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Uno dei più frequenti sintomi che rivelano il contagio da Covid-19 è la perdita del gusto. Le papille gustative vengono in qualche modo neutralizzate dal virus e non consentono più di riconoscere il sapore dei cibi e delle bevande: un’esperienza sicuramente poco piacevole per chi è stato o è costretto a viverla, a volte anche per mesi. Può diventare piacevole solo nel caso in cui si sia costretti a mangiare i cibi preparati da un “cuoco” assai poco provetto, come me.

Ma perché il gusto è così importante?

Prima di tutto perché ci avverte della qualità di ciò che stiamo mettendo in bocca, infatti ci aiuta a discernere in modo oggettivo il dolce dall’amaro, l’insipido dal salato, l’ancora mangiabile dall’ avariato e ciò che è gradevole da ciò che non lo è più. Ma qui entra in gioco la nostra soggettività e, come recita un noto proverbio latino, “de gustibus non est disputandum”, cioè sui gusti non si deve discutere perché ognuno ha il diritto di avere i suoi. In ogni modo è evidente che perdere la capacità di distinguere il sapore dei cibi può mettere a repentaglio la nostra salute fisica.

Ma, oltre ad essere importante perché ci protegge, il gusto lo è anche perché ci fa provare piacere. Il dizionario Treccani lo definisce addirittura come un “intimo godimento” che può spingerci a volte anche a trattenere un cibo o una bevanda in bocca per sentirne a lungo il sapore e rendere più piacevoli le sensazioni che ci offrono. 

Mentre ascoltavo qualche giorno fa il disagio di una persona che non riusciva più a sentire i sapori, ho compreso meglio il motivo per il quale Dio nella sua Parola usa per almeno tre volte il verbo “gustare” in riferimento a “cibi” straordinari da lui offerti a ogni uomo.

Il primo “cibo” è il suo amore: “… come bambini appena nati, desiderate il puro latte spirituale, perché con esso cresciate per la salvezza, se davvero avete gustato che IL SIGNORE È BUONO” (1P 2:2-3). In un altro testo si fa riferimento al gusto che si è incoraggiati ad avere per altri due “cibi”: “IL DONO CELESTE” e “LA BUONA PAROLA DI DIO” (Eb 6:4- 5). 

L’uso del verbo gustare in riferimento all’amore di Dio, al dono celeste del suo unico Figlio e alla sua Parola fa pensare a queste tre realtà divine come se fossero “alimenti” gustosi e preziosi a tal punto che non dovrei accontentarmi semplicemente di cibarmene, ma dovrei assaporarne a fondo la sostanza, il sapore, gli aromi, per ricevere sia il discernimento sia il piacere che essi sono in grado di donarmi. Non casualmente il contesto nel quale sono collocati questi riferimenti mi consente di comprendere che, nel cammino cristiano, la mia crescita è legata a come ho gustato e continuo a gustare questi doni divini. Infatti soltanto se avrò gustato la bontà del Signore nei miei confronti, sentirò il bisogno di bere “il puro latte spirituale” in modo che la mia mente e il mio cuore siano nutriti da lui, dalla sua presenza, dalle sue parole. Soltanto se avrò davvero gustato il dono ineffabile di Gesù e il dono della Parola, sentirò il desiderio di essere fedele, coerente e ubbidiente evitando cadute o addirittura apostasie che rivelino la realtà di un gusto spirituale emotivo e superficiale e di una fede in realtà mai esistita.

Gustare ogni giorno l’amore di Dio, il dono di Gesù e la Parola mi permetterà di avere il discernimento per distinguere il male dal bene, l’ingiustizia dalla giustizia, la menzogna dalla verità. 

Ma non solo! Il gusto mi farà avere anche il piacere di assaporare il valore di questi straordinari doni eterni. Me li farà godere nell’intimo. Quale dramma sarebbe per la mia vita se io perdessi il gusto per queste realtà divine, se mi lasciassi contagiare dai virus dell’indolenza, dell’indifferenza, della pigrizia! E quali e quante benedizioni conoscerei, se ogni giorno vivessi la stessa esperienza del salmista a tal punto da poter esclamare insieme a lui: “Oh, come sono dolci le tue parole al mio palato! Sono più dolci del miele alla mia bocca” (Sl 119:103)!