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Alcuni anni fa, al termine di un incontro in un’assemblea dove ero stato fraternamente invitato, chiesi ad alcuni giovani presenti quale percorso di studio stessero seguendo. Le risposte di alcuni mi sorpresero: “Io lavoro; ho smesso di studiare perché a cosa serve andare a scuola?”; “Io non vedo l’ora di compiere sedici anni per lasciare la scuola e andare a lavorare…”. Certamente, se penso agli esempi negativi di tanti giovani che ciondolano oziosamente da un bar all’altro o che sprecano il loro tempo davanti al loro immancabile tablet, è difficile contestare scelte che esprimono la volontà di lavorare. Ma l’abbandono scolastico e la desuetudine alla lettura, sempre più diffusa fra le nuove generazioni, stanno provocando un preoccupante fenomeno: l’analfabetismo funzionale. 

Secondo una recente indagine della “Federazione Logopedisti italiani” infatti un italiano su tre è analfabeta funzionale, cioè, pur essendo in grado di leggere tecnicamente un testo, non è in grado di comprenderlo perché gli sfugge il significato delle parole. Quindi l’acquisizione delle abilità strumentali del leggere viene vanificata dalla incapacità di comprendere il testo che si sta leggendo. È un serio problema che ci coinvolge direttamente come discepoli di Cristo. Infatti la nostra relazione con lui, guidata dallo Spirito Santo, passa attraverso l’ascolto della sua Parola e questo ascolto è possibile solo leggendo le Scritture. Per questo motivo alcuni pionieri dell’Evangelo in Italia si preoccuparono, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, di creare piccole scuole rurali per offrire a una popolazione, al 70% analfabeta, la possibilità di imparare a leggere e, quindi, di poter aver accesso alla Parola di Dio. Ma, se la lettura è ridotta al solo riconoscimento delle lettere, e dei corrispondenti suoni, non potrà avere un impatto positivo sulla vita di chi legge, perché ad aver valore sono il contenuto della parola e il messaggio che essa trasmette. Le Scritture devono essere non solo lette, ma comprese. La domanda di Filippo all’eunuco etiope è sempre attuale: “Capisci quello che stai leggendo?” (At 8:30): una domanda che, davanti al persistere dell’abbandono scolastico e del conseguente venir meno di una seria alfabetizzazione funzionale, può diventare drammatica rivelando l’incapacità di molti di comprendere le Scritture. Certamente l’eunuco etiope aveva un problema d’interpretazione del brano di Isaia che stava leggendo e non solo quindi di comprensione. Ma è chiaro che non può esserci possibilità di corretta interpretazione senza la base di una efficace comprensione. Nella solenne adunanza dei Giudei reduci da Babilonia, i Leviti “leggevano nel libro della legge di Dio in modo comprensibile, ne davano il senso per far capire al popolo quello che leggevano” (Ne 8:8). 

Non dimentichiamo quindi il bisogno che abbiamo di una cultura linguistica che ci consenta di comprendere correttamente quello che leggiamo e che la scuola può fornire ai più giovani. Pendiamo come esempio, anche in questo, Gesù il quale da bambino e poi da adolescente, oltre che in statura e in grazia, cresceva anche “in sapienza” (Lu 2:52), frequentando la scuola rabbinica nella sinagoga di Nazaret. Quando leggiamo le Scritture, dovremmo essere in grado di rispondere “Sì!” alla domanda che Gesù ci pone, così come la pose a discepoli: “Avete capito tutte queste cose!” (Mt 13:51). E la nostra risposta non deve essere frutto di presunzione. Riconoscere di essere analfabeti funzionali non è motivo di vergogna, ma è piuttosto un umile riconoscimento dei nostri limiti da cui scaturirà il desiderio di comprendere bene quello che abbiamo letto. Il desiderio dell’eunuco etiope fu soddisfatto dall’intervento di Filippo, quello dei Giudei reduci da Babilonia dall’aiuto dei Leviti; il nostro può essere esaudito attraverso i doni dati dallo Spirito alla chiesa “per il perfezionamento dei santi” (Ef 4:12).