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Una moglie ritrova il corpo sanguinante del marito, scaricato come un sacco davanti alla propria abitazione: accanto una scatola con dentro il braccio reciso di netto dalla macchina con cui lavorava, da mesi sfruttato e schiavizzato; ma colpevole, per il suo datore di lavoro, di “una leggerezza che è costata cara a tutti”. Un diciassettenne ucciso brutalmente con decine di coltellate da due coetanei, per un piccolo debito non pagato, in un parco nel centro di Pescara. Poi i due giovani assassini sono stati ripresi da una videocamera, al bar a consumare tranquillamente un gelato. Ogni settimana si consumano stupri di singoli o di gruppo, come quello avvenuto a Perugia all’uscita di una discoteca; uno dei violentatori, privo di qualsiasi remora morale, ha pure filmato la scena. Saliamo più in alto istituzionalmente, ma drammaticamente più in basso moralmente. Siamo a Montecitorio: un deputato viene messo al tappeto da un pugno sferrato da un “collega”, poi malmenato anche da altri che avevano considerato un suo gesto come provocatorio. Anche qui giustificazioni vergognose a non finire da una parte e dall’altra! Andiamo al di là dell’oceano: Biden e Trump duellano in vista delle prossime elezioni presidenziali negli USA. Pure qui: nessun pudore nell’offendersi reciprocamente con linguaggio a dir poco scurrile. Infine, tornando in Italia, un giornalista scopre scritte e dichiarazioni antisemite, con slogan di matrice nazifascista, da parte di autorevoli (sic!!) esponenti giovanili del partito di maggioranza. La senatrice Liliana Segre, memore della sua storia di bambina deportata, e preoccupata per il possibile ripetersi di quella sua degradante vicenda umana, ha così commentato: “Non ci si vergogna più di nulla!”. Parole che riecheggiano quelle dell’antico profeta di Giuda: “Il perverso non conosce vergogna” (So 3:5).

Ho trovato due definizioni della parola “vergogna”. La prima la definisce come un “profondo e amaro turbamento interiore che ci assale quando ci rendiamo conto di aver agito o parlato in maniera riprovevole o disonorevole”. La seconda: un “sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito”. 

Perché non ci si vergogna più? Quando gli uomini vivono “estranei alla vita di Dio”, cioè quando non tengono in alcun conto la volontà e la presenza del loro Creatore, finiscono per avere “l’intelligenza ottenebrata” e per perdere “ogni sentimento” (compresa la vergogna!) non avendo più valori morali assoluti che orientino la loro condotta e il loro linguaggio (Ef 4:18-19) e non temendo più che i loro comportamenti “possano essere oggetto di un giudizio”. Quale credito viene dato oggi, ad esempio, alle parole di Gesù: “Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio” (Mt 12:36)? Giudizio? Ma quale giudizio? Nessuno ci crede più, per questo non si prova più vergogna e si è pronti a giustificare tutto e ad autogiustificarsi per tutto. Eppure è proprio la vergogna il sentimento che apre la strada al ravvedimento, al perdono… alla vita eterna. Gesù raccontò una parabola (Lu 18:9-14), in cui mise a confronto la presunzione religiosa di un fariseo, preoccupato soltanto dal mettere in evidenza il suo non essere peccatore come gli altri, e la profonda vergogna di un pubblicano che “non osava neppure alzare gli occhi al cielo”, perché provava “un profondo e amaro turbamento interiore” provocato dalla consapevolezza “di aver agito e parlato in maniera riprovevole” così da essere “oggetto del giudizio sfavorevole” di Dio. Questa consapevolezza lo portò a gridare: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”. Ricordiamolo: non è possibile invocare la pietà di Dio e ottenere il suo perdono senza provare vergogna! Quindi: non vergogniamoci di… vergognarci!