Tempo di lettura: 8 minuti

Riappropriarsi del valore dell’amicizia

 

Nella società moderna abbiamo contatto con una quantità di persone molto più ampia rispetto a quanto accadeva in passato. Le distanze si sono accorciate grazie a mezzi di trasporto sempre più veloci e sistemi di comunicazione sempre più numerosi. Internet, e in particolare i social network tipo facebook o twitter, hanno permesso di allargare le proprie cerchie ancora di più, aumentando anche la frequenza delle interazioni. Negli ultimi anni ho utilizzato internet con l’obiettivo principale di testimoniare della mia fede e diffondere il messaggio della salvezza in Gesù Cristo attraverso la pubblicazione di brevi meditazioni bibliche sul sito “Oggi in Cristo”. Mi sono quindi avvicinato anche al mondo dei social network e ciò mi ha permesso di comprendere aspetti positivi e negativi di questi mezzi.

 

La facilità di tenersi in contatto con parenti, amici e fratelli scambiando informazioni in maniera molto più rapida rispetto al passato è sicuramente l’aspetto più positivo. Inoltre i pensieri pubblicati sul sito, grazie al “passaparola” sui social network, hanno raggiunto centinaia di persone, di cui moltissimi non credenti, che non avrei raggiunto diversamente.

Tuttavia gli aspetti negativi non sono pochi. Per molte persone questi mezzi sono solo un modo per sfogarsi, condividere contenuti volgari o di bassa qualità, lasciarsi andare al turpiloquio, fare maldicenza, mettere in piazza tutto ciò che passa per la propria mente senza filtri. L’amicizia viene ridotta a qualcosa di molto superficiale: i contatti aumentano in quantità ma diminuiscono in qualità.

Per questi motivi ritengo importante riappropriarsi del valore della vera amicizia.

 

 

Pochi ma buoni

 

Sui social network non è difficile incontrare persone che hanno migliaia di “amici”. Ma, ovviamente, non è possibile mantenere un rapporto con migliaia di persone, quindi la maggioranza di questi amici sono perfetti sconosciuti con i quali non si scambierà mai neanche due parole.

La Bibbia sottolinea l’importanza della qualità dell’amicizia rispetto alla quantità:

“Chi ha molti amici può esserne sopraffatto, ma c’è un amico che è più affezionato di un fratello” (Pr 18:24 – Nuova riveduta).

 

Facendo un po’ di ricerca si scopre che questo verso non è di facile traduzione e viene reso nelle varie versioni in maniera differente. Ad esempio la CEI traduce: “Ci sono compagni che conducono alla rovina, ma anche amici più affezionati di un fratello” e la Nuova Diodati rende così: “L’uomo che ha molti amici deve pure mostrarsi amico, ma c’è un amico che sta più attaccato di un fratello”. In lingua inglese, uno dei modi più interessanti in cui viene reso questo verso in alcune versioni è che “ci sono amici che pretendono di essere amici mentre c’è un amico che è più affezionato di un fratello”. Mi ha colpito molto la traduzione Revised English Bible che rende in questo modo: “Alcuni compagni sono buoni solo per le chiacchiere, ma c’è un amico che è più vicino di un fratello”.

 

Benché queste differenze mettano in luce sfumature diverse, è chiaro il senso generale del verso che invita a riflettere sulla differenza tra un amico che è come un fratello e altre relazioni che sono invece poco profonde e possono essere addirittura dannose.

È inevitabile che ci siano pochi con cui riusciamo a condividere le cose più intime, pochi amici più vicini di un fratello, mentre i rapporti con gli altri saranno molto limitati.

Purtroppo l’aumento a dismisura delle “amicizie” superficiali rischia però di lasciarci senza tempo per la vera amicizia, un legame profondo come quello che unì Gionatan a Davide:

“Appena Davide ebbe finito di parlare con Saul, Gionatan si sentì nell’animo legato a Davide, e Gionatan l’amò come l’anima sua” (1Sa 18:1).

 

Non deve stupirci l’utilizzo della parola amore per descrivere l’amicizia perché le due parole hanno la medesima radice e, in effetti, l’amicizia è una nobile espressione di amore che purtroppo nel nostro tempo stiamo trascurando, come osserva il noto autore C.S. Lewis in questo passaggio:

“Per gli antichi, l’amicizia era il più felice e il più completo degli affetti umani, coronamento della vita, e scuola di virtù. Il mondo moderno, in confronto, l’ignora. Ovviamente, chiunque è disposto ad ammettere che un uomo, oltre che di una moglie e di una famiglia, ha bisogno anche di qualche amico; ma il tono stesso di quest’ammissione e il tipo di conoscenze che vengono poi definite amicizie mostrano chiaramente che ciò cui si fa riferimento ha ben poco a che vedere con la philia che Aristotele classificava tra le virtù, o con quell’amicitia sulla quale Cicerone scrisse un trattato. È un fattore del tutto marginale; non è la portata principale nel banchetto della vita, ma semplicemente uno tra i tanti contorni: è qualcosa che serve a riempire i momenti vuoti del nostro tempo. Come siamo arrivati a questo punto?”.

(C.S. Lewis, “I quattro amori”, pagg. 59-60)

 

Lewis pubblicò queste parole nel 1960. Mi chiedo cosa penserebbe del concetto di amicizia nel mondo del ventunesimo secolo! Quando si parla di “amici”, credo che dovremmo rispolverare il vecchio adagio “meglio pochi ma buoni”, perché il tempo a nostra disposizione è limitato e dobbiamo spenderlo per creare relazioni vere, profonde, significative, che fanno crescere noi stessi e gli altri, riportando questa virtù, per usare le parole di Lewis, ad essere “la portata principale nel banchetto della vita”.

Un click su “Mi Piace” o un “Tweet” sui social network non può e non deve diventare un surrogato di un sorriso o di una pacca sulla spalla fatti da una persona in carne ed ossa, che cammina al nostro fianco. Altrimenti il rischio è quello di essere pieni di “amici”, eppure irrimediabilmente soli.

 

 

Fratelli sì, amici no?

 

In questa società iperconnessa, la superficialità delle relazioni interpersonali è un problema che purtroppo affligge anche i credenti nelle relazioni tra di loro. Infatti mi capita sempre più spesso di incontrare cristiani che sono molto delusi dalle relazioni con i credenti della propria chiesa locale. Sembra che anche i credenti trovino più facile avere contatti a distanza con migliaia di persone, mentre la relazione con il fratello che si siede accanto nella propria chiesa locale è pressoché inesistente.

Molti sembrano vivere la chiesa solo come un insieme di riunioni, di eventi, di iniziative. Si perde di vista l’aspetto principale dell’essere comunità, quello di un insieme di persone che hanno desiderio di conoscersi, di stare insiemeperché hanno in comune la fede in Cristo che li stimola ad amarsi gli uni gli altri. Non stupisce quindi se ormai si tende ad identificare un luogo con il termine “chiesa”; d’altra parte questo riflette una realtà ormai consolidata che relega il nostro “essere chiesa” alla partecipazione ad un calendario prestabilito di incontri in un luogo ben preciso.

 

Talvolta persino fratelli responsabili della medesima chiesa ammettono di non avere tra di loro buone relazioni masi limitano a gestire la chiesa come fosse una qualunque associazione, limitando i loro rapporti agli incontri ufficiali della chiesa, e poi ognuno coltiva le proprie amicizie altrove. Credo che molti sinceri credenti diano per scontato che, essendo fratelli in Cristo, non ci sia alcuna necessità di sforzarsi per essere amici, come se la cosa potesse essere in qualche modo automatica, qualcosa di cui si occuperà il Signore.

 

Basta però osservare le relazioni di parentela naturale per rendersi conto che due fratelli non sono necessariamente amici, anzi il legame naturale non ha impedito a molti fratelli di essere veri e propri nemici, come impariamo dalla storia di Caino e Abele, proprio i primi due fratelli della storia… A proposito di Caino e Abele, l’apostolo Giovanni li cita in un contesto particolare:

“Poiché questo è il messaggio che avete udito fin da principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non come Caino, che era dal maligno, e uccise il proprio fratello. Perché l’uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste” (1Gv 3:11-12).

 

Mi sembra interessante che Giovanni, invitando i credenti ad amarsi gli uni gli altri, utilizzi proprio l’esempio di Caino e Abele, due fratelli che purtroppo non erano amici. Giovanni sta scrivendo a dei credenti, a persone che sono tra di loro fratelli e sorelle in Cristo, eppure ricorda loro che l’essere fratelli non ha impedito a Caino di coltivare invidia e disprezzo verso Abele al punto da considerarlo un nemico da sopprimere! Quindi, se i credenti vogliono evitare il disastro nelle loro relazioni, essi non dovranno essere passivi, ma dovranno mettere grande cura nell’amarsi gli uni gli altriquindi anche nello sviluppare buone relazioni di amicizia.

 

La natura ci insegna che non si diventa fratelli per scelta, perché due fratelli sono legati da una relazione “di sangue”, ereditata dai comuni genitori. Anche in senso spirituale, accade la stessa cosa: coloro che condividono la fede cristiana, avendo lo stesso Padre, sono tra di loro fratelli in Cristo non perché si sono scelti a vicenda, ma in virtù di ciò che Cristo ha fatto!

Invece l’amicizia richiede una scelta deliberata che si sviluppa dedicando tempo ed energia. Posso avere una persona seduta al mio fianco per molto tempo eppure non conoscerla per nulla, ma se decido di rivolgergli la parola, di spendere del tempo per ascoltarla, di scoprire quali sono i suoi interessi e magari scoprire che coincidono con i miei, allora pian piano cominciamo ad avvicinarci, a sviluppare, appunto, un’amicizia.

 

Nella chiesa locale confluiscono persone molto diverse tra loro per carattere, cultura, ceto sociale, età; sono persone che non si sarebbero mai scelte tra loro se non fosse stato Dio a metterle nello stesso contesto, in Cristo. Ecco perché essi dovranno mettere molta cura nel coltivare l’amicizia perché non sarà per nulla automatica! Se non fosse così, se le buone relazioni tra fratelli fossero scontate, perché nel Nuovo Testamento troveremmo tante esortazioni che ci incoraggiano a perseguirle in maniera attiva?

•               ‑“Guardate che nessuno renda ad alcuno male per male; anzi cercate sempre il bene gli uni degli altri e quello di tutti” (1Te 5:15).

• ‑“Soprattutto, abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1P 4:8).

• ‑“Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati,

 ‑anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri»” (Gv 13:34-35).

 

Amatevi gli uni gli altri. Gesù ci ha dato un imperativo che richiede impegno e sottomissione a Dio e alla sua Parola:se fosse automatico, non sarebbe un comandamento. Lo Spirito Santo produrrà questo frutto nella nostra vita se lo lasciamo operare ma, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che possiamo anche resistere alla sua voce, ignorare i suoi consigli e calpestare il nostro fratello con il risultato di un logoramento reciproco, cosa che accade più spesso di quanto osiamo ammettere: “…poiché tutta la legge è adempiuta in quest’unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Ma se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate di non essere consumati gli uni dagli altri” (Ga 5:14-15).

 

Ecco perché non dobbiamo abbassare la guardia ma dobbiamo mettere ogni cura nel perseguire l’amicizia con i credenti che Dio ci ha messo vicino. Infatti Dio ci ha posto accanto dei fratelli e delle sorelle perché ci stimolassimo a vicenda per crescere spiritualmente. Sarà proprio con loro che ci eserciteremo ad amare, a perdonare, a servire, a risolvere i conflitti. L’amicizia crescerà anche attraverso il servizio reciproco e comune, svolto fianco a fianco. Gli anziani devono essere esempi del gregge (1P 5:3) anche in questo campo, essendo i primi a perseguire l’amicizia tra di loro e con il resto della chiesa.

 

 

Vuoi un amico? Sii un amico!

 

“L’olio e il profumo rallegrano il cuore; così fa la dolcezza di un amico con i suoi consigli cordiali” (Pr 27:9).

Tutti abbiamo bisogno di un amico. Tutti abbiamo bisogno di avere vicino qualcuno che sappia consigliarci, gioire con noi, ma sappia anche starci vicino quando ci troveremo in difficoltà.

In particolare, quando i momenti difficili riguarderanno la sfera spirituale della nostra vita, gli amici non credenti non saranno sufficienti. Quando avremo dubbi, quando lotteremo contro il peccato, quando affronteremo delle sconfitte o delle cadute, quando ci saranno problemi nella chiesa, quando affronteremo dei conflitti, avremo bisogno di amici che condividano la nostra stessa fede e che sappiano ascoltarci, consigliarci, spronarci, pregare con noi e, se necessario, piangere con noi.

Ma, allo stesso modo, anche noi dovremmo essere pronti a fare lo stesso con l’altro. Essendo sempre stato timido, non è mai stato facile per me fare il primo passo per sviluppare un’amicizia, ma con l’aiuto del Signore, nel tempo, ho imparato una cosa semplice: se vuoi un amico, devi essere pronto ad essere un amico.

Come recita un vecchio detto anglosassone:

I went out to find a friend, (Sono andato a cercare un amicobut could not find one ther. (ma non ne ho trovato uno).

I went out to be a friend, (Sono andato per essere un amicoand friends were everywhere (e gli amici erano ovunque).

 

Un vero amico non invidia ma si rallegra del successo altrui perché lo considera il proprio. Sa rallegrarsi con l’altro così come sa piangere con lui se è necessario. Ama in ogni tempo, in ogni circostanza:

“L’amico ama in ogni tempo; è nato per essere un fratello nella sventura” (Pr 17:17).

 

Cerchi un amico? Sii pronto ad essere un amico. Sii pronto non a spendere gli scarti del tuo tempo con l’altro, ma a mettere da parte tempo prezioso per sviluppare una relazione di amicizia vera. Sono convinto che, se i credenti spendessero più energia nel coltivare sane relazioni di amicizia, ci sarebbero anche meno divisioni nelle chiese. Che Dio ci guidi a non essere superficiali ma a perseguire relazioni sincere “affinché non siamo raggirati da Satana; infatti non ignoriamo i suoi disegni” (2Co 2:11).