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Esasperati da eventi contrari

Quando ero adolescente ero solito riempire il diario di frasi o massime di personaggi famosi. Questi pensieri corrispondevano e determinavano un po’ il mio modo di essere e di pensare. Penso che gli adolescenti facciano lo stesso anche oggi.

C’è un’affermazione che di recente ho letto, che mi ha fatto riflettere e che forse è tra quelle che potrebbero finire nei diari dei ragazzi:

“Le decisioni che prendiamo sono un modo per definire noi stessi e per farci diventare quello che vogliamo, con i nostri pregi e i nostri difetti”.

Di per sé è un motto interessante, dipende però a cosa si riferisce e quali sono il contesto e le motivazioni che l’hanno ispirata.

Questa frase è stata pronunciata di recente da un famoso giocatore di calcio italiano qualche giorno dopo una partita in cui la sua squadra stava vincendo, avendo ribaltato e riequilibrato il risultato della partita precedente. A tempo scaduto però viene loro fischiato un rigore contro, più o meno dubbio. Proteste, concitazione… partono anche degli insulti all’arbitro, e di conseguenza: cartellino rosso per questo giocatore, che era il portiere. Sicuramente non è condivisibile il fatto di insultare, il giocatore in questione è un capitano maturo d’età, un’icona del calcio italiano e fino a quel momento non si era mai comportato così, anzi in occasioni simili aveva sempre cercato piuttosto di calmare i suoi compagni. Ma nella concitazione del momento forse si potrebbe in qualche modo comprendere. Quello che mi ha colpito però è che questa vicenda si è trascinata poi molto oltre, gli insulti sono continuati e hanno preso vigore anche nel dopo partita, quando l’esasperazione avrebbe dovuto piano piano scemare. E la frase che vi ho citato è stata detta proprio nel contesto in cui questo giocatore, ancora qualche settimana dopo l’accaduto, non riteneva assolutamente che i suoi insulti fossero fuori luogo e non ha fatto marcia indietro.

Ovviamente non siamo qui per fare ora il processo al giocatore, ma questa vicenda mi ha fatto riflettere. Sono d’accordo con l’affermazione del calciatore che le nostre decisioni determinano quello che vogliamo essere, la domanda è però chi siamo o chi vogliamo essere e su quali valori e motivazioni si fondano le nostre decisioni.

Se siamo sinceri, ci possono essere alcune o varie occasioni nella nostra vita quando al 94´ minuto, per dirla con metafora calcistica e proprio come è successo nella partita di cui vi ho parlato, succede qualcosa, magari anche di non pienamente giusto, che ci fa apparentemente crollare tutto addosso e l’esasperazione sembra l’unica reazione possibile. Oppure semplicemente ci possono essere momenti in cui ci accorgiamo che la nostra vita per alcuni aspetti non sta seguendo il corso che ci aspettavamo o desideravamo. Rimane l’esasperazione come unica via percorribile?

Quattro verità da ricordare

Guardate, non propongo qui il modello del credente “Superman”, che non può mai avere un momento di cedimento, che è sempre e in ogni circostanza forte e deciso e non sbaglia mai. La realtà e la Bibbia stessa non ci insegnano questo. Un “cartellino rosso” per proteste ci può stare, ma come rielaboriamo poi le cose nel “dopo partita”, quando la doccia e il riposo dovrebbero riequilibrare la concitazione e l’esasperazione?

Continuiamo a rimanere sulle nostre posizioni?

Continuiamo a giustificarci e piangerci addosso alimentando la nostra esasperazione?

Le nostre azioni determinano chi siamo

Come credenti, non dovremmo tramite le nostre azioni voler essere sempre di più e ancora di più rispetto a quello che la Bibbia ci dice a proposito della nostra natura?

La Bibbia dice che come credenti siamo dei peccatori perdonati, e poi cosa ancora?

Mentre riflettevo su questo, la mia lettura biblica aveva in programma il Salmo 95. Questo Salmo ci descrive nei versetti da 1 a 7 una delle caratteristiche della natura del popolo di Dio:

“Venite, cantiamo con gioia al SIGNORE,acclamiamo alla rocca della nostra salvezza! Presentiamoci a lui con lodi, celebriamolo con salmi! Poiché il SIGNORE è un Dio grande, un gran Re sopra tutti gli dèi. Nelle sue mani sono le profondità della terra, e le altezze dei monti sono sue. Suo è il mare, perch’egli l’ha fatto, e le sue mani hanno plasmato la terra asciutta. Venite, adoriamo e inchiniamoci, inginocchiamoci davanti al SIGNORE, che ci ha fatti. Poich’egli è il nostro Dio, e noi siamo il popolo di cui ha cura, e il gregge che la sua mano conduce”

Sl 95:1-7

Sono meravigliosi questi passi che ci mostrano diversi aspetti della nostra natura. Noi siamo popolo e gregge di Dio, del Dio onnipotente, l’Eterno. Non dobbiamo mai stancarci di ripetere che la metafora del gregge ha un grande significato. Il pastore aveva una cura smisurata di ogni sua singola pecora, ogni pecora era per il pastore la fonte della sua sopravvivenza, non si poteva permettere di perderne neanche una. E Dio ha cura di noi in questo modo, non per interesse, ma per amore. E il nostro pastore non è un uomo. È Dio.

Il Salmo ci ricorda gli aspetti basilari di Dio, che dovrebbero calmarci e darci fiducia all’istante:

1. Dio è rocca della nostra salvezza.

2. Dio è grande e Re al di sopra di ogni regno e potenza.

3. Tutto è nelle sue mani e tutto è stato da lui plasmato: monti, profondità del mare, ogni cosa.

4. Noi siamo stati plasmati da lui.

Il primo ed il quarto punto dovrebbero rappresentare il fondamento su cui le nostre azioni, reazioni e fiducia si poggiano. Non è in base a questo che dovremmo determinare la nostra vita e le decisioni, parole e reazioni che abbiamo?

Dio ci ha salvati

Da nessun altro dobbiamo temere la condanna. Se so che Dio mi ha perdonato, accolto, salvato, niente e nessun altro può turbare questo pilastro e fondamento. Se obbedisco a Dio, se lo amo e se ho in cuore di non disonorarlo, niente mi può condannare, né le critiche di chi ci è intorno, né le pretese del mondo che ci circonda. E questa consapevolezza si esprime con l’atteggiamento, infatti il salmista usa espressioni come: cantare con gioia, acclamare, inginocchiarci, adorare. Tutto questo esprime anche la riconoscenza verso Dio, che ci ha salvato, Lui stesso ha fatto il primo passo per venire da noi a salvarci dalla perdizione e lui stesso non si tira mai indietro dal fare il primo passo quando ancora perdiamo un po’ la strada.

Dio è Re e Sovrano al di sopra di ogni principato e potenza e lui ha creato e fondato tutto

Lui conosce tutto, ogni cosa che succede non gli sfugge. Questa realtà è per noi difficile ogni tanto da comprendere, spesso mi capita di esser preso da una sorta di sconforto, come se per certe cose che succedono intorno a me nel mondo Dio non avesse il controllo. E invece ce l’ha, e questo mi deve di nuovo portare a quell’atteggiamento di pace e riconoscenza che si esprime con la gioia di appartenergli.

La gioia del Signore è la vostra forza”, è scritto in Nehemia. Ma quante volte nella nostra vita la gioia è ancora troppo legata anche alle circostanze che viviamo?

Questo infatti è il primo punto in cui le mie decisioni e reazioni vengono messe alla prova.

Ora arriva la meraviglia e ulteriore motivo di gioia ma anche il secondo punto in cui le mie decisioni e razioni esprimono chi sono, o perlomeno, a che livello la mia fiducia in Dio si trova.

Dio ci ha plasmati

Ci conosce, sa come siamo, conosce ogni profondità della terra, e alla pari di questo, conosce ogni cellula che ci compone e ogni pensiero che noi abbiamo. Questo vuol dire che ogni aspetto della nostra vita è in suo controllo e, proprio perché sa come siamo e chi siamo, permette certe circostanze, ci guida in certe circostanze, anche dove noi non immagineremmo mai che ci sia un senso.

Chi vogliamo essere?

Perché trovavo di grande aiuto la vicenda del calciatore di cui vi ho parlato?

Perché è una metafora interessante riguardo le vicende della vita. In certi momenti infatti conta non solo l’analisi della circostanza che viviamo, ma anche come noi decidiamo di reagire. Per questo è interessante la frase del calciatore: “Le decisioni che prendiamo sono un modo per definire noi stessi e per farci diventare quello che vogliamo”.

Come figli di Dio cosa vogliamo essere, chi vogliamo essere? Le nostre decisioni contano, non è indifferente cosa scegliamo.

Come possiamo reagire se siamo figli di Dio? Siamo chiamati a reagire tramite i fondamenti che Dio ci dà o tramite la saggezza o l’esasperazione umana?

Pensate, sempre metaforicamente: stiamo quasi per ribaltare il risultato di una partita che sembrava senza speranza, quando ci fischiano contro un rigore nei minuti di recupero, per giunta dubbio. Cosa facciamo? Protestiamo? Forse. Iniziamo a insultare l’arbitro? Per i caratteri più sanguigni può succedere, ma intanto ci prendiamo subito un cartellino rosso. Quello già cancella definitivamente ogni speranza.

Poi inizio a rovinare le zolle d’erba in corrispondenza del dischetto del rigore, così forse l’avversario calcerà il pallone malamente sbagliando. Saggezza umana, vero?

E se invece di esasperare, insultare e farmi sbattere fuori, inventare stratagemmi provo a parare quel rigore considerato ingiusto?

Può succedere che “mi faccio espellere per proteste”, può purtroppo succedere, ma dopo la doccia come vado avanti con le mie azioni e pensieri? Continuo a rimanere sulle mie posizioni?

“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi”

1Gv 1:8-10

Non mi stanco mai di dire che questo è un versetto che vale prima di tutto per i credenti, non come richiamo alla conversione di un non credente.

Le nostre azioni determinano chi noi siamo.

La Scrittura ci dà un esempio straordinario di come un uomo possa avere fiducia in Dio, sapendo che Dio è il Signore, è in grado di fare tutto, e qualsiasi cosa deciderà, è lui padrone.

Uno straordinario esempio

“Nel mese di Nisan, il ventesimo anno del re Artaserse, il vino stava davanti al re; io lo presi e glielo versai. Io non ero mai stato triste in sua presenza. Il re mi disse: «Perché hai l’aspetto triste? Eppure non sei malato; non può essere altro che per una preoccupazione». Allora fui colto da grande paura”

Ne 2:1-2

Perché Neemia fu colto da paura? Egli era coppiere del re, era alla sua presenza e doveva servirlo e allietarlo. In quei giorni Neemia era triste per Gerusalemme che giaceva distrutta, quindi il suo aspetto era abbattuto.

Ma lui era coppiere del re. Anche se il re stimava Neemia e Dio lo aveva reso benevolo e attento nei suoi confronti, i fatti personali di Neemia non avrebbero dovuto in teoria interessare a un re, un re non poteva tollerare un coppiere o servitore musone alla sua presenza. A quell’epoca per questi motivi si poteva essere giustiziati. Ecco perché Neemia subito si ridà un tono:

“…e dissi al re: “Viva il re per sempre!”

Ne 2:3a

Ma poi continua:

“«Come potrei non essere triste quando la città dove sono le tombe dei miei padri è distrutta e le sue porte sono consumate dal fuoco?» E il re mi disse: «Che cosa domandi?»”

Ne 2:3b

E qui arriva il punto sensazionale:

“Allora io pregai il Dio del cielo; poi risposi al re: «Se ti sembra giusto e il tuo servo ha incontrato il tuo favore, mandami in Giudea, nella città dove sono le tombe dei miei padri, perché io la ricostruisca»”

Ne 2:4-5

Quello che vorrei sottolineare qui è questo: quanto tempo ha avuto Nehemia secondo voi per pregare?

Ma la sua preghiera, il suo atteggiamento, indipendentemente dalla lunghezza della preghiera, ci dice la cosa più importante e fondamentale: Neemia sapeva in fondo al suo cuore, come atteggiamento di vita, che Dio è padrone. Allora basta solo un cenno, non mille parole, e tanto meno l’esasperazione. In pochi istanti il suo cuore è in grado di dire: “Signore, fai tu”. E questo è ciò che basta.

Porto questo esempio di Neemia perché egli non era afflitto da guai di natura personale. Egli aveva a cuore Gerusalemme e il tempio del Signore che giacevano in rovina.

Anche per preoccupazioni che riguardano il servizio per Dio non dovremmo imparare da
Neemia? Certo che Neemia era attivo e coraggioso, ma la sua totale fiducia in Dio padrone di ogni situazione si mostra qui in maniera molto chiara.

Neemia è attivo e coraggioso, ma non si sostituisce a Dio.

Quale opzione scegliamo?

Per trasferirlo nella pratica odierna, per noi oggi, sia per quanto riguarda afflizioni personali o pesi e preoccupazioni per l’opera del Signore, mantengo ancora la mia metafora calcistica come esempio: prendo un rigore ingiusto al 94´ minuto?

Ho due opzioni:

• Preso dall’esasperazione protesto e mi faccio sbattere fuori.

• Oppure dico: “Signore fai tu. Se paro il rigore, evviva; se non lo paro, anche questo devo accettarlo”. Ma posso accettarlo perché so chi è che comanda e che, al di là del “risultato della partita”, egli è il mio creatore e pastore.

Non pensate che dovremmo riflettere su quale potrebbe essere l’opzione che noi sceglieremmo? Cosa farei io?

Inizio a esasperare e insultare l’arbitro fino a farmi espellere o mi metto sulla linea di porta e provo a parare il rigore, dicendo in cuor mio: “Signore, fai tu”?

Penso che queste metafore, tratte da realtà futili come una partita di calcio, potrebbero essere utili a farci riflettere su come noi reagiremmo quando siamo toccati o coinvolti, non per un rigore contro, ma per le realtà che contano.

Le parole del Salmo 95 ci mostrano chiaramente quale natura i credenti in Dio hanno e quale è il fondamento della loro fede: lui, il Dio vivente e onnipotente.

Ma la parte di questo Salmo che vi ho citato è la prima metà. Il Salmo infatti continua con una seconda metà:

“Oggi, se udite la sua voce, non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, quando i vostri padri mi tentarono, mi misero alla prova sebbene avessero visto le mie opere. Quarant’anni ebbi in disgusto quella generazione, e dissi: «È un popolo dal cuore traviato; essi non conoscono le mie vie». Perciò giurai nella mia ira: «Non entreranno nel mio riposo!»”

Sl 95:8-11

Queste parole vengono riprese nel Nuovo Testamento (Eb 3) come incoraggiamento e ammonimento rivolti alla Chiesa formata da credenti di estrazione giudaica cui ma che valgono anche come insegnamento per la Chiesa di Dio oggi:

“Perciò, come dice lo Spirito Santo: «Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione, come nel giorno della tentazione nel deserto»”

Eb 3:7-8

Le parole del Salmo ci ricordano che il popolo tentò Dio e lo mise alla prova, in quanto si lamentava, non pensava che Dio potesse avere cura del suo popolo. È come se il salmista, molti anni dopo i fatti cui si sta riferendo, volesse dire ai suoi uditori:

“Ricordatevi di Dio, gioiamo, sappiamo chi è e chi siamo noi per lui. Non induriamo i nostri cuori come fecero i nostri padri nel deserto uscendo dall’Egitto”.

La storia si ripete sempre, in tutte le epoche.

Ma perché ho trovato importante questa citazione e quella in Ebrei?

Un messaggio per noi oggi

Per l’autore della lettera agli Ebrei (3:8, 15) tentare Dio, così come ricordano le parole del Salmo equivale a ribellarsi.

La Bibbia Nuova Riveduta traduce: “ribellione”, la Nuova Diodati “provocazione”. Se leggiamo la traduzione delle Paoline, il testo recita “esacerbazione, esasperazione”, che traducono la parola greca “paraprikasmo”.

Sono gli unici due testi nel Nuovo Testamento dove questa parola viene usata. Nel Salmo 95:8, il testo masoretico ebraico dice: Meriba, e rimane tale e quale nelle nostre traduzioni. La traduzione greca dell’Antico Testamento, la cosiddetta Septuaginta, traduce invece la parola Meriba proprio con la parola usata nella citazione di Ebrei 3:8 e 3:15, “paraprikasmo”, ed è l’unico passo della versione greca dell’Antico Testamento dove questa parola appare.

Trovo che investigare su queste particolarità non sia solo un gioco intellettuale, ma aiuta a capire meglio il concetto.

Se vediamo il testo greco, questo termine “paraprikasmo” vuol dire proprio come primo significato “esacerbazione, esasperazione”, poi anche ribellione o contestazione. Ma il termine ribellione nel Nuovo Testamento è espresso in molti altri modi. Qui il primo significato invece non è ribellione.

Gli Ebrei nel deserto, gli Ebrei esortati dal salmista al suo tempo, e anche gli Ebrei cui era indirizzata la lettera hanno vissuto la medesima circostanza.

Dimenticavano facilmente chi era la Rocca della loro salvezza, dimenticavano i prodigi e la salvezza già sperimentata, e si lasciavano andare all’esasperazione.

L’esacerbazione, l’amarezza sono qualcosa di diverso dalla ribellione ma altrettanto gravi in quanto conducono all’incredulità, intesa come mancanza di fiducia in Dio, cioè come perdita del controllo, come perdita della speranza e come errata convinzione di essere perduti senza via d’uscita e privi della sua cura.

Non dovrebbero questi insegnamenti farci stare sempre all’erta anche oggi?

Per questo ogni passo della Scrittura è sempre attuale, importante e utile.

Anche se ci troviamo in situazioni obiettivamente difficili, possiamo noi reagire così? È degna di Dio una tale reazione da parte nostra?

“Oggi, se ascoltiamo la sua voce, non induriamo in nostri cuori”.

• Ricordiamoci di Dio, e gioiamo prima di tutto in lui.

• Ricordiamoci della salvezza che lui ci ha procurata in Cristo, della meravigliosa realtà che in Cristo ci arricchisce di ogni benedizione spirituale.

• Ricordiamoci che Dio ci ha fatti, ci conosce, ha fatto l’universo e ogni profondità di mari e altezze di monti non sono a lui sconosciute.

“Le decisioni
che prendiamo
sono un modo
per definire noi stessi
e per farci diventare quello che vogliamo,
con i nostri pregi
e i nostri difetti”

Vogliamo agire e prendere decisioni in base ai fondamenti che Dio ci offre?

Che il Signore ci guidi e fortifichi.