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“Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi!” (Is 64:1).

 

Un testimone oculare della risposta di Dio scrive:

“La Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre … Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Gv 1:14,18).

 

 

Introduzione

 

L’incarnazione non solo è stata il più grande dei miracoli, ma si tratta di un miracolo che durò per circa trentatre anni e produsse benedizioni permanenti per l’umanità. Infatti il primo capitolo del Nuovo Testamento fa sapere che l’incarnazione, oltre a costituire una rivelazione unica di Dio – “Dio con noi” – aveva come scopo primario un’opera di salvezza che soltanto Dio poteva compiere (Mt 1:20-21; Is 43:11; cfr. Sl 130:7-8). Quanto alla maniera in cui questo miracolo avvenne, nel giardino di Eden Dio aveva predetto che il serpente, cioè il diavolo, sarebbe stato schiacciato dalla progenie della donna, un riferimento velato all’incarnazione che esclude che ci sarebbe stato un contributo procreativo da parte di un uomo (Ge 3:15). Le parole dei profeti Simeone e Anna, nonché le numerose persone che “aspettavano la redenzione di Gerusalemme” testimoniano del fatto che quest’evento, nonostante la sua eccezionalità, era atteso dal popolo a cui Dio aveva affidato le sue rivelazioni (Lu 2:25-38; Ro 3:1-2). Intanto è proprio il miracolo dell’incarnazione che rende credibili tutti gli altri miracoli che costellarono la vita di Cristo.

 

Noi, che viviamo lontano nel tempo dalla venuta dell’Emmanuele, siamo benedetti di poter leggere il racconto di Matteo (1:18–2:23) e quello ancora più dettagliato di Luca (1:1–2:40). Quest’ultimo non si è limitato a narrare i fatti che avevano “avuto compimento”; ha fatto in modo che il lettore potesse conoscere la certezza di questi fatti, nonostante la loro eccezionalità. Ha fatto questo, tra l’altro, descrivendo con precisione il contesto storico generale in cui essi sono avvenuti (Lu 1:1-5; 2:1-7; 3:1-3).

Così, qualche tempo dopo Paolo poteva contare sul fatto che persone come il re Agrippa erano a conoscenza dei fatti inerenti il compimento della salvezza (At 26:26).

 

 

Quando questo miracolo avvenne

 

Il racconto di Luca parte da un dettaglio che potrebbe sembrare del tutto insignificante ma che, in realtà, ci permette di sapere in quale periodo dell’anno nasceva Gesù. Luca inizia il suo racconto dicendo che toccava a un sacerdote di nome Zaccariaservire nel tempio di Gerusalemme come parte del turno di Abiia (Lu 1:5). Quello di Abiia era l’ottavo turno, ciascuno di quindici giorni (1Cr 24:1-10), calcolando dall’inizio dell’anno ebraico, il mese di Nisàn, il quale corrisponde al nostro marzo/aprile. In altre parole Zaccaria si trovava nel tempio, grosso modo verso la fine di giugno, quando l’angelo Gabriele gli apparve e gli disse: “La tua moglie Elisabetta ti partorirà un figlio, e tu gli porrai nome Giovanni” (Lu 1:10,13).

In passato Zaccaria aveva pregato perché avessero un figlio, ma ormai entrambi erano di età avanzata, per cui lì per lì egli rimase incredulo, nonostante l’angelo gli parlasse di un ministero profetico eccezionale che avrebbe avuto questo figlio. Di conseguenza l’angelo disse a Zaccaria che sarebbe rimasto muto fino alla nascita del bambino destinato a diventare il precursore del Messia (vv. 14-20).

 

Dopo il ritorno a casa di Zaccaria, sua moglie Elisabetta rimase incinta, dopodiché in concomitanza con il sesto mese della sua gravidanza, “l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria” (vv. 26-27). L’angelo Gabriele informò Maria che sarebbe rimasta incinta ad opera dello Spirito Santo, senza che lei conoscesse uomo. Lei rispose: “Sia fatto secondo la tua parola”, poi quando seppe di essere incinta, “si alzò e andò in fretta nella regione montuosa, in una città di Giuda, ed entrò in casa di Zaccaria e salutò Elisabetta” (v. 28-39).

 

Questi dati ci permettono di dire che il concepimento ad opera dello Spirito Santo, ovvero il principio dell’incarnazione, avvenne grosso modo alla fine di dicembre o poco dopo. Infatti la nascita di Gesù avvenne in autunno, quando i pastori potevano stare fuori con le loro pecore di notte (2:8). Quanto all’anno in cui Gesù è nato, Matteo ci informa che “Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode” (Mt 2:1). Seguì la visita “dei magi d’Oriente”, che passarono da Erode, che in seguito avrebbe ordinato il triste massacro di bambini nel territorio di Betlemme, motivo per cui ci fu la fuga in Egitto di Giuseppe e Maria con Gesù bambino (2:1b-18). Sappiamo che Erode il grande morì dopo questi eventi, nell’anno che corrisponde al 4 a. C. secondo il nostro calendario, per cui possiamo datare la nascita di Gesù nell’autunno del 5 o 6 a.C., sempre secondo il nostro calendario.

 

 

Non è un mito

 

Nonostante la concretezza della narrazione dei fatti a cui abbiamo attinto sopra, alcuni studiosi moderni definiscono questo racconto della nascita di Gesù una “leggenda personale” a scopo di edificazione. Il termine “leggenda” (cfr. il verbo “leggere”) in genere definisce uno scritto, mentre il corrispondente racconto orale va sotto il nome di “mito” dal greco mythos“bocca”. Tale ridimensionamento dei racconti dei Vangeli di Matteo e Luca, implica che i dodici apostoli fossero dei creduloni oppure dei sognatori che, ripensando la vita di Gesù, avrebbero dato credito a delle leggende prive di fondamento storico.

In realtà i dodici apostoli, cresciuti nella scuola della sinagoga, non erano degli sprovveduti. Infatti furono proprio loro, ben consapevoli della categoria del mito, a escludere con forza che la loro testimonianza a Gesù si basasse su qualcosa del genere.

 

Giovanni parla per tutto il collegio degli apostoli quando scrive: “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunciamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata.) Quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra è comunione con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo” (1 Gv 1:1-3).

Da parte sua Pietro insiste che ciò che gli apostoli affermavano lo dicevano in qualità di testimoni oculari. Ecco le sue parole: “Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole[gr. mythois] abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà” (2P 1:15-16). Pietro cita come esempio della loro testimonianza oculare la presenza di alcuni di loro sul monte della trasfigurazione (vv. 17-18; cfr. Mt 17:1-13)

 

Secondo gli apostoli Dio e il soprannaturale avevano sostituito la normalità delle cose sul piano storico per produrre eventi oggettivamente veri e assolutamente necessari per la salvezza dell’umanità (si veda 1Gv 4:10). A questo proposito ci si può chiedere: Quanto valore avrebbe un ponte “mitologico” per chi volesse passare da un lato all’altro di un profondo burrone? Similmente non avrebbe alcun valore un vangelo che promettesse la riconciliazione dei peccatori con Dio se i presunti fatti su cui si basa non fossero oggettivamente veri. Ma non siamo in presenza di “miti”, nonostante l’eccezionalità degli eventi descritti. Piuttosto i fatti ci portano a dire con Paolo:

 

“Senza dubbio, grande è il mistero della pietà: colui che è stato manifestato in carne, è stato giustificato nello Spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato fra le nazioni, è stato creduto nel mondo, è stato elevato in gloria” (1Ti 3:16).

 

Paolo scelse di considerare l’incarnazione il “mistero della pietà” (1 Ti 3:16), ovvero qualcosa che va oltre la nostra capacità di comprendere. Tale definizione mette in guardia da ogni tentativo di dare una spiegazione razionale del miracolo dell’incarnazione e del carattere immacolato della vita di Gesù. Fra i tentativi di spiegare questo mistero c’è la spiegazione fornita dal Catechismo della Chiesa Cattolica dove viene proposto il dogma dell’immacolata concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854: “La beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale”.

A sostegno di questo dogma spesso viene citato il saluto di Elisabetta a Maria: “Ti saluto, o favorita della grazia [gr. kecharit_men_]; il Signore è con te” (Lu 1:28).

 

Ma ciò ignora l’inizio del “Cantico di Maria” che esordisce così: “L’anima mia magnifica il Signore, e lo spirito mio esulta in Dio, mio Salvatore” (vv. 46-47). Altrove nella Scrittura viene affermata con grande chiarezza che “non c’è nessun giusto, neppure uno” (Sl 14:1-3; Ro 3:10) e che “tutti hanno peccato” (Ro 3:23). Inoltre Gesù stesso ebbe a dire: “Nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio” (Mr 10:18). Quando queste Scritture vengono lette alla luce di tutto il canone biblico, senza lasciarsi influenzare dalla tradizione ecclesiale cattolica, appare chiaro che il miracolo dell’incarnazione e il carattere immacolato di Gesù trovano la loro unica spiegazione nell’opera sovrana dello Spirito Santo.

 

 

Dietro le quinte                

 

Nel Vangelo di Matteo Gesù figura non solo come l’Emmanuele ma anche come il figlio adottivo di Giuseppe (1:20-21; 2:14; cfr. Lu 2:48-49). Un attento esame di 2Samuele 7:12-16 dimostra che, per poter occupare il trono di Davide, Gesù doveva essere un discendente legale di Davide per via di Salomone. La genealogia riportata in Matteo 1:1-17 mette Gesù in questo rapporto con re Davide. Allo stesso tempo Gesù non poteva discendere fisicamente da Salomone, in quanto tale linea fu squalificata al tempo del re Joiachin (Gr 22:24-30; 2Re 24:8-12; 1Cr 14:4). Infatti la discendenza fisica di Gesù tracciata in Luca 3:23-38 passa per un altro figlio di Davide di nome Natan.

L’uso che Matteo e Luca fanno del titolo “figlio di Davide” per indicare Gesù implica pure che il suo operato sarebbe dovuto corrispondere a quanto l’Antico Testamento afferma relativamente alle mansioni del Messia che sarebbe discese da lui.

La seconda designazione, “figlio di Abraamo” (Mt 1:1), oltre a indicare in Gesù la progenie promessa al patriarca, può essere messa anche in relazione con il fatto che l’opera di Gesù avrebbe determinato l’adempimento della promessa di Dio di una benedizione estesa a “tutte le famiglie della terra” (Ge 12:1-3; cfr. Is 49:5-6). A proposito di questa dimensione universale è istruttivo l’arrivo dei magi d’Oriente in occasione della nascita di Gesù. A portarli prima a Gerusalemme e poi alla vicina Betlemme fu un fenomeno cosmico: una stella preparata da Dio, un altro elemento sovrannaturale del racconto che illustra bene la portata dell’evento (Mt 2:1-2).

 

I riferimenti a Davide e Abraamo e le relative anticipazioni profetiche negli Scritti sacri d’Israele, appartengono all’opera provvidenziale di Dio nella storia. Più in generale le dimensioni umana e divina dell’avvento e come queste dimensioni si sovrapponevano, sono presenti in ogni parte dei racconti riguardanti il concepimento e della nascita di Gesù, a partire dalla reazione di Giuseppe alla notizia che la sua promessa sposa era incinta fino a, successivamente, la sua ubbidienza alle istruzioni ricevute dall’angelo del Signore (Mt 1:18-25).

Oltre ai preparativi immediati alla nascita di Gesù, il Nuovo Testamento sottolinea la sua preesistenza in quanto Figlio di Dio. Mentre era in qualità di uomo perfetto che Gesù sarebbe diventato il sostituto dei peccatori sulla croce (Eb 5:7-9), era a motivo del suo essere Dio Figlio che il suo sacrificio propiziatorio avrebbe avuto una valenza infinita ( Gv 2:1-2).

 

Gesù stesso avrebbe testimoniato la propria preesistenza nella sua preghiera sacerdotale (Gv 17:5). Anche l’apostolo Paolo, in Galati 4:4-5 e 2Corinzi 5:19, fa dipendere il valore dell’opera redentrice di Cristo dalla sua preesistenza e divinità.

 

La verità della preesistenza di Cristo delimita il ruolo di Maria nell’evento dell’incarnazione a ciò che concerne il corpo e la natura umana di Gesù. A questo proposito il noto titolo di “Madre di Dio”, coniato al Concilio di Efeso nel 431 d.C. per proteggere la verità della Deità di Cristo, appare inopportuno, in quanto implica un ruolo materno di Maria in relazione con la vita divina del Figlio di Dio prima che lo Spirito Santo generasse nella vergine la natura umana e il corpo di Gesù. La storia successiva e la relativa elevazione di Maria confermano quanto sia stato infelice l’uso del titolo “Madre di Dio” per definire il ruolo di Maria. Per il resto, tanto Maria quanto Giuseppe meritano tutto il nostro rispetto per la loro sottomissione e ubbidienza a Dio.

 

Infine, a conferma di come Dio realizzò l’in-
carnazione in conformità con un progetto preordinato, abbiamo la testimonianza della “parola profetica più salda” (2P 1:19). Ad esempio Michea profetizzò, a proposito della nascita del Messia: “Ma da te, o Betlemme, Efrata, piccola per essere tra le migliaia di Giuda, da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni” (Mi 5:1). Qui Michea testimonia la preesistenza di colui che sarebbe nato a Betlemme.

A proposito di questa circostanza, sia Matteo che Luca fanno sapere che Gesù nacque a Betlemme, ma fanno sapere pure che questa circostanza non era per niente scontata (Mt 2:1-6; Lu 2:1-10). Infatti, se non fosse stato per il censimento ordinato dall’imperatore Augusto e le relative regole (2:1-6), Maria si sarebbe trovata a Nazaret nel nord d’Israele al momento della nascita di Gesù e non a Betlemme in Giudea! Si vede così che la profezia di Michea si avverò grazie alla divina provvidenza.

Ci sono anche alcune profezie in Isaia riguardanti la nascita del Messia che ne sottolineano la duplice dimensione divina/umana. Al tempo del re Acaz, all’incirca sette secoli a. C., Dio diede questo segno a questo re poco incline a prestare attenzione alla Parola di Dio: “Perciò il Signore stesso vi darà un segno: Ecco la giovane concepirà, partorirà un figlio, e lo chiamerà Emmanuele” (Is 7:14). Qui la parola “giovane” traduce l’ebraico ‘almah, che gli Ebrei stessi tradussero parthenos, ovvero “vergine”, nella traduzione greca dell’Antico Testamento, ossia la Septuaginta, come pure nella citazione del brano in Matteo 1:23. Matteo aggiunge la traduzione della parola Emmanuele: “Dio con noi”.

 

Sempre Isaia parla del popolo che vede una gran luce che illumina le tenebre, e aggiunge:

 

“Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace, per dare incremento all’impero e una pace senza fine al trono di Davide e al suo regno, per stabilirlo fermamente e sostenerlo mediante il diritto e la giustizia, da ora e per sempre: questo farà lo zelo del Signore degli eserciti” (Is 9:1,5-6).

 

L’angelo Gabriele fece allusione proprio a questa profezia nel fare il suo annuncio a Maria riguardo il figlio che lei avrebbe portato in grembo (Lu 1:32-33). Infine, alla nascita di questo bambino, l’angelo che parlava ai pastori disse: “Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo, il Signore” (Lu 2:11). Il bambino nella mangiatoia era il Messia promessa, la cui identità, come aveva anticipato Isaia, è quella del Figlio di Dio incarnato.

 

 

Dopo la nascita

 

La circoncisione di Gesù e la sua presentazione nel tempio “quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè” (Lu 2:21-38), illustrano quanto affermato da Paolo, che Gesù è “nato sotto la legge” le cui esigenze egli avrebbe soddisfatto perfettamente (Ga 4:4; Ro 8:3).

Inoltre, proprio in occasione della sua presentazione nel tempio, lo Spirito Santo spinse Simeone a prenderlo in braccia e dire, fra le altre cose: “Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che hai preparata dinanzi a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lu 2:29-32).

 

Dopo la visita dei magi e un’ulteriore rivelazione trasmessa a Giuseppe dall’angelo del Signore, ci fu la fuga in Egitto (Mt 2). A determinare questa fuga fu l’agire di Erode, un agire che dipendeva in parte dalla natura illegittima del suo ruolo come re della Giudea, essendo lui un Idumeo e non della casa di Davide. Questa circostanza ci ricorda che al tempo di Gesù la Terra Promessa era sotto il dominio dei Romani a cui Erode doveva la sua nomina come re. Ma vista nel contesto della storia della salvezza, la fuga in Egitto è significativa in quanto portò Gesù a ripercorrere la storia del proprio popolo (v. 15) e in questo modo appariva già come l’Israelita per eccellenza (Mt 1:21; Ga 3:16).

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Descrivi i ruoli di Giuseppe e Maria secondo Matteo capitoli 1-2 e Luca 1:26–2:24.

 

2. Quali particolari dei racconti di Matteo e Luca sulla nascita di Gesù mettono in luce la natura dell’evento inteso come Incarnazione?

 

3. Perché era importante che Gesù nascesse a Betlemme?

 

4. Descrivi in parole tue le profezie fatte da Simeone in occasione della presentazione di Gesù al tempio (Lu 2:29-35).