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Essere cristiani in mezzo agli altri

 

Il porsi il problema di come essere cristiani, individualmente e come Assemblee, nel mondo scaturisce in modo immediato dell’insegnamento biblico. Il Signore Gesù, nella cosiddetta preghiera sacerdotale, diceva, riferendosi ai suoi discepoli di allora e del futuro:

“Io non sono più nel mondo ma essi sono nel mondo…il mondo li ha odiati perché non sono del mondo. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo…Come tu hai mandato me nel mondo così anch’io ho mandato loro nel mondo” (Gv 17:11, 14, 15, 18).

E, un attimo prima di ascendere al cielo, ancora Gesù lasciava il grande mandato alla sua chiesa: “Voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi e mi sarete testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea e Samaria, fino alle estremità della terra” (At 1:8).

È questa la situazione nella quale il Signore ha voluto la sua Chiesa: nel mondo ma non del mondo. E il Signore, nei suoi disegni e nella sua grazia, ha voluto che, appunto nel mondo, la sua Chiesa fosse il veicolo della Parola, fosse la sua testimone.

 

Il Signore ha voluto per noi la presenza concreta in mezzo agli altri uomini (Mt 5:13-16):

“Voi siete il sale della terra; ora se il sale diviene insipido, come lo si salerà? Non è più buono a nulla se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta e non s’accende una lampada per metterla sotto il moggio; anzi la si mette sul candeliere ed ella fa luce a tutti quelli che sono in casa. Così risplenda la vostra luce nel cospetto degli uomini affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5:13-16).

 

Un comportamento che implica consapevolezza ed adattamento al modo di essere e di pensare che ci circonda pur di trasmettere una testimonianza efficace:

“Poiché, pur essendo libero da tutti mi sono fatto servo a tutti pur di guadagnarne il maggior numero e con i Giudei mi sono fatto giudeo, per guadagnare i Giudei; con quelli che sono sotto la legge mi sono fatto come uno sotto la legge (benché io stesso non sia sottoposto alla legge), per guadagnare quelli che sono sotto la legge; con quelli che sono senza legge mi sono fatto come se fossi senza legge (benché io non sia senza legge riguardo a Dio, ma sotto la legge di Cristo), per guadagnare quelli che sono senza legge. Coi deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli; mi faccio ogni cosa a tutti per salvarne in alcun modo qualcuno” (1Co 9:19-22).

Il porsi il problema e l’obiettivo di relazionarsi con il mondo comporta necessariamente una conoscenza delle caratteristiche di pensiero e di impostazione di vita degli uomini in mezzo ai quali viviamo. Fra l’altro una conoscenza di questo tipo è utile anche per cogliere le influenze che la mentalità corrente ha sulle nostre scelte e sui nostri comportamenti.

 

 

Un contesto secolarizzato

 

Il fenomeno primario da prendere in considerazione è quello che va sotto il nome di “secolarizzazione”, processo imponente nel quale siamo immersi e che evolve sempre più evidentemente verso una permeazione totale di tutti gli aspetti della vita. Si tratta forse del fenomeno che Gesù antivedeva quando dichiarava:

“Ma quando il figliolo dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lu 18:8)

 

Il processo è in corso da secoli e si origina nella frattura culturale che si è verificata nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento. Il mondo medioevale infatti ha mirato, anche se non l’ha raggiunta completamente, ad una sintesi di tutto il sapere e di tutti gli aspetti dell’esistenza nella teologia.

I problemi di oggi traggono origine dalla frattura di questa sintesi. Al mondo medioevale è così succeduto il mondo moderno che ha visto affermarsi a poco a poco una concezione della realtà di tipo antropocentrico (centrato cioè sull’uomo) in luogo di quello teocentrico (centrato su Dio).

È evidente che tale cambiamento non si è esaurito in un breve ciclo di tempo; si deve dire infatti che, dopo diversi secoli, è ancora in corso e non è terminato.

Dopo il Rinascimento si è sviluppata infatti la rivoluzione democratico-liberale, culminata con la Rivoluzione francese, che ha messo al centro l’individuo con i suoi diritti politici; più recentemente si sono realizzate le rivoluzioni marxistico-proletarie, che hanno elaborato un antropocentrismo collettivo invece che individuale, e la rivoluzione delle masse di colore, che ha proposto il loro accesso alla responsabilità politica ed ad una coscienza sociale che, dopo la fine dell’epoca coloniale, mettesse al centro l’uguaglianza e la parità interrazziale nell’accesso ai beni della terra.

 

Più recentemente infine si è affacciata all’orizzonte la rivoluzione scientifico-tecnocentrica che costituisce la punta più avanzata della visione antropocentrica. Si tratta infatti non solo dell’uso di tecnologie raffinate, come l’informatica, in molti campi della vita ma della dipendenza della vita e della personalità umana dalle tecniche più avanzate: trapianti di organi vitali, bioingegneria con interventi sui codici genetici, interventi a livello di volontà e psiche fino alla volontà morale.

Tutte queste trasformazioni, indicate qui in termini molto generali e sommari, non sono che conseguenze del passaggio da una visione della realtà totale centrata sul divino ad una visione centrata sull’uomo.

Noi oggi ci troviamo in questo vasto periodo di rottura e di cambiamento ma è qui, oggi, che siamo chiamati a vivere totalmente la nostra esperienza cristiana.

 

 

L’umanesimo

 

Come detto, la trasformazione in cui siamo immersi ha portato prepotentemente l’uomo al centro della realtà.

L’umanesimo, che aveva informato di sé il paganesimo greco e romano, è tornato ad essere l’atteggiamento spirituale e culturale dominante.

Così, ovviamente, valori antichi centrati su Dio o che, comunque, avevano un retroterra di tipo cristiano sono stati sostituiti da valori nuovi centrati sull’uomo.

Dal punto di vista sociale le istituzioni non cercano più la benedizione o la sanzione di una Chiesa ma, anzi, ne rifiutano l’influenza.

Dalla sacralità del passato – l’Imperatore che governava per investitura dall’alto, l’autorità paterna derivante da una indicazione divina, ecc. – per cui l’individuo doveva seguire disegni già stabiliti, si è passati alla situazione attuale dove le istituzioni sociali diventano strumento ed hanno essenzialmente un carattere organizzativo.

 

Nel campo della scienza, da Galileo in poi, gli uomini si sono dotati di una metodologia che ha sottratto la ricerca scientifica dalla dipendenza dal trascendente.

Nell’arte l’astrattismo, l’assurdo, l’incompiuto, il rumore costituiscono ancora un segno evidente del distacco dall’influenza della problematica religiosa e del ripiegamento sul contingente e sul finito.

Nel campo dell’etica, la rimozione progressiva delle certezze in verità assolute ha aperto la strada alla affermazione di verità relativizzate, dipendenti dal tempo e dalle situazioni. In questa linea si situa la visione attuale dell’etica che è detta, appunto, “etica situazionista”.

 

L’umanesimo si regge su alcuni “credi” fondamentali: il credo nell’uomo e nelle sue capacità, il credo nella ragione, il credo in questa vita, il credo progresso. Ovviamente questi credi sono fortemente interconnessi e costituiscono, come già detto, il tessuto che regge la vita degli uomini di oggi.

 

In questa visione Dio non trova più posto e viene progressivamente bandito da tutti gli aspetti della vita.

Conseguentemente, ed è qui uno dei punti che più ci esercita, leggi tradizionali, basate su un’etica propriamente cristiana opposta a valori umani generali, quali quelle relativi all’aborto, all’eutanasia, ecc. dovrebbero essere abrogate, lasciando ai cristiani di viverle nel loro privato.

È in questo contesto culturale che il mondo propone oggi le sue scelte di vita.

Così, nel nostro mondo, esistono dei modelli e delle modalità di vita che, più o meno, costituiscono il tessuto su cui si sviluppa l’esistenza degli uomini, il fine immediato delle fatiche e dei sacrifici: l’esaltazione del bello, del comodo, del vincente, l’esaltazione del piacere e del sesso, la fiducia nel denaro.

 

A fronte di queste realtà che molto brevemente e in modo certamente incompleto ho cercato di descrivere, dobbiamo porre ancora, nell’accingerci a suggerire alcune linee di approccio per rendere fruttuosa la nostra comunicazione e la nostra presenza, alcuni punti importanti.

 

 

L’uomo perduto

 

Il compito di comunicare e testimoniare nel mondo deve essere accompagnato da una profonda convinzione che gli uomini di oggi, come quelli di ieri e di sempre, hanno un profondo bisogno di Dio anche se hanno cercato di scacciarlo dalla loro esistenza e dai loro presupposti.

 

Qualcuno ha detto:

“Ogni uomo porta dentro di sé un vuoto che ha la forma di Dio e che solo Dio può riempire”.

Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo che ci aiuti in questo convincimento, che attualizzi l’affermazione di Gesù:

“Il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perito” (Lu 19:10).

È chiaro che non si può definire la missione di Gesù senza parlare dell’uomo come perduto. Le parole di Gesù ci suggeriscono i due aspetti della perdizione dell’uomo.

 

• L’uomo è, innanzitutto, come una pecora smarrita che il pastore va a cercare in mezzo agli sterpi ed ai rovi. La sua perdizione è, fondamentalmente, la perdita della via, la rottura del legame che lo dovrebbe guidare, l’allontanamento dalla casa paterna e lo scombussolamento che lo lascia preda di ogni vento.

 

• Ma l’uomo è perduto ancora come un condannato dai medici o, peggio, come un criminale sul quale sta per abbattersi la sentenza di morte.

La perdizione dell’uomo è, in molti testi biblici, equivalente alla morte ed alla distruzione: l’uomo non ha bisogno solo di essere trovato, ma di essere salvato e risuscitato a vita eterna.

 

Conosciamo questa dottrina e non è il caso di approfondire ulteriormente il tema in questa sede; piuttosto è utile sottolineare un altro aspetto molto importante per il nostro studio.

Innanzitutto dobbiamo sottolineare che il fatto che l’uomo, senza Cristo, sia perduto è una verità di fede. Non si può constatarla, dedurla, intuirla: è Dio che la rivela e noi possiamo solo desumerla dalla sua luce. Il punto decisivo è che l’uomo è perduto in rapporto a Dio.

È davanti a lui che Isaia esclamava:

“Ahi povero me! Che io sono perduto!” (Is 6:5).

Così come il pensiero del figlio prodigo andava oltre suo padre, fino al cielo:

“Padre ho peccato contro al cielo e contro a te!” (Lu 15:21).

E Davide, riconosceva, davanti all’Eterno:

“Ho peccato contro a te, contro a te solo” (Sl 51:4).

Di fronte a questa realtà di fede i due tipi di risposta che prima indicavamo sono relativizzate. Così è l’uomo sicuro di sé. L’uomo che lotta e fatica per vincere la malattia e la povertà, per liberare l’umanità dalla miseria e dalla fame. L’uomo che è perduto davanti a Dio, ma che non ha ancora il discernimento della propria perdizione davanti a Dio.

 

 

I segni della perdizione

 

Credo che sia utile ancora esaminare alcuni aspetti del mondo che ci circonda e che sono i “segni” di questa perdizione.

 

È tipico della nostra società, il ripiegarsi su sé stessi, il rompere ogni legame di solidarietà sociale. Il passaggio dalla società rurale a quella industriale e dei servizi, la generalizzazione delle forme istituzionali di aiuto e di assistenza hanno indotto le persone all’isolamento ed alla incomunicabilità, alla solitudine. È stato acutamente notato come questa solitudine abbia ormai invaso anche l’ambito familiare dove i molteplici orari di lavoro, la televisione e l’automobile stanno contribuendo all isolamento del marito dalla moglie, dei figli dai genitori.

L’alcool e la droga, piaghe terribili del nostro mondo, sono, ancora una volta, i segni di una angoscia esistenziale profonda. Le delusioni, la mancanza di punti di riferimento sicuri, la terribile fragilità della personalità odierna, le tensioni e le paure nell’affrontare la vita si scaricano nella fuga nell’alcool e nella droga. In nessun periodo del passato l’umanità ha registrato numeri così alti di persone soggette ad esaurimenti, depressioni, nevrosi, suicidi. Anche qui l’impostazione della vita costruita su modelli sbagliati, la mancanza di riferimenti sicuri, l’impossibilità di abbandonarsi con fiducia a qualcuno più forte di noi scavano nella psiche delle persone voragini che si manifestano in profondi squilibri. La solitudine è un male crudele, che spesso si cela dietro un volto allettante, in cui germinano appunto il vizio, l alcoolismo, la pazzia, il suicidio.

 

In questo contesto ci dobbiamo situare e dobbiamo testimoniare.

Dobbiamo chiedere al Signore il coraggio e la saggezza per compiere questo mandato, la profonda consapevolezza che il messaggio che portiamo è la verità in assoluto, la convinzione che l’Evangelo ha in sé la potenza per la salvezza:

“Poiché io non mi vergogno dell’evangelo perch’esso è la potenza di Dio per la salvezza d’ogni credente; del giudeo prima e poi del greco” (Ro 1:16).