorità: la Scrittura.

 

 

Il ritorno alla Scrittura

 

Per cogliere l’importanza di “Sola Scrittura” è necessario sapere quale Bibbia veniva utilizzata e in che modo nell’epoca medievale.

Quando un teologo medievale parla della Scrittura, quasi sempre intende il Textus Vulgatus, testo corrente di Girolamo, la traduzione latina della Bibbia fatta tra la fine del 4° e l’inizio del 5° secolo. Dalla proclamazione di ufficialità durante il Concilio di Trento (1545-1563) fino al Concilio Vaticano II (1962-1965), quando fu ulteriormente revisionata, la Vulgata ha rappresentato la traduzione canonica della Bibbia per l’intera chiesa cattolica. La nascita della critica testuale e filologica dell’umanesimo mise in luce le penose discrepanze tra la Vulgata e i testi originali di cui pretendeva di essere la traduzione.

Abbiamo considerato quale contributo diede l’Umanesimo alla Riforma per un ritorno alla Sacra Scrittura. Il ritorno ‘alle fonti’ affermava la preminenza della Scrittura sulla teologia, bisognava entrare in contatto con il testo direttamente e non attraverso il complicato sistema di commenti.

La Scrittura andava letta direttamente nelle lingue originali anziché nella traduzione latina. Pertanto l’Antico Testamento. doveva essere studiato in ebraico (salvo le poche sezioni in aramaico) e il Nuovo Testamento in greco.

L’ideale del biblista del tardo Rinascimento era quello di poter essere trium linguarum gnarus (esperto in tre lingue): ebraico, greco, latino. Nacquero così molte scuole trilingue in Spagna, in Francia e in Germania (prima fra tutte a Wittemberg).

La possibilità di disporre della Scrittura nelle lingue originali e l’interesse per esse, mise ben presto in luce l’esistenza di numerosi e gravi errori di traduzione della Vulgata.

Il movimento umanistico rese accessibili a tutti due strumenti essenziali per l’applicazione del nuovo metodo di studio della Bibbia.

In primo luogo il testo nelle sue lingue originali, come il Novum Instrumentum omne di Erasmo, che permise agli studiosi di avere accesso diretto al testo stampato del Nuovo Testamento. In secondo luogo fornì dei manuali delle lingue classiche che permisero agli studiosi di imparare certe lingue che altrimenti avrebbero continuato ad ignorare.

I riformatori così furono ben equipaggiati per essere intermediari tra i testi originali e il popolo che non era esperto di lingue bibliche.

Nacquero le prime traduzioni, la più celebre fu quella di Lutero che volle dare al suo popolo la Bibbia scritta nella sua propria lingua. Lutero voleva parlare al popolo con la lingua del popolo perché la sua prima necessità era di farsi comprendere da tutti. La Parola di Dio, che è diretta a tutti, deve infatti poter essere compresa da tutti. In questo è la forza della sua traduzione del-
la Bibbia e una delle cause della vittoria del protestantesimo in vaste zone della Germania, 
aggiunta naturalmente alla invenzione della stampa.

La sua traduzione fu completata nel 1534 e data alle stampe, grazie anche a Filippo Melantone che vi ha contribuito con la sua sicura e larga perizia filologica. Anche in Italia si sentirono gli influssi postumi dell’Umanesimo e della Riforma: il lucchese Giovanni Diodati, in esilio a Ginevra, tradusse la Bibbia dai testi originali che fu pubblicata nel 1607. Fu realizzata dai testi originali (per il Nuovo Testamento usò la versione di Erasmo), con un occhio sui lavori di Teofilo e di Brucioli.

Tutti quindi potevano leggere la Scrittura nella propria lingua con la vitalità e l’entusiasmo dei tempi apostolici, di conseguenza venivano minati gli insegnamenti del clero. La chiave della riforma della chiesa partiva dunque da due prospettive ben solide: “Sola Scrittura” e un laicato biblicamente istruito. Chiunque si avvicinava alla Scrittura poteva trovare in essa una guida completa ai fondamenti della fede e specialmente della condotta cristiana.

Quindi i riformatori trovarono terreno ben fertile al loro programma di riforme fondato su “Sola Scrittura”. Nel 1522 Zwingli intitolava così un trattato sulla Scrittura: “Chiarezza e certezza della Parola di Dio” (Scritti teologici e politici, Claudiana 1985), affermando che il fondamento della nostra fede è la Parola scritta, la Scrittura di Dio. Lutero credeva tanto fermamente nella Scrittura che sentì l’esigenza di tradurre la Bibbia per rievangelizzare le terre della Germania, offrendo a tutti i tesori di spiritualità racchiusi nel testo sacro (“La Bibbia di Lutero”, Claudiana).

Per Calvino anche le istituzioni e le regole della chiesa e della società dovevano essere fondate sulla Scrittura: “Io approvo solo quelle istituzioni umane che sono fondate sull’autorità di Dio e derivate dalla Scrittura” (da “Istituzione della religione cristiana”).

Queste dichiarazioni indicano l’altissima opinione che i riformatori avevano della Scrittura, opinione però che non sarà esente da difficoltà.

 

 

“Sola Scrittura” perché

Parola di Dio ispirata

 

Con poche minori eccezioni, tutti i protagonisti della Riforma del sedicesimo secolo erano in accordo sulla dottrina della Scrittura. Lutero, Zwingli, Knox, Calvino, e tutti i riformatori della seconda generazione sostenevano la verità che la Scrittura è un libro unico ed ispirato da Dio.

L’intera questione della natura dell’ispirazione non fu discussa molto dai riformatori, principalmente perché non era un punto di disputa con Roma. Ma i riformatori sostenevano fermamente che la Scrittura in tutte le sue parti, perfino nelle sue parole singole, è la Parola di Dio. Calvino scrive nel suo commentario a 2Timoteo 3:16:

 

“Chiunque quindi desideri trarre profitto nelle Scritture, prima di tutto che stabilisca questo punto fermo: che la Legge e i Profeti non sono una dottrina consegnata secondo la volontà e

il piacere degli uomini, ma sono dettati dallo Spirito Santo… Noi dobbiamo alla Scrittura la stessa riverenza che dobbiamo a Dio, perché essa è proceduta da lui soltanto, e non ha niente, frammisto ad essa, che appartenga all’uomo”([1]).

 

Il consenso fu quasi unanime: se la Bibbia è davvero la Parola di Dio, allora va amata, studiata, ubbidita e, in definitiva, bisogna fidarsi di essa. Se la Bibbia è la Parola di Dio, allora respingerla significa respingere Dio stesso.

La Scrittura dunque non è un libro qualsiasi e nemmeno il suo autore:

 

 “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Ti 3:16-17).

 

In queste parole troviamo la più concisa e precisa descrizione dell’importanza di “Sola Scrittura” per il cristiano. Nella teologia si parla della sufficienza della Bibbia, ovvero del fatto che la Bibbia è sufficiente per conoscere tutto quello che Dio vuole che pensiamo o facciamo.

Ma Paolo afferma che ogni parola che troviamo nella Bibbia è stata voluta da Dio stesso per metterci a disposizione tutto ciò che abbiamo bisogno per poter vivere così come Dio desidera da noi e per fare le opere buone che vuole che noi facciamo.

Da queste parole capiamo che se facessimo ciò che la Bibbia ci chiede non potremmo sbagliare, perché tutto ciò che troviamo in essa è la verità che Dio ha scelto di insegnarci. Inoltre capiamo che non dobbiamo fare assolutamente niente, oltre a ciò che ci comanda la Bibbia, per essere irreprensibili agli occhi di Dio, per piacere a Dio. È la Bibbia che ci convince di peccato, che ci corregge quando sbagliamo e che ci aiuta a fare ciò che è giusto.

Il Signore mette sulla penna di Paolo l’aggettivo theòpneustos (che compare una volta sola nella Bibbia), letteralmente “soffiata da Dio”, cioè prodotta dall’alito di Dio, data da luiCome dice E. Sauer, “L’ispirazione biblica è l’azione dello Spirito Santo per mezzo della quale Egli ha misteriosamente influenzato e riempito lo spirito degli autori umani, guidandoli e dirigendoli in modo da produrre uno scritto ispirato ed infallibile, un testo sacro, un libro divino” ([2]). Dio ha scelto strumenti umani per essere canali del suo divino messaggio agli uomini.

Un equivoco che si propone frequentemente, quando si parla di “Ispirazione della Scrittura”, è quello di riservare questo termine, e tutto ciò che esso comporta, generalmente agli scrittori, parlando così di “uomini ispirati” o “scrittori ispirati”.Per quanto bella e accattivante, quest’idea non è sostenuta dalla Scrittura stessa, in  quanto dove parla di ‘ispirazione’ e di ‘ispirato’, si riferisce al risultato, agli scritti, più che ai loro redattori. La solenne affermazione di Paolo in 2Timoteo 3:16 indica in Dio il divino Autore e quindi tutto ciò che questo divino Soffio ha prodotto è dichiarato divinamente ispirato.

Questi concetti sono chiaramente confermati da Pietro quando dice:

 

“Sappiate prima di tutto questo: che nessuna profezia della Scrittura proviene da un’interpretazione personale; infatti nessuna profezia venne mai dalla volontà dell’uomo, ma degli uomini hanno parlato da parte di Dio, perché sospinti dallo Spirito Santo” (2P 1:20-21).

 

Nessun autore ha detto qualcosa di personale, ma tutti hanno parlato da parte e in nome di Dio, perché portati dallo Spirito. Del resto, in tutta la Scrittura, è evidenziata l’opera creatrice dello Spirito Santo (Ge 2:7; Gb 33:4; Sl 33:6).

Lo Spirito Santo non ha spogliato l’uomo della sua personalità, né lo ha privato delle sue facoltà mentali e intellettive. Chiarire completamente come sia stato possibile per l’uomo redigere esattamente e senza la minima alterazione il messaggio divino, conservando intatte le sue facoltà e la sua personalità, è praticamente impossibile. Ci troviamo davanti alle stesse difficoltà che si incontrano quando si vuole spiegare esaurientemente l’unione dell’umano e del divino nella persona di Cristo.

Paolo dice che tutta la Scrittura è ispirata da Dio, dunque si parla di ispirazione Verbale e ispirazione Plenaria. Per ispirazione Verbale si intende che lo Spirito Santo ha guidato gli scrittori anche nella scelta delle espressioni e delle parole da utilizzare, e ciò è avvenuto per tutta la Scrittura, nella sua interezza e totalità. La rivelazione scritta è completa perciò noi crediamo nel principio di “Sola Scrittura”, nel senso che la rivelazione è completa: nessuno deve aggiungere o togliere nulla (Ap 22:18-19).

L’ispirazione verbale della Parola di Dio si estende fino alle singole parole ed esige il fatto che Dio, a volte, porta lo scrittore sacro a forzare le regole grammaticali e della sintassi per rivelare delle verità importanti. In Genesi 1:1 è associato un nome plurale a un verbo singolare: “Nel principio Elohim (plurale: Dii) creò i cieli e la terra”. In Giovanni 8:58 l’evangelista supera le regole della sintassi usando un tempo presente invece di un imperfetto per dimostrare la divinità e la preesistenza di Cristo: “Prima che Abramo fosse nato io sono”.

I riformatori, e in particolare Lutero, dunque stabilendo il principio di “Sola Scrittura”, hanno accettato la Scrittura come Parola di Dio ispirata. Peccato che a volte i discepoli non seguano del tutto il maestro: Lutero non significa luteranesimo che è la corrente religiosa sviluppata dai suoi successori, come pure Cristo non significa cristianesimo, la chiesa di Roma si ritiene cristiana ma non segue solo Cristo. Lutero ha sempre usato “Scrittura” e “Parola di Dio” come sinonimi, ma i suoi successori hanno preteso di staccare Scrittura e Parola di Dio in quanto la Scrittura comprenderebbe, a loro avviso, molti miti, leggende ed errori, perciò è importante discernere in essa la Parola di Dio. Secondo loro nessun teologo onesto può affermare la totale ispirazione della Scrittura. La Bibbia non è che “una testimonianza resa alla rivelazione e, quest’ultima si esprime per mezzo delle contraddizioni del testo” (Roland de Pury “Che cos’è il protestantesimo”, Claudiana).

Un seguace di Lutero del secolo scorso è stato il tedesco Rudolf Bultmann, definito il teologo della demitizzazione. Per capire la Parola di Dio è necessario che sia liberata dalle concezioni mitologiche risalenti all’epoca in cui essa è stata fissata per iscritto, in modo da poter essere presentata nella sua genuinità all’uomo di oggi, per il quale l’elemento mitologico è divenuto estraneo e incomprensibile.

Perciò ha eliminato: la preesistenza di Cristo, la sua divinità, la sua morte vicaria e la risurrezione, il suo ritorno, il giudizio finale, la trinità, la dottrina del peccato. A questo punto credo sia più logico sostituire il “Sola Scrittura” della Riforma con il “Sola Teologia” del Protestantesimo.

Non basta creare un principio se poi non lo si segue fino alla fine.

Oggi tutti i tentativi della Riforma sono stati in parte vanificati dal Protestantesimo liberale, e uno di questi è il tentativo di delegittimare la Scrittura come Parola di Dio ispirata.

Ma a prescindere da quanto i suoi oppositori cerchino di attaccarla, distruggerla o gettarla in discredito, la Scrittura rimane sempre “una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” 
(Sl 119:105).     



[1]() Da “Commentary on the Epistles to Timothy, Titus, and Philemon”, trad. William Pringle, Grand Rapids, Mich., Eerdmans, 1948.

[2]() Da From Eternity to Eternity, pag. 107.