La salvezza che abbiamo già ottenuto in Cristo e la speranza che nutriamo in attesa della sua piena realizzazione, hanno delle implicazioni pratiche per il nostro cammino. Il principio di fondo da tenere presente è questo: dal momento che colui che ci ha chiamati alla salvezza è Santo, anche noi dobbiamo essere “santi in tutta la nostra condotta” (1P 1:15).
La chiamata alla salvezza è seguita, subito dopo la nostra risposta, da una seconda chiamata: quella alla santità. Lo ha ricordato Paolo: “Questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate” (1Te 4:3). La SANTITÀ è la condizione di separazione dal peccato che viviamo fin dal momento in cui abbiamo creduto nel valore del sacrificio di Cristo per la nostra purificazione (Paolo definisce “santi” indistintamente tutti i membri delle chiese a cui scrive), il conservarla è l’obiettivo della nostra vita cristiana. La SANTIFICAZIONE è il processo graduale e quotidiano che viviamo per raggiungere quest’obiettivo: un processo che conoscerà i suoi alti e i suoi bassi, ma che comunque non dobbiamo mai interrompere. Avere la consapevolezza dei nostri limiti e del fatto che saremo perfettamente santi soltanto quando Cristo sarà manifestato, perché saremo simili a lui (1Gv 3:2), non deve costituire una giustificazione per i nostri fallimenti. Dio è pronto a rialzarci quando cadiamo e desidera intervenire nella nostra vita con la Grazia che santifica (Tt 2:12), così come è intervenuto con la Grazia che salva.
Questo processo di santificazione, di conservazione della santità, ci spinge a porci una domanda: in attesa del momento in cui raggiungeremo la mèta della santità perfetta, quale stile di vita dobbiamo avere?
Pietro ci ricorda la necessità di vivere la fede in modo coerente, trasformandola in azione: “dopo aver predisposto la vostra fede all’azione”, quindi la vita con Cristo è azione che scaturisce dalla fede! Questa frase esprime con parole attuali e più comprensibili il testo originale che il Diodati aveva così tradotto: “avendo i lombi della vostra mente cinti”. I lombi sono i fianchi del nostro corpo, quelli – tanto per fare una battuta – che misuriamo per controllare la nostra linea.
L’apostolo, riferendosi alla nostra mente, usa la metafora della tunica che doveva essere legata (“cinta”) ai fianchi prima di affrontare un viaggio, di svolgere un lavoro o di affrontare un impegno faticoso. Solo in questo modo era infatti possibile essere liberi nei propri movimenti. La tunica non veniva legata soltanto quando il corpo era in posizione di assoluto riposo.
Cingere i fianchi della mente significa liberarsi da ogni intralcio, liberarsi da tutti quei pensieri che possono impedire il cammino nella santificazione, rendendoci totalmente disponibili all’azione di Dio nella nostra vita perché è lui che produce in noi “il volere e l’agire secondo il suo disegno benevolo” (Fl 2:13). Quindi questa metafora ci ricorda che la santificazione non è riposo, non è passività, non si vive cioè attraverso una vita contemplativa e di isolamento dal mondo; ma si esprime attraverso il desiderio di muoversi, di andare in avanti e di crescere spiritualmente e moralmente con il Signore, seguendolo e servendolo.
La santificazione nasce da una mente predisposta all’azione, ma non a un’azione dirompente e soltanto appariscente, in cui a prevalere siano l’entusiasmo e l’eccesso di zelo. Il Signore desidera piuttosto un’azione sobria (“siate sobri”, 1P 1:13), dove per sobrietà deve intendersi l’atteggiamento di una persona che non esagera e soprattutto che evita ogni artificio, ogni ridondanza, ogni cosa superflua. L’essere sobri ci spingerà a evitare quella presunzione che spesso ci porta a ritenerci migliori degli altri, quindi più santificati degli altri, e a esprimere di conseguenza atteggiamenti e parole di giudizio che hanno il solo risultato di dividerci nel cammino verso la metà impedendoci di crescere “in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo” (Ef 4:15). Il cammino nella santificazione per conservare la santità sarà tanto più benedetto quanto più sarà condiviso.