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Il pericolo di evadere dalla realtà

 

Qualche tempo fa ho letto e riletto la prima lettera di Giovanni, vedendo che, come in tutta la Parola di Dio, ci sono tante cose da capire e tirare fuori. Vorrei farvi partecipi di questa lettura, spiegando quello che mi ha colpito. Spero che il Signore mi dia chiarezza per esprimermi al meglio.

 

Se osservate un quadro, ad esempio un paesaggio, potete vedere varie scene. Un osservatore potrebbe concentrarsi su tutto il quadro completo, oppure essere colpito da una sola scena in particolare. Leggendo la 1Giovanni, è possibile concentrarsi su determinati aspetti di questo scritto.

Rileggendola tutta insieme, sono stato colpito da un particolare tema che l’apostolo affronta: il camminare nella luce e l’amore per i fratelli in fede, cioè la relazione che c’è tra professione di fede e l’amore che si manifesta come frutto della fede. Ciò mi ha molto toccato e portato a riflettere e riconoscere che sono ancora molto mancante in questo.

 

La vita di fede mette spesso di fronte anche a tanti eventi per cui è necessaria la vigilanza, la perseveranza e l’obbedienza, cioè un impegno personale. Nel periodo in cui Giovanni scriveva la sua lettera, per esempio, stava prendendo piede la filosofia gnostica: un insegnamento filosofico che pretendeva di possedere un sapere elevato e profondo (gnosis) che era ristretto ad una piccola cerchia; questa conoscenza si raggiungeva in modi misteriosi e tramite un cammino personale di tipo mistico. Quest’insegnamento separava inoltre la materialità del corpo dallo spirito e credeva che fosse necessario elevarsi dal mondo materiale per raggiungere lo stato distaccato di illuminazione spirituale; per questo motivo tale filosofia insegnava che Cristo non avrebbe mai potuto prendere un corpo, ma venire solo in spirito. Veniva quindi negata la morte materiale di Cristo in croce. Tale idea penetrava anche all’interno delle chiese; il concetto di separazione e affrancamento dalla materialità portava addirittura a peccare col corpo: gli gnostici dicevano che potevano fare quello che volevano con il corpo, perché tanto era staccato dallo spirito, il quale rimaneva elevato allo stato di conoscenza e illuminazione.

 

È probabilmente per questo motivo che l’apostolo utilizza moltissime volte in questa epistola l’espressione “noi sappiamo/conosciamo”, ma in un altro senso: Giovanni testimonia del cammino di fede col Signore fatto della conoscenza di lui e dell’esperienza di amore pratico nella fede. Giovanni infatti quando usa i verbi “sappiamo/conosciamo”, usa a seconda del contesto due verbi: ginoskomai e oidomai. Il verbo ginoskomai esprime un processo di conoscenza mediante l’esperienza vissuta e pratica, vuol dire: io conosco per esperienza. Proprio questo verbo è usato in contrapposizione a gnosis.

L’altro verbo che usa Giovanni era oidomai. È possibile che questo temine fosse usato come sinonimo rispetto a ginoskomai ma è interessante notare comunque una cosa. Il verbo oidomai indicava un processo di conoscenza non basato sull’esperienza ma teorico e nozionistico. Questo lato per così dire “teorico” e razionale della conoscenza spirituale è anche importante nel pensiero di Giovanni, perché la nostra conoscenza del Signore non è distaccata dalla realtà.

 

La conoscenza del Signore richiede comunque un’azione comune di cervello e cuore, cioè non è un processo di distaccamento della realtà, come lo gnosticismo e neanche un puro sentimento del cuore che non ha punti di contatto con la realtà. La nostra fede, tramite un processo cosciente, coinvolge anche la nostra ragione e il nostro cuore e si volge sempre più al Signore. È molto triste per me rendermi conto come oggi molti considerano la fede qualcosa che non ha a che fare con la ragione. Il soprannaturale viene facilmente confuso con l’irrazionale. Molti non rifiutano la fede ma la relegano comunque in un angolino separato dalla realtà dell’esistenza. In questo caso la fede non ha una azione pratica sulla vita. E il Signore non è questo che vuole.

 

 

Confessare la fede senza viverla

 

Oltre lo gnosticismo o altri falsi insegnamenti, le chiese erano in pericolo anche a causa di fratelli che creavano divisioni, credenti che volevano dominare e schiacciarne altri. Tutto questo spinse Giovanni a mettere dei confini ben precisi, a dire chiaramente che differenza c’è tra luce e tenebre, tra l’affermare di conoscere Dio tuttavia vivendo una vita priva di amore e della vera purezza e vivere veramente una vita di fede e amore per Dio e per i fratelli nella fede.

 

Possiamo vedere con quanto amore Giovanni scrisse ai suoi discepoli per trasmettere loro la gioia, la certezza e la sicurezza che la fede nel Signore Gesù dà. I destinatari della lettera avevano creduto nell’opera salvifica del Signore Gesù. Giovanni scrisse anche per incoraggiarli, rafforzarli, rassicurarli in modo che potessero vivere la gioia della salvezza.

 

Questo aspetto potremmo dire che rappresenti l’aspetto fondante della fede: quello che Giovanni ha visto, ha toccato, ha sentito, quello che i destinatari ora conoscono e hanno accettato per fede è la base della loro gioia e della loro pace. Perché Giovanni iniziò quasi subito a dare precisi avvertimenti? Purtroppo c’erano persone che non si comportavano conformemente alla fede professata, parlavano della fede, ma dimostravano altro con la loro vita. Per questo Giovanni affermò con chiarezza e con forza che persone nuove e rigenerate dovrebbero manifestare esclusivamente un agire luminoso, cioè puro, buono, che non mostri contraddizione tra la fede confessata e la vita vissuta. Se così non è, allora la confessione di fede è bugiarda:

 

“Or questo è il messaggio che abbiamo udito da lui, e che vi annunziamo: Dio è luce e in lui non vi è tenebra alcuna. Se diciamo di avere comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, noi mentiamo e non mettiamo in pratica la verità; ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, abbiamo comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù Cristo, suo Figlio, ci purifica da ogni peccato” (1Gv 1:5-7).

 

Se cammino nelle tenebre, sto mentendo, cioè non metto in pratica la verità che confesso. Bisogna chiedersi: cosa vuol dire camminare nelle tenebre? Le risposte potrebbero essere numerosissime. Per esempio: compiere ingiustizie o cattiverie, essere amanti del denaro, del cibo o del bere, avere delle passioni esagerate, vivere nell’orgoglio, nell’arroganza, essere falsi o ipocriti, tradire il nostro coniuge, guardare la pornografia etc. Queste sono sicuramente “tenebre”.

 

 

Avere comunione ed essere purificati

 

Io mi sono chiesto però, se è a questo tipo di tenebre alle quali Giovanni vuole riferirsi qui. Sicuramente Giovanni considerava cose di questo genere “tenebre”, ma forse qui per “tenebre” egli intendeva altro.

Giovanni non spiega subito cosa sono queste “tenebre”, ma ci dice subito cosa accade se noi ce ne teniamo al di fuori, cioè se noi camminiamo nella luce.

Se camminiamo nella luce avvengono due cose. La prima: avremo comunione gli uni con gli altri. La seconda: il sangue di Gesù ci purifica da ogni peccato.

Quale condizione mette Giovanni allora per spiegare la vera base della comunione fraterna? Camminare nella luce!

 

Camminare nella luce vuol dire che tutto nella nostra vita, di fronte a Dio e agli altri, deve essere nella luce. Per quanto concerne Dio, Dio vede ogni cosa, ma spesso mi capita di agire come se lui non vedesse o non considerasse male certe azioni o pensieri. Per quanto riguarda il prossimo, non è che tutti devono sapere tutti i fatti nostri, ma che il mio modo di agire e di pensare deve essere limpido. Cioè: penso, agisco e amo come il Signore faceva.

 

Vediamo cosa dice Giovanni ancora sulla purificazione dai peccati: si tratta forse qui del perdono e della salvezza che ricevo quando mi converto al Signore Gesù? In questo caso no. La risposta la troviamo al versetto successivo:

“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo e la sua parola non è in noi.

Figlioletti miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; e se pure qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. Egli è l’espiazione per i nostri peccati; e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo”(1Gv 1:8-2:2).

 

La realtà quotidiana è purtroppo ancora caratterizzata per ogni credente dal peccato. La confessione è la condizione necessaria per avere una buona relazione con Dio. Provare se stessi non vuol dire provare se si è credenti, ma essere coscienti che il peccato è una realtà ancora attuale in noi, e quindi va confessato e abbandonato. Dio vuole che noi riconosciamo ogni volta che pecchiamo contro di lui o contro il nostro prossimo. La confessione dei nostri peccati di fronte a Dio è il nostro respiro spirituale, senza il quale l’aria fresca e pura non arriva ai polmoni e il rapporto con Dio diventerà marcio.

 

Il nonno di mia moglie mi raccontava che rifletteva ogni sera sulla giornata: guardando indietro, vedeva se alcune azioni, parole o pensieri non erano stati secondo la volontà di Dio. Allora nella sua preghiera della sera li confessava al Signore chiedendo perdono e se era necessario, il giorno dopo cercava il rimedio.

Noi facciamo così?

Ed ancora, mi disse una volta un carissimo fratello, anziano di chiesa, attivissimo nell’evangelizzare, con una bella famiglia, un esempio di vita col Signore:

“Ho quasi ottanta anni e dopo tanti anni col Signore devo riconoscere che sempre devo andare ai piedi della croce per confessare e abbandonare cose che il Signore giorno per giorno mi mostra”.

Se una persona fa così non vuol dire che sta avendo dubbi se sia cristiano o no o che si riconverte ogni giorno ma in questo è umile, cammina col Signore giorno per giorno, dimora in lui. Giovanni nella sua lettera vuole incoraggiare i suoi cari proprio a un’azione di questo genere e io miro anche a questo nella mia vita.

 

Come posso capire però, cosa è buono e cosa non lo è nella mia vita quotidiana?

Leggere la Bibbia regolarmente ogni giorno, con un programma di lettura che ci porti a leggerla tutta ripetutamente negli anni è un mezzo importantissimo a questo scopo. La Parola ci rivela il carattere di Dio, ci racconta come uomini di Dio hanno agito bene o male, e così via. Questo ci permette di avere subito un riscontro per quello che è la nostra vita. È lo Spirito Santo insieme alla Parola a farci capire se abbiamo peccato. E ogni volta la Parola di Dio ci parla e ci fa capire cose nuove. Illuminati dalla Parola dobbiamo camminare nella luce purificandoci dai peccati che possiamo compiere.

 

 

L’amore rivela la fede

 

Un altro punto che Giovanni sottolinea è l’amore per i fratelli. Se sono limpido e puro di fronte a Dio di conseguenza lo sarò anche nell’atteggiamento col prossimo e soprattutto coi fratelli in fede. Ecco cosa vuol dire essere nelle tenebre:

 

Chi dice di essere nella luce e odia il proprio fratello, è ancora nelle tenebreChi ama il proprio fratello dimora nella luce e non vi è niente in lui che lo faccia cadere. Ma chi odia il proprio fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre gli hanno accecato gli occhi (1Gv 2:9-11).

 

Giovanni non parlava ipoteticamente, effettivamente c’erano persone che avevano espresso una confessione di fede, pensavano e affermavano di essere in Cristo e nella luce ma in realtà non lo erano, perché la loro vita pratica non lo mostrava. Quindi: una cosa fa rimanere sicuramente nelle tenebre colui che afferma di amare Dio: odiare il proprio fratello in fede:

Da questo si riconoscono i figli di Dio e i figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio e neppure chi non ama il proprio fratello” (1Gv 3:10).

E poi rafforzato ancor più nel versetto successivo: “Poiché questo è l’annunzio che avete udito dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri.

 

Questo fu il comandamento lasciato da Gesù ai suoi discepoli poco prima di morire. Lui voleva che ci amassimo gli uni gli altri e in base a questo il mondo avrebbe conosciuto che apparteniamo a lui.

La giustizia e il perdono ottenuti per la fede in Gesù si manifestano nell’avere amore gli uni per gli altri. Cosa dimostra che quella giustizia è stata veramente ottenuta? L’amore.

Gesù in casa del fariseo alla donna che gli aveva lavato i piedi con le lacrime per asciugarli poi coi capelli, disse: “I suoi molti peccati le sono perdonati perché ha molto amato”.

L’amore che quella donna ha dimostrato derivava dal perdono che lei stessa aveva ricevuto dal Signore. Invece la freddezza del fariseo mostrava che lui non aveva accettato da Gesù il perdono.

 

Se noi amiamo, vuol dire che siamo come quella donna che aveva veramente accettato e ricevuto il perdono di Gesù. Se noi non amiamo allora siamo nella condizione di quel fariseo. Per questo motivo il Signore disse nel sermone sul monte: “Se voi non perdonate ai vostri fratelli, neppure il Padre nostro perdonerà a voi”.

Gesù una volta raccontò la parabola del servitore spietato, il quale dopo aver ricevuto il condono di un debito di 10.000 talenti (equivalenti a milioni di euro attuali, quindi un debito impagabile) fece gettare in prigione poco dopo un suo simile che gli doveva 100 denari, equivalenti a circa un paio di mesi di paga di un lavoratore salariato. Facciamo attenzione a non rifiutare il perdono e a non giudicare a questa maniera. Spesso giudico perché non conosco, perché credo di essere migliore, sono orgoglioso o convinto di me stesso. L’apostolo Paolo diceva: “Perdonatevi gli uni gli altri come Dio vi ha perdonati in Cristo”. Se non avviene così, vuol dire che non ho capito la grazia di Dio. L’apostolo Pietro scriveva che alla nostra fede dobbiamo aggiungere tutta una serie di cose, tra le quali l’affetto fraterno e l’amore (2 Pietro 1):

“Aggiungete alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo. Ma colui che non ha queste cose, è cieco oppure miope, avendo dimenticato di essere stato purificato dei suoi vecchi peccati” (1P 1:7-9).

 

Non possiamo dimenticare quelli che eravamo:

“Noi sappiamo di essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli; chi non ama il proprio fratello rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida; e voi sapete che nessun omicida ha la vita eterna dimorante in sé” (1Gv 3:14-15).

E poi aggiunge al v.23:

“E questo è il suo comandamento, che crediamo nel nome del suo Figlio Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, come egli ci ha comandato”.

 

Credere nel nome di Gesù implica l’amore per i fratelli. Per Giovanni l’amore per i fratelli è così importante che lo considera come la migliore dimostrazione del nostro amore verso Dio: “Se non amo il fratello che vedo, come posso amare Dio che non vedo?”.

Se amiamo i fratelli apparteniamo a Dio, altrimenti la nostra confessione di fede non è vera.

 

 

L’amore va vissuto

 

Credere vuol dire agire; il credere si associa ad un’azione pratica. È possibile confessare il Signore e dire di credere in lui, ma nella realtà saranno i pensieri e le azioni che dimostreranno il vero grado di vicinanza al Signore. Credere implica obbedire a quello che Gesù ci comanda. Nella vita di fede ci sono tante cose molto difficili, a volte sembrano impossibili.

Ma il Signore ha comandato di amare: amare molte volte non è facile, ma se capisco che sono stato io ad essere amato per primo da Dio ecco che il mio punto di vista muta subito.

L’amore degli uni verso gli altri è la realtà che tiene insieme saldamente le pietre viventi della Chiesa di Cristo, anche se esse sono diverse l’una dall’altra. Noi credenti siamo le pietre, l’amore è il cemento che ci lega.

 

In che modo si esprime questo nella pratica?

Giovanni dà un esempio pratico di amore per i propri fratelli in fede, cap. 3 vv. 16-17:

“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli. Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui?” (1Gv 3:16-17).

Dare la nostra vita, offrire noi stessi, è il punto essenziale e può avvenire in diversi modi: offrendo tempo, attenzione, essendo sensibili a certi bisogni, essere aperti e disponibili anche quando le cose non favoriscono il nostro interesse, mettere da parte l’orgoglio e il nostro “io”, non spegnere lo Spirito andando nella direzione opposta di quella indicata dallo Spirito.

 

Più volte Giovanni parla di odio per il fratello. Questo vuol dire che capita che ci sia odio tra i fratelli. Ma chi odia il fratello rimane nella morte o nelle tenebre (1 Gv 2:9, 11 e 3:15).

“Chi odia è omicida”: l’omicidio in questo caso non è compiuto nel corpo, ma con le parole o i pensieri; per questo è importante controllare fin dal loro nascere i nostri pensieri e le nostre parole; dobbiamo riconoscere e abbandonare le cattiverie che passano per la nostra testa, dobbiamo rifiutare di farci vincere dalla negatività o dall’amarezza.

Quante volte coltivo nei miei pensieri amarezza, risentimento, o rabbia nei confronti di qualcuno che mi ha fatto male o si è comportato non secondo il mio gusto. Nel momento in cui lo incontro, il mio atteggiamento è già automaticamente aggressivo, anche se in quel momento non c’è nulla che giustifichi un mio atteggiamento ostile.

 

Coltivare cattivi sentimenti dentro di noi avrà sempre un’influenza sul nostro modo di parlare e di agire e soprattutto influenzerà il nostro cuore. Se decido di nutrire questi sentimenti e di non buttarli via subito, essi sfoceranno inevitabilmente nell’odio.

Tutte le grandi liti, le discussioni e anche purtroppo le tragedie avvengono proprio con questo meccanismo.

È prezioso ricordare l’avvertimento di Paolo:

“Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù”(Fl  2:3)-

E ancora:

“Fate ogni cosa senza mormorii e senza dispute” (Fl 2:14).

 

La Chiesa di qualsiasi tempo ha sofferto e soffre di liti fra fratelli, di maldicenze, di ogni sorta di conflitto o rivalità. Gli apostoli vedevano cosa succedeva intorno a loro, sperimentavano essi stessi molto spesso l’odio e l’opposizione da parte di molti membri di chiese. Non c’erano solo i problemi creati dai falsi dottori:

“Ho scritto qualcosa alla chiesa; ma Diotrefe, che aspira ad avere il primato tra di loro, non ci riceve. Perciò, se vengo, io ricorderò le opere che fa, sparlando contro di noi con parole maligne; e non contento di questo, non solo non riceve egli stesso i fratelli, ma a quelli che vorrebbero riceverli impedisce di farlo, e li caccia fuori dalla chiesa. Carissimo, non imitare il male, ma il bene. Chi fa il bene è da Dio; chi fa il male non ha visto Dio” (3Gv 9-11).

 

I fratelli in Cristo sono chiamati ad amare e non a guerreggiare tra loro.

Diotrefe aveva responsabilità nella chiesa ma cosa è costretto purtroppo a dire Giovanni di lui?

 

 

Gesù: esempio e mèta

 

Dal punto di vista della struttura linguistica ci sono alcune particolarità nella prima lettera di Giovanni che mi sembra aiutino a comprendere meglio il messaggio di Giovanni e ci fanno capire che una fede verbale accompagnata da un amore sterile è morta. Si tratta di una formula che Giovanni ripete per ben quattro volte nell’epistola, ogni volta con sfumature diverse ma sempre con una struttura molto simile. Queste parole sono così categoriche che vanno affrontate.

Eccole qui di seguito:

• “Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, abbiamo comunione l’uno con l’altro” (1:7).

 “Chi dice di rimanere in lui, deve camminare come egli camminò (2:6).

• “E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica come egli è puro (3:3).

• “Figlioli, nessuno vi seduca. Chi pratica la giustizia è giusto, come egli è giusto (3:7).

 

Tutte e quattro indicano che la mia meta è il Signore Gesù, è essere simile a Lui. Il Signore Gesù è morto e risorto per noi, ci ha dato il suo Spirito Santo proprio per darci un nuovo scopo e metterci in grado di fare quello che prima era del tutto inconcepibile.

Potremmo chiederci come potremmo minimamente pensare di essere puri, giusti come lui, camminare come lui? Prima di tutto questi versetti mostrano che questo è un processo, un processo non fatto di penitenza o sforzi come un asceta, ma un cammino vissuto con il desiderio e l’obiettivo di piacere sempre di più a Gesù perché lui è il nostro Signore. Gesù diceva: “Se mi amate osserverete i miei comandamenti, e i miei comandamenti non sono gravosi”.

È così anche per noi?

Lui è venuto apposta per salvarci, ma non solo per questo: per renderci simili a lui.

 

Riassumendo:

1.  La fede salvifica nel Signore Gesù implica un cambio di direzione della vita e un nuovo modo di pensare e agire. Essere stati salvati e camminare per arrivare a essere come Gesù è un qualcosa che si compirà in cielo quando lo vedremo come egli è, ma sulla terra siamo chiamati ad essere luce e a camminare come lui camminò. Camminare per lo Spirito e non per la carne è quel miracolo che Dio può operare in noi, perché è lui che opera in noi e a noi è richiesta l’obbedienza. Questo processo di santificazione ci porta a dimorare in Cristo e purificare il nostro cuore giorno per giorno.

 

2. Un risultato fondamentale di questo processo è l’amore tra fratelli in fede. Il mondo conoscerà che apparteniamo a Gesù tramite questo amore. La Chiesa di Cristo non può andare nel mondo a proclamare il nome del Signore se le mura del proprio tempio spirituale sono a pezzi. C’è bisogno del cemento, cioè dell’amore gli uni verso gli altri.

 

3. Leggiamo la Bibbia giornalmente, analizziamo un brano nel contesto di quello che stiamo leggendo, facendo attenzione a cosa lo Spirito Santo vuole comunicarci.

 

4. La fede si associa inequivocabilmente ad una vita limpida e coerente nell’amore. La realtà del peccato in ogni sua sfumatura e gradazione va affrontata giorno per giorno. Impegnarci a camminare come Gesù camminò non vuol dire che vogliamo fare sforzi religiosi di auto redenzione, ma è l’obbedienza che il Signore ci richiede.

 

“Figlioletti miei, non amiamo a parole né con la lingua, ma a fatti e in verità. E da questo noi sappiamo di essere nella verità e tranquillizzeremo i nostri cuori davanti a lui” (1Gv 3:18-19).