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L’autore

Quale amico in Cristo abbiamo” è sicuramente uno degli inni più conosciuti, amati e cantati dal popolo di Dio. Eppure il suo autore, Joseph Medlicott Scriven (1819-1886), non è molto conosciuto, sebbene la storia della sua vita sia interessante e significativa, caratterizzata dalla familiarità con difficoltà e sofferenze e da una grande intensità spirituale che ben si riflettono proprio nelle parole dell’inno.

Egli nacque esattamente 200 anni fa, il 10 settembre 1819 a Banbridge, nella contea di Down, in Irlanda, in una famiglia piuttosto agiata. Per volere del padre, capitano dei Royal Marines, entrò nell’accademia militare inglese. Ma dopo due anni dovette lasciare l’esercito a motivo della sua salute malferma. Nel 1842 conseguì la laurea al Trinity College di Dublino, dove nei primi anni di studio si era convertito al Signore. Da quel momento in poi Joseph cominciò a incontrarsi in comunione con fratelli che “si radunavano nel nome del Signore Gesù” e che avevano formato una delle prime Assemblee di cristiani a Dublino. Proprio questi fratelli erano stati lo strumento usato da Dio per la sua conversione.

Grazie alla sua buona formazione trovò lavoro come tutore. Nel 1843 si fidanzò per sposarsi, ma una terribile tragedia lo colpì: il giorno prima del matrimonio, la sua fidanzata cadde da cavallo mentre attraversava su un ponte il fiume Bann ed annegò. Il giovane Joseph aveva 24 anni.

In Canada

Due anni più tardi emigrò in Canada, consapevole che la sua conversione a Cristo e la sua identificazione con il movimento delle Assemblee “che si radunano nel nome del Signore Gesù”, avevano irritato la sua famiglia che era socialmente molto in vista.

Un episodio accaduto prima che Scriven partisse manifesta l’atteggiamento che egli ebbe per tutta la vita verso ogni bene materiale. Sua madre gli aveva regalato un mantello pesante ed anche molto costoso, perché si proteggesse dai rigidi inverni canadesi. Qualche giorno prima di salpare Scriven lo regalò, e con la madre esterrefatta e contrariata si scusò dicendo: “Ho dato il mio mantello ad un uomo che ne aveva più bisogno di me”.

Il suo soggiorno in Canada fu breve; infatti fu costretto a tornare in Irlanda a causa di una grave malattia. Divenne tutore nella famiglia Bartley a Plymouth e, nel 1846, viaggiò con loro in Medio Oriente. Mentre si trovava a Damasco scrisse la bozza di una poesia intitolata “Pray Without Ceasing” (“Pregare incessantemente”). Nel primo verso erano già presenti le parole “Quale amico in Cristo abbiamo”. Inviò la poesia a sua madre. Nessuno avrebbe mai immaginato che quei versi buttati giù in fretta sarebbero diventati più tardi un inno fra i più amati al mondo.

Nel 1847 tornò in Canada dove rimase per il resto della sua vita. Si stabilì in Ontario ad alcuni chilometri da Toronto. Iniziò a insegnare in una scuola e cominciò a radunarsi con un’assemblea cristiana di recente formazione. La sua testimonianza cristiana era molto nota e Joseph divenne molto conosciuto da tanti. Predicava nelle chiese e nelle strade, leggeva la Bibbia ai lavoratori che stavano costruendo una linea ferroviaria, distribuiva copie di opuscoli e di sue poesie, fra le quali anche “Pregare incessantemente”. Qualcuno lo descrisse in quel tempo come “un grande uomo, di aspetto gradevole”; era fra l’altro profondamente rispettato per il suo amore e altruismo.

Nel 1850 divenne tutore al servizio di una ricca famiglia del luogo, con la quale rimase per diciassette anni. Nella famiglia Pengelley conobbe una nipote, Eliza Roche. Joseph si fidanzò con lei ma poco prima delle nozze, nel 1860, dopo essere stata battezzata nel Rice Lake, la donna morì di polmonite. Fu dopo questo lutto che Joseph spedì alla madre la stesura definitiva della sua poesia, in cui nel primo verso parlava della grande fonte di conforto che hanno coloro che nella sofferenza ripongono la fiducia nel Signore.

La sua carità

Intanto Joseph aveva lasciato la famiglia Pengelley per andare a vivere e lavorare con la famiglia Sackville a Bewdley. Qui Joseph servì il Signore con le sue capacità e con i suoi doni in un’assemblea cristiana di recente formazione. In seguito si trasferì a Port Hope, non molto lontano, aiutando i poveri del luogo e le vedove. Intanto proseguiva a predicare l’Evangelo per le strade e agli operai nelle taverne con un linguaggio semplice e sobrio. Non mancarono coloro che lo deridevano giungendo perfino a lanciargli contro frutta e verdure marce. Alcuni lo chiamavano ironicamente “il vecchio Joe”, ma ci fu anche chi riconobbe in lui un santo uomo di Dio. Un giorno un vicino disse di lui: “Non ho mai visto un cristiano così coerente”.

“Sei salvato?” – chiese una volta Scriven, senza mezzi termini, ad un abitante di Port Hope. Un tale che aveva assistito intervenne e chiese al-
l’uomo se non si sentisse offeso da una domanda così insolente; ma l’altro gli rispose: “No, Joseph Scriven è un uomo troppo buono, nessuno si potrebbe offendere”.

La sua figura divenne familiare nella cittadina di Port Hope. Il suo cristianesimo era estremamente pratico ed il suo aiuto ai poveri, ai diversabili e alle vedove divenne leggendario. Rifiutava il pagamento per qualsiasi aiuto dato ai bisognosi. In un’occasione, per esempio, regalò il suo orologio d’oro per comprare una mucca che era indispensabile per il sostentamento di una famiglia povera. La sua famiglia in Irlanda smise di sostenerlo finanziariamente quando scoprì che egli donava quanto aveva.

Una volta fu invitato a partecipare ad una conferenza delle Assemblee a Toronto. Rispose all’invito dicendo che sarebbe stato presente e che avrebbe fatto il viaggio (circa 90 chilometri) a piedi. Un fratello di Toronto, saputa la notizia, gli mandò generosamente una somma sufficiente per il viaggio in treno e per il soggiorno in albergo a Toronto. Ma Scriven donò quel denaro ad una famiglia che viveva in ristrettezze e andò alla conferenza a piedi.

Una donna disse di lui che egli “avrebbe preso solo ciò di cui aveva bisogno per le sue necessità, anche se spinto a prenderne di più. Egli non desiderava onori o qualsiasi cosa mondana, ma desiderava essere libero di servire il suo Signore, con pura coscienza e umilmente”.

La morte

In età avanzata il suo timore era quello di disonorare il Signore, ma la sua fede rimase inalterata. Quando morì, nell’agosto 1886, era un uomo povero, ma le numerose e spontanee dimostrazioni di affetto testimoniavano la sua influenza nella regione. Fu sepolto nei pressi di Rice Lake a fianco della fidanzata che avrebbe dovuto sposare.

Nel 1919, nel centenario della sua nascita, fu decisa la collocazione di un monumento nel cimitero di Port Hope, in memoria di Scriven. Alla cerimonia di dedicazione del monumento parteciparono dalle sei alle ottomila persone. Il governatore dell’Ontario disse: “Egli non costruì strade, né mise insieme una fortuna, ma operò con un pensiero che vivrà oltre le strade e oltre ogni fortuna. Questo pensiero andrà avanti ad arricchire la vita degli uomini, quando le realtà materiali saranno distrutte e finiranno”.

Il pensiero imperituro a cui si riferiva il governatore era che il Salvatore Gesù è un Amico sempre vicino.

L’inno

Joseph Scriven scrisse numerosi inni e brevi articoli. In riferimento alla poesia “Pregare incessantemente” (“Quale amico in Cristo abbiamo”), gli fu posta la domanda: “Chi ha scritto questa poesia?”. E Scriven rispose: “L’abbiamo fatta io e il Signore”.

Dopo la morte di Scriven, nel 1868, il compositore Charles Converse scrisse la sua bella e appropriata melodia. Ira D. Sankey (1840-1908), musicista, cantante ed evangelista stretto collaboratore di Moody, affermò che ovunque lo avesse cantato quello scritto da Scriven era il canto preferito più di qualsiasi altro (N.d.R.: T.P. Rossetti adattò alcuni canti scritti da Sankey come “O Signore a te dinanzi”, “Incerto io volgo il passo”).

“Quale  amico in Cristo abbiamo” è stato definito “indiscutibilmente il pezzo più noto della letteratura canadese”.

Da oltre 150 anni quest’inno è stato cantato, con la sua caratteristica melodia, da cristiani provati dalla solitudine e dalle sofferenze fisiche ed affettive, ma è stato cantato anche nei momenti di tranquillità per rafforzare la fede. Nelle Assemblee è stato cantato ovunque nel mondo soprattutto durante le riunioni di preghiera. È stato cantato, al momento di salire sul patibolo, da criminali pentiti e convertiti a Cristo, da soldati sui campi di battaglia, ma sempre arrecando consolazione, conforto, edificazione, sprone, incoraggiamento, forza e sicurezza in tutte le varie esperienze e situazioni della vita.

Questo canto sottolinea la lezione che Satana fu costretto a riconoscere attraverso l’esperienza di Giobbe: il popolo di Dio continua ad amare il Signore, continua a lodare Dio, continua confidare in lui malgrado le afflizioni e le perdite. “Si tratta di una lezione pratica per le creature celesti e terrene (vd. 2Te 1:4-9) con cui si dimostra che Dio può essere amato solamente per Sé stesso e non tanto per le grazie che concede” (William MacDonald).