Ricordo ancora con riconoscenza la metafora significativa che ho ascoltato durante una predicazione e che illustrava la nostra vita come una costruzione sostenuta da due colonne: la colonna della sofferenza e la colonna della gioia. Nell’esperienza di molti queste due colonne rimangono separate, talvolta distanti perché vissute come inconciliabili fra loro. Ma la costruzione acquisterà stabilità e avrà un senso soltanto quando saranno collegate e unite fra loro da un arco che riconosca il valore di entrambe. E la costruzione della vita sarà davvero stabile, quando l’arco con il quale sceglieremo di collegarle sarà rappresentato dalla presenza del Signore e dalla sua Parola.
Anche in questo 2024 abbiamo certamente vissuto le realtà rappresentate da queste due colonne: tutti noi, seppur in modi individualmente diversi, abbiamo conosciuto momenti di gioia e momenti di sofferenza. Come li abbiamo affrontati e vissuti? E come affronteremo quelli che verranno nel proseguimento del nostro cammino? Terremo le due colonne collegate fra loro dall’Arco divino cercando di capire cosa Dio vuole dirci e insegnarci attraverso ogni esperienza?
Uno dei racconti che più mi commuove fra i tanti episodi narrati nei cosiddetti “libri storici” è quello relativo al ritorno da Babilonia a Gerusalemme del gruppo di Giudei guidato da Zorobabele. Dopo due anni, utilizzati per trovare un proprio alloggio, questo gruppo si mise all’opera per ricostruire il tempio che i Babilonesi avevano distrutto. Mentre lavoravano c’era chi esultava per la gioia e chi, invece, vedendo le macerie e ricordando l’idolatria del popolo e il giudizio divino, piangeva “al punto che non si poteva distinguere il rumore delle grida di gioia da quello del pianto del popolo” (Ed 3:13). Il gruppo di quelli che gridavano di gioia e quello di quanti invece “piangevano ad alta voce” potevano apparire come due realtà fra loro separate e, nelle loro espressioni emotive, certamente lo erano. Ma c’era un arco che li univa, infatti leggiamo che “cantavano rispondendosi a vicenda, celebrando e lodando il Signore: «Perché egli è buono, perché la sua bontà verso Israele dura in eterno»” (Ed 3:11). Le persone che gridavano di gioia e quelle che piangevano erano unite dalla certezza che il Signore era lì con loro, che la sua bontà non era mai venuta meno: in questo modo il pianto non era disperato, ma consolato, e la gioia non era superficiale ed effimera, ma fortemente motivata.
Celebrare e lodare il Signore, riconoscere la sua bontà, nonostante a volte le apparenze ci facciano pensare il contrario, vedere concretamente la sua presenza in ogni situazione della vita, per essere consolati e sostenuti nelle prove e incoraggiati alla riconoscenza nei momenti felici: queste sono le realtà che conosceremo se sarà LUI a tenere collegate fra loro le colonne del pianto e della gioia.
L’autore del Salmo 119 ha testimoniato in modo efficace il valore per la sua vita di questa presenza: “Affanno e tribolazione m’hanno còlto, ma i tuoi comandamenti sono la mia gioia” (v. 143). È significativo per il nostro cammino con il Signore leggere che la gioia prodotta nella sua vita dalla lettura dei comandamenti, quindi la conoscenza della volontà di Dio, lo aveva aiutato in circostanze difficili della sua vita a superare l’ostacolo rappresentato da situazioni di difficoltà e di prova, non lasciandosi condizionare da esperienze negative ma, anzi superandole grazie alla consolazione della legge. In modo esplicito aveva prima raccontato che questa gioia lo aveva salvato dall’essere travolto dall’afflizione: “Se la tua legge non fosse stata la mia gioia, sarei già perito nella mia afflizione” (v. 92).
Pensando al proseguimento del nostro cammino sulla terra, lasciamo che il Signore tenga collegate le colonne del pianto e della gioia, ma guardiamo anche con fiducia e speranza al momento in cui “il Signore, Dio, asciugherà ogni lacrima” (Is 25:8), al momento in cui la nostra vita, per l’eternità, poggerà su una sola colonna: quella della gioia.