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L’interpretazione: cosa significa il testo?

Bisogna subito dire che spesso e volentieri la prima fase, l’osservazione, e la seconda, l’interpretazione, si intersecano a vicenda. In altre parole qui le presento distinte e susseguenti ma possono andare insieme.

L’interpretazione è una fase di notevole importanza perché ci permette di cogliere il significato del testo dopo che l’abbiamo osservato in tutti i modi possibili. Qui entrano in gioco i principi di interpretazione. Nel menzionare questo argomento, alcuni si spaventano immediatamente perché affermano che la Scrittura non ha bisogno di essere interpretata. Ad esempio, dicono che durante l’ultima cena il Signore Gesù abbia promesso che lo Spirito Santo avrebbe insegnato “ogni cosa” (Gv 14:26), che avrebbe preso da lui per renderlo noto (Gv 16:15) aggiungendo: “vi guiderà in tutta la verità” (Gv 16:13).

Ma queste parole il Signore Gesù le ha rivolte in modo specifico ai discepoli e riguardano esclusivamente l’ispirazione degli scritti, parte del canone (rimando all’articolo sul Canone del Nuovo Testamento, IL CRISTIANO n. 4/aprile 2023; pp. 176-181) e non riguardano la guida, l’illuminazione dello Spirito Santo per far capire la verità biblica a tutti i credenti da allora in poi. L’evangelista stesso, Luca, nel riportarci l’episodio nel quale Gesù risorto aprì la mente dei due discepoli sulla strada di Emmaus, scrive che egli “SPIEGÒ loro in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Lu 24:27). Qui il verbo spiegare significa letteralmente “interpretare, tradurre, dare una spiegazione”.

L’interpretazione ci porta a tirare le somme e a trarre delle conclusioni basate sui fatti. Durante questa fase si cerca di capire il significato che l’autore biblico aveva in mente quando ha scritto il testo biblico. Questa è una fase basilare che richiede tempo e accuratezza nel seguire dei principi fondamentali; ma ne varrà la pena! 

Per studiare la Bibbia è quindi necessario farlo in modo obiettivo tenendo conto dei principi di interpretazione. Quando interpretiamo la Scrittura dobbiamo riprodurre il senso delle parole che lo Spirito Santo aveva ispirato all’autore umano.

Pertanto nel processo interpretativo in primo luogo è necessario considerare il linguaggio usato dall’autore per esprimere il pensiero divino.

In secondo luogo è necessario esprimere tale pensiero in modo comprensibile.

Una premessa importante: il presupposto per una corretta interpretazione della Scrittura consiste nell’avvicinarci ad essa credendo nella sua totale ispirazione, inerranza e autorità, quindi con uno spirito di riverenza e di fede.

Per noi cristiani evangelici essa non è un libro qualsiasi, come gli altri della letteratura mondiale: è la Parola di Dio in parole umane, è “la parola vivente e permanente di Dio” (1P 1:23). Pertanto come credenti che studiano la Scrittura dovremo, in primo luogo, rispondere alla domanda di fondo che è questa: “Cosa voleva dire il Signore guidando il suo servo a scrivere questo testo ispirato? Per quale ragione egli lo ha fatto inserire nella Scrittura in modo che i credenti da allora in poi, di tutti i tempi e in ogni luogo lo potessero leggere e capire?”

È vero, ci sono in essa delle parti difficili e oscure (ma per noi!) e alcuni aspetti che ci sembrano incompleti ma, parafrasando Kuen (in “Come interpretare la Bibbia”, ed. IBEI) possiamo affermare senza ombra di dubbio che “tutti gli aspetti dottrinali che riguardano la salvezza e i suoi risultati sono estremamente chiari e comprensibili”. 

Soltanto in in un secondo momento, quando interpretiamo la Scrittura dovremmo chiederci: “Cosa voleva dire l’autore biblico con quelle parole?”. Infatti, a differenza degli scrittori pagani del loro tempo vissuti prima della venuta di Cristo e nel I secolo, ogni autore biblico “ha parlato da parte di Dio perché sospinto dallo Spirito Santo” (2P 2:21). Pertanto la Scrittura, a differenza dei mondi cattolico-romano e ortodosso per i quali essa è la “prima regola di fede”, sottintendendo con questo che ce ne sono altre, per noi essa è la “sola regola di fede”.

Qui menziono cinque principi fondamentali con una spiegazione succinta. 

1. Bisogna interpretare la Scrittura per mezzo della Scrittura.

In primo luogo è necessario interpretare i brani oscuri o difficili con quelli più chiari e interpretarli alla luce dell’insieme dell’insegnamento scritturale.

Ad esempio, alcuni prendono il brano difficile di Ebrei 6:1-8 per dimostrare come sia possibile perdere la salvezza (beninteso, il brano non insegna questo!), ma ci sono un’infinità di testi biblici chiari che asseriscono come questo non sia possibile (Giovanni 10:28-29).

In secondo luogo, in tutta la Scrittura c’è un’unità di pensiero. Ad esempio, non si può parlare di un Dio vendicativo nell’Antico e di un Dio buono nel Nuovo Testamento. Così come non ci sono contraddizioni nei Vangeli: basta esaminare con cura i passi paralleli. E non c’è contraddizione fra quanto ha scritto Paolo, che ha posto l’accento sulla fede: “Giustificati dunque per fede abbiamo pace con Dio” (Ro 5:1) e Giacomo che sembra dica il contrario: “A che serve, fratelli miei, se uno dice di aver fede ma non ha opere? Può la fede salvarlo?” (Gm 2:14) Giacomo non dice che la salvezza si ottiene con le opere (Gm 2:10-11), ma che la persona salvata dimostra di essere tale agendo di conseguenza (Gm 1:21-25) e mostrando il suo operato, come scrive anche Paolo (Ef 2:10).

Infine, una dottrina si basa sempre su un testo didattico, le epistole, in cui si trova il sicuro fondamento della dottrina cristiana, e non su un testo narrativo che semmai la illustra o la esemplifica.

2. Bisogna tenere conto del carattere progressivo della rivelazione speciale.

Questo è stato il principio pedagogico di Dio perché egli ha voluto portare l’uomo dall’infanzia dell’Antico alla maturità dottrinale e spirituale del Nuovo Testamento.

Ad esempio, tanti sinceri credenti applicano alla loro vita le parole di Davide “non togliermi il tuo santo Spirito” (Sl 51:11) e pensano che sia possibile perdere la presenza dello Spirito Santo e quindi la salvezza. Essi non tengono conto che, prima della discesa dello Spirito Santo alla Pentecoste, egli non era dato a tutti e, quando era dato, poteva anche essere tolto (Giudici 14:6; 16:20).

Un credente boemo, Comenio, ha scritto un’opera, nel 1657, che ha influenzato la pedagogia Occidentale, nella quale uno degli elementi da lui sottolineato è quello della gradualità dell’apprendimento. Questo metodo, da acuto studioso della Scrittura, l’aveva appreso osservandone la progressione. Dio ha fatto scrivere ai suoi servi le verità bibliche in modo progressivo e sempre più completo. L’Antico Testamento è stato preparatorio e man mano il Signore ha aggiunto parti al suo pensiero fino a renderlo completo con la venuta di Cristo e con quanto hanno scritto gli apostoli. “La Legge, infatti, possiede solo un’ombra dei beni futuri, non la realtà delle cose…” (Eb 10:1). Se prendiamo una penna e proiettiamo l’ombra su un foglio di carta bianco, essa diventerà sempre più nitida man mano che avvicineremo la penna al foglio. E quando la penna sarà sul foglio ci sarà la “realtà” e non più l’ombra. 

3. Bisogna interpretare la Scrittura in modo grammatico-storico-letterale.

In generale, il significato più corretto di un testo biblico è il più ovvio. Questo vuol dire che la Scrittura afferma semplicemente quello che dice e che le parole vanno interpretate nel loro senso naturale, secondo le normali regole grammaticali. Questo significa che, di solito, una parola ha un solo significato quando è usata in una frase e che il significato di una parola è legata alla frase da regole di grammatica.

Studiando il testo biblico possiamo porre domande testuali (che parole ha usato l’autore?), lessicali (cosa vuol dire quella determinata parola?) e grammaticali (cosa vogliono dire queste parole messe insieme in questo modo?).

Lutero, dopo secoli nei quali la Bibbia era stata oscurata, interpretava la Scrittura secondo il sensus literalis, cioè seguendo il principio letterale, cioè il modo in cui era stata scritta tenendo conto della grammatica, delle circostanze in cui l’autore biblico aveva scritto e del contesto in cui si trovava il passo biblico da esaminare. Oggi il principio grammatico-letterale è importantissimo visto che molti ne seguono altri che sviliscono l’autorità della Scrittura. 

4. Bisogna tenere conto del contesto.

Qualcuno ha detto giustamente che “un testo senza contesto diventa un pretesto”. Senza tener conto del contesto si può far dire alla Scrittura qualsiasi cosa. Quando studiamo un libro dobbiamo porci delle domande sul contesto storico e analizzare il retroscena dell’ambiente, quanto è avvenuto nello stesso periodo storico.

Poi dobbiamo chiederci: “Per quale motivo l’autore ha scritto questo? Quali erano i bisogni dei suoi primi lettori?”.

Ad esempio, i primi lettori del Vangelo di Matteo erano Giudei o Giudeo-messianici. Pertanto avevano necessità di capire che quanto era accaduto con la venuta e il ministero del Signore Gesù non era altro che un adempimento delle Scritture dell’Antico Testamento (Mt 1:22-23; 27:9).

Dobbiamo interpretare anche alla luce del contesto letterario chiedendoci: “Perché l’autore dice proprio questo a questo punto nello sviluppo del suo discorso?”.

Ad esempio la congiunzione “dunque” (Ro 5:1) stabilisce un legame di coordinazione concludendo tutta l’argomentazione dell’apostolo Paolo sul problema del peccato.

5. Bisogna usare molta cautela nell’interpretazione della profezia e delle parabole.

Per quanto riguarda la prima, i profeti spesso parlavano/scrivevano un messaggio di forte richiamo per i loro contemporanei. Poi hanno profetizzato il futuro: sia quello che si è adempiuto subito oppure quello che si sarebbe adempiuto nel giro di qualche anno o di qualche secolo (per quest’ultimo c’è l’esempio dei due capitoli di Daniele: 2 e 7), sia, ancora, quello riguardante la prima venuta di Cristo, i giudizi del “giorno del Signore” (la tribolazione) che precederanno la sua seconda venuta in terra. Il Nuovo Testamento aggiunge l’importantissimo argomento del ritorno di Cristo per rapire la Chiesa che si colloca fra la prima venuta di Cristo e i giudizi appena menzionati. 

Per quanto riguarda le parabole è buona regola capire che cosa le ha provocate (esempio il trittico di Luca 15 dipende, per l’interpretazione, dai primi due versetti), quindi il contesto, poi è necessario ricercare la verità centrale, infatti la parabola non è un’allegoria dove tutti i dettagli hanno un significato. Poi si deve considerare se Gesù abbia intepretato o meno la parabola. In questo caso (ad esempio Matteo 13) abbiamo una guida sicura che ci permette di capirne il significato. Quando è possibile, può essere utile conoscere i vari costumi e le abitudini del tempo. Infine bisogna cogliere la lezione spirituale che si può ricavare.

L’applicazione: cosa significa il testo per me?

L’applicazione è la meta e il risultato finale dello studio biblico. Risponde alla domanda: “Come dovrò applicare queste verità alla mia vita?”. Non è sufficiente accontentarsi di conoscere il significato della Scrittura. Dio vuole che noi possiamo lasciarci cambiare dal suo insegnamento, applicando la Parola. Questo verbo è di derivazione latina: ad a, e plicare piegare, da cui accostare. In altre parole, quando leggiamo un brano vogliamo accostare le verità lette/studiate al nostro percorso di vita cristiana.

Il brano di 2Timoteo 3:15-17, molto chiaro a riguardo, afferma che le Scritture ci sono state date per la loro quadruplice utilità. I quattro verbi hanno diverse sfaccettature e il secondo e il terzo sono usati solo qui nel Nuovo Testamento. Sono utili a: insegnare (in senso generale); riprendere (nella versione greca di Numeri 5:18 è usato per convincere un peccatore); correggere (restaurare, rimettere nella giusta posizione) e educare alla giustizia.

La finalità della Scrittura è duplice: rendere il credente completo (in grado di soddisfare tutte le richieste di Dio) e preparato/equipaggiato per ogni opera buona.

L’applicazione è il punto d’arrivo del nostro studio, infatti la Scrittura ci ammonisce a non essere “solo uditori ma anche facitori” (Gm 1:22).

Ecco alcuni suggerimenti pratici che aiutano ad arrivare ad una applicazione corretta. Bisogna chiedersi: “Che cosa mi insegna questo particolare testo biblico? È generale o specifico?”.

Bisogna cercare delle applicazioni alla luce dei propri punti forti e deboli: “Ci sono dei comandamenti cui non ho ubbidito? Ci sono delle abitudini sbagliate che devo correggere o dei peccati che devo confessare?”.

Bisogna capire bene se le verità studiate hanno una valenza ancora per noi oggi; ad esempio, è ovvio che i sacrifici levitici siano stati superati dall’opera di Cristo. Bisogna collegare il testo biblico alla nostra vita riassumendo le verità che paiono applicarsi proprio a noi. Bisogna meditare sul testo biblico studiato e annotare in una o più frasi – concrete – ciò che dobbiamo mettere in pratica. 

Se nelle prime due fasi, quella dell’osservazione e quella dell’interpretazione, noi studiamo il testo, qui è il testo che studia noi. Una buona applicazione, il punto culminante dello studio, richiede riflessione e tempo, ha sempre dei risvolti personali e, soprattutto, deve necessariamente portare a una trasformazione!