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Cenni storici

Efeso, fondata probabilmente nel XV-XIV sec. a.C., si trovava sulla costa dell’odierna Turchia, vicino alla città di Smirne (Izmir). La città, che diede i natali a uno dei più famosi filosofici presocratici, Eraclito (535-475 a.C.), conteneva monumenti di straordinaria e imponente struttura, come il tempio di Artemide (la Diana dei Romani), forse il più grande edificio del mondo antico, una delle sette meraviglie del mondo, raso definitivamente al suolo nel 401. Famosi anche il suo teatro, il tempio di Adriano, la biblioteca di Celso, l’agorà, ecc… 

Al tempo di Ottaviano Augusto, Efeso divenne la capitale della provincia romana nell’Asia Minore, sede del prefetto romano e si trasformò in una metropoli centro di commerci con più di 200.000 abitanti. È stata la terza città più potente del mondo antico dopo Roma e Alessandria d’Egitto.

Fu sede di un concilio ecumenico (431), uno dei primi concili della storia della chiesa cristiana, dopo quello di Nicea (325) e Costantinopoli (381). Subì numerose invasioni e distruzioni, terremoti e altre calamità che portarono al completo abbandono della città nel XV secolo.

La Efeso biblica

Efeso, i suoi cittadini e la chiesa cristiana locale sono citati espressamente 20 volte nel Nuovo Testamento. Una delle lettere di Paolo scritte dalla prigionia era diretta a Efeso e, probabilmente, per tutte le altre chiese dell’Asia Minore, sette delle quali, compresa Efeso, sono citate nelle sette lettere a esse indirizzate da Gesù in Apocalisse (capp. 2-3).

Sebbene alcuni Ebrei, o proseliti ebrei, potrebbero essere arrivati alla fede in Cristo durante la Pentecoste descritta in Atti 2 (dove si parla di anche della presenza di abitanti dell’Asia, v. 10), si fa risalire la nascita della chiesa di Efeso inizialmente all’opera di Aquila e Priscilla che istruirono “un Giudeo di nome Apollo, oriundo di Alessandria, uomo eloquente e versato nelle Scritture, giunse a Efeso. Egli era stato istruito nella via del Signore; ed essendo fervente di spirito, annunciava e insegnava accuratamente le cose relative a Gesù, benché avesse conoscenza soltanto del battesimo di Giovanni. Egli cominciò pure a parlare con franchezza nella sinagoga. Ma Priscilla e Aquila, dopo averlo udito, lo presero con loro e gli esposero con più esattezza la via di Dio” (At 18:24-26).

Ma sarà con l’arrivo di Paolo (che aveva lasciato Aquila e Priscilla a Efeso dopo una sua breve sosta in città – At 18:18-21) che assistiamo alla prima vera nascita di un gruppo di credenti, che si incontrano tra di loro. Paolo si trattenne a Efeso per circa tre anni (At 20:31), predicando, insegnando, incontrando anche molte opposizioni sia da molti giudei (At 19:9; 20:19), che dai mercanti e cittadini di Efeso, che volevano difendere il culto di Diana e il commercio derivante dalla vendita dei tempietti d’argento dedicati alla loro dea (At 19:23-41). Ai Corinzi Paolo dirà anche che a Efeso aveva “lottato con le belve” (1Co 15:32).

Prima di lasciare definitivamente i fratelli della chiesa di Efeso, Paolo fece chiamare gli anziani di quella chiesa per un lungo e accorato discorso (At 20:17-38), in cui parlò del suo passato nei tre anni trascorsi tra di loro, del presente pieno di incognite che lo aspettava e lanciando un importante e profetico avvertimento agli anziani: 

“Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime” (At 20:28-31).

Dopo aver lasciato Efeso, Paolo mandò lì Timoteo, che si fermò nella chiesa per un anno e mezzo, proprio per correggere le false dottrine di alcuni dei loro insegnanti (1Ti 1:3, 20). Paolo citò anche Onesiforo, come fedele servitore a Efeso (2Ti 1:17-18), dove mandò inoltre il suo collaboratore Tichico (2Ti 4:12). 

Solo dopo circa 8-10 anni Paolo scrisse la sua lettera alla chiesa, mentre si trovava prigioniero a Roma. Probabilmente, come dicevamo, una lettera circolare destinata, come altre, anche alle varie chiese vicine.

Circa trent’anni dopo il Gesù risorto affidò in visione a Giovanni, che la tradizione vuole aver vissuto per lungo tempo a Efeso, una lettera indirizzata alla chiesa di Efeso, mentre si trovava nell’isola di Patmos, a circa 100 km. a sud-ovest di Efeso. Leggiamola:

“All’angelo della chiesa di Efeso scrivi: queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: «Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono, e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amore del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi. Tuttavia hai questo: che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto. Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio»” (Ap 2:1-7)

Il problema

Nella lettera si fa riferimento alle opere, alle fatiche, alla costanza e sopportazione nella persecuzione, alla capacità dei cristiani di Efeso di lottare contro le eresie e di smascherare i falsi apostoli, quei “lupi rapaci” di cui Paolo aveva parlato agli anziani della chiesa tanti anni prima. Era quindi una chiesa dalla sana dottrina e che sapeva combattere per essa e rimanere fedele. 

Ma c’è un “ma”, un rimprovero di Gesù: “hai abbandonato il tuo primo amore” (v. 4). L’ammonimento è serio, poiché invita a un rapido e deciso ravvedimento, pena la rimozione del candelabro (v. 5), cioè la rimozione della funzione di luce del mondo nella città e regione dove vivevano (vedi Ef 5:8). In pratica voleva dire la fine della chiesa di Efeso, la fine della testimonianza in quella città.

Questo ci fa capire che una giusta e sacrosanta ortodossia dottrinale, lo zelo per la verità, la strenua lotta per la fede, non compensavano l’abbandono del primo amore per Gesù.

Ricordiamo le parole di Paolo: 

“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente” (1Co 13:1-3).

È l’amore, solo l’amore, il segno profondo e indispensabile della vita cristiana, il primo e più grande dei comandamenti, che racchiude tutto il resto: 

«Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti” (Mt 22:37-40).

Cosa era quindi successo alla chiesa di Efeso? Avevano smesso di amare Gesù? Probabilmente no, Gesù non dice questo. Però avevano smesso di amarlo come lo amavano all’inizio. 

Spesso si dice che, in una relazione a due, c’è la fase dell’innamoramento e poi si passa a un amore più maturo, meno passionale, più equilibrato. Vero, ma se perdiamo di vista e non rievochiamo e proviamo a tenere vivo quello che ci ha fatti innamorare, allora la nostra relazione sarà solo uno stanco proseguire quotidiano, dove l’affetto che ci lega non è più l’elemento trainante della nostra vita di coppia. E può anche succedere, come spesso purtroppo succede, che questo amore un giorno finisca. 

Credo che le motivazioni siano varie e che dipendano anche da come è iniziata la nostra storia d’amore, se si basava veramente sull’amore o solo sull’attrazione o su altri elementi, tutte cose importanti, ma che non devono prescindere dall’amore. Certo le coppie sono fatte da persone, entrambi fallibili e imperfette e quindi anche la loro relazione potrà esserlo di conseguenza. Qui però parliamo di una relazione diversa, anche se Gesù stesso prenderà come esempio la relazione coniugale per parlare della sua relazione con la chiesa, e proprio nella lettera indirizzata agli Efesini da Paolo (Ef 5:22-33). 

Ora, questa fedele e combattiva chiesa, aveva abbandonato il suo amore iniziale, dove per “abbandonare” viene usata la stessa parola che indica anche il divorziare, quindi una separazione, un distacco netto. 

La situazione di Efeso ricorda un po’ quella di Israele, di cui si lamentava Dio per bocca di Geremia:

“Va’, e grida alle orecchie di Gerusalemme: Così dice il SIGNORE: «Io mi ricordo dell’affetto che avevi per me quando eri giovane, del tuo amore da fidanzata, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata. Israele era consacrato al SIGNORE, egli era le primizie della sua rendita…»” (Gr 2:2-3).

Come Israele, anche la chiesa di Efeso a un certo punto non ha più guardato con gli stessi occhi colui che lo ha amato per primo e che ha reso possibile amarlo e amare gli altri (1Gv 4:19), non seguendolo più nello stesso modo dell’inizio. Ecco che allora le sue opere, quelle a cui Gesù fa appello affinché ritornino a farle, non erano più quelle di prima (Ap 2:5). Sempre opere erano, magari anche numerose, in una chiesa impegnata su tanti fronti, combattiva e dottrinalmente perfetta, ma… rimane quel “ma” di Gesù. Se l’amore personale e della chiesa non è tutto per Dio, per Gesù, per la sua Parola e per gli altri; se non è l’amore che spinge ognuno a fare, a operare… allora tutto questo operare non giova a nulla, la luce smette di brillare.

La soluzione

Cosa doveva quindi fare la chiesa di Efeso per evitare che Gesù le togliesse la luce della testimonianza? La Parola ci indica tre cose: “RICORDA dunque da dove sei caduto, RAVVEDITI, e COMPI le opere di prima”.

Innanzitutto doveva ricordare. Doveva ricordarsi di quel primo amore, di quel fuoco, di quella passione che la spingeva ad amare Gesù in maniera incondizionata, senza troppi calcoli o paure. 

E noi, ci ricordiamo di quando abbiamo scoperto l’amore di Gesù per noi e lo abbiamo corrisposto? Per alcuni di noi sono passati pochi mesi, per altri molti anni. Quel sentimento è ancora vivo e presente in noi? Se non abbiamo ricordi perché non abbiamo avuto esperienze di quel genere, allora è tempo di iniziare a viverle. Se invece non abbiamo ricordi perché ce ne siamo dimenticati, allora è tempo di rinfrescare la nostra memoria. Dobbiamo capire come e quando siamo inciampati, dove siamo caduti e come e quando è successo che quel primo amore è iniziato a scemare, a trasformarsi in qualcosa di diverso, di meno coinvolgente o di più scontato.

Dobbiamo capire da quando le sue parole non ci dicono più quello che ci dicevano all’inizio, cioè da quando, come i discepoli sulla via di Emmaus, “sentivamo… ardere il cuore dentro di noi mentre egli ci parlava” (Lu 24:32). Da quando abbiamo smesso di continuare a invocarlo, come fu per Israele con Dio: “Tu non mi hai invocato, Giacobbe, anzi ti sei stancato di me, Israele!” (Is 43:22), portando Dio stesso a domandarsi cosa fosse successo: “Popolo mio, che ti ho fatto? In che cosa ti ho stancato”? (Mi 6:3). Se il nostro primo amore, come per Efeso, è venuto meno, o rischia di esserlo, allora riflettiamo e facciamo il passo successivo.

Il ravvedimento qui richiesto si basa su un cambiamento di mente, su un modo di vedere le cose in maniera diversa, nuova, pentendosi di quanto fatto in precedenza per non ripeterlo. Ma non per fermarsi e non fare più niente, perché ci sentiamo mancanti, abbattuti, sconfitti… no, Dio non vuole mai portarci lì per lasciarci in quello stato di prostrazione, ma per poi farci ripartire di nuovo insieme, con quello stesso amore che in lui non è mai venuto meno e che in noi può riaccendersi, come un fuoco che riparte, riprende tutto il suo calore e la sua luce. E allora torneremo a fare delle opere, ma come quelle di prima, quelle fatte nell’amore, con amore e per amore, non per obbligo, non per consuetudine, non per dimostrare nulla, ma solo come risposta naturale all’amore di Gesù per noi e al nostro amore per lui.

Ma come è finita la storia per la città di Efeso? La città di Efeso oggi non esiste più e quindi nemmeno una chiesa cristiana. Esistono solo i suoi resti. E sapete qual è stato uno dei motivi fondamentali della fine della città, della gloriosa città di Efeso? Oltre a varie calamità naturali, a un certo punto questa grande città portuale, che doveva la sua ricchezza ai suoi commerci, ha perso il contatto con il mare. Il mare si è ritirato, separando la città dalla riva e quindi dalle navi. Aveva perso la sua unione con la fonte che le permetteva di vivere e operare. E così oggi è rimasta una città fatta di rovine, che fanno intravedere gli splendori del passato, ma che non ha più vita in sé.

E la fedele e combattiva chiesa di Efeso? Ha ascoltato gli ammonimenti di Gesù, ha recuperato il suo primo amore o si è staccata anche lei dalla fonte che le permetteva di vivere e operare? Ha continuato a essere luce nella sua città o il suo candelabro è stato rimosso?

Ebbene, sicuramente almeno per un po’ di tempo, la chiesa di Efeso ha fatto i passi richiesti da Gesù. Ne abbiamo testimonianza storica nella lettera scritta agli Efesini da Ignazio, uno dei padri della chiesa, originario di Antiochia, la chiesa fedele di cui abbiamo parlato in altri due articoli (vedi IL CRISTIANO n. 7/2021 pag. 348 e n. 8/2021 pag. 408), e contemporaneo di alcuni apostoli, sicuramente di Giovanni. Ignazio parlò espressamente in questa lettera dell’amore che gli Efesini avevano per Gesù (Ignazio, Lettera agli Efesini, 1:3; 2:1; 9:2).

La chiesa di Efeso era stata a lungo in una stretta relazione d’amore con Gesù, ma qualcosa era già nell’aria quando Paolo scrisse la sua lettera, visti i continui riferimenti all’amore (sempre agape e suoi derivati, in tutto ben 22 volte) e la lunga preghiera in cui invoca la necessità di conoscere appieno e tutti insieme l’amore di Cristo:

“Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre… e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3:14, 17-19). 

Infine, nell’ultimo versetto di quella stessa lettera, troviamo una chiusura molto significativa:” La grazia sia con tutti quelli che amano il nostro Signore Gesù Cristo con amore inalterabile” (Ef 6:24). Un amore inalterabile, un amore che non cambia con il tempo, che non si corrompe, che continua a vivere (la parola greca è la stessa usata per “immortalità”) e con la stessa intensità.

Gesù non vuole solo frequentazioni sporadiche e superficiali quando si parla di amore. Gesù desidera che dimoriamo in lui, cioè che facciamo di lui una presenza costante nella nostra vita, anche tramite l’ascolto ubbidiente della sua Parola: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio lo amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui” (Gv 14:23). Prima viene l’amore, come scelta consapevole (“se uno mi ama”), e poi l’ubbidienza e la pratica della sua parola, perché lì troveremo, non solo l’amore di Dio rivelato per noi, ma capiremo anche come vivere “seguendo la verità nell’amore” (Efesini 4:15). 

E allora questo rapporto tra noi e Dio, tra Cristo e la sua chiesa, diventerà stabile, inalterabile, perché costante sarà la dimora nel suo amore: 

“Come il Padre mi ha amato, così anch’io ho amato voi; dimorate nel mio amore. Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore. Vi ho detto queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia completa” (Gv15:9-11). 

Una gioia completa, un amore senza fine. Infine, facciamo nostro un altro appello che ci viene rivolto, soprattutto in questi tempi così difficili: 

“Facciamo attenzione gli uni agli altri per incitarci all’amore e alle buone opere, non abbandonando la nostra comune adunanza come alcuni sono soliti fare, ma esortandoci a vicenda, tanto più che vedete avvicinarsi il giorno” (Eb 10:24-25).