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Un atto d’amore

 

Nel ricordare l’incarnazione dell’eterno Figlio di Dio in Gesù di Nazaret, si ha la tendenza ad esaltare il ruolo avuto, in questo evento miracoloso, misterioso ed unico nella storia, dalla madre di Gesù, Maria. Purtroppo si dimentica spesso il ruolo avuto da Giuseppe, in questa scelta divina della famiglia umana nella quale far “incarnare” e crescere il Figlio.

Possiamo ben immaginare le difficoltà affettive ed emotive che Giuseppe ha dovuto affrontare nell’essere il padre adottivo di un bambino la cui madre era… sua moglie!

 

Già scorrendo i tanti nomi nella genealogia con cui inizia il vangelo di Matteo, restiamo colpiti dal linguaggio usato. Infatti tutti i passaggi della genealogia sono indicati con il verbo “generò”. L’unico passaggio in cui Matteo evita il ricorso all’uso di questo verbo è l’ultimo: il passaggio da Giuseppe a Gesù. Di Giuseppe infatti non è detto che “generò” Gesù, ma che fu “marito di Maria dalla quale nacque Gesù, che è chiamato Cristo” (v. 16).

Quindi: un passaggio generazionale, quello da Giuseppe a Gesù, in assenza però di generazione! Cioè: Gesù è indicato come “figlio” di Giuseppe ma senza essere stato generato da lui.

Giuseppe accoglie il figlio di sua moglie, senza esserne il padre! Un atto d’amore che, come vedremo, ha più di un “oggetto”: è amore prima di tutto per Dio che gli ha chiesto di assolvere il non facile compito di padre; è amore per Maria, che vuole onorare con ogni sua scelta; è amore per Gesù, che accoglie, protegge e cura come se fosse suo figlio, ma, forse, più che se fosse stato suo figlio!

 

 

Primo ad accettare “il mistero”

 

Solo due evangelisti ci raccontano la nascita di Gesù: Matteo e Luca. Leggendo gli Evangeli scopriamo che in nessuno dei quattro Evangeli e neppure in tutti gli altri scritti del Nuovo Testamento troviamo indicazioni che ci incoraggino a ricordare la nascita di Gesù, piuttosto riceviamo il comandamento di ricordare la sua morte, la sua risurrezione e il suo ritorno.

 

Mentre Luca mette in evidenza la figura di Maria, raccontandoci gli episodi dell’annunciazione, della visita alla cugina Elisabetta e della nascita del suo primogenito e riferendoci il testo del suo straordinario canto di lode,Matteo dà assoluto rilievo alla figura di Giuseppe.

 

Si potrebbe pensare ad una sorta di complementarietà fra i due racconti, ma sicuramente non solo a questo.

Matteo, come sappiamo, scrive infatti per gli Ebrei, perché riconoscano in Gesù il Messia promesso dai profeti ed aveva sicuramente più valore per loro mettere in evidenza che un uomo, il fidanzato, avesse accettato la possibilità che la fidanzata Maria fosse stata messa incinta dallo Spirito Santo.

 

Vi sono aspetti per i quali la figura di Giuseppe brilla come e più di quella di Maria.

Pensiamo, come primo esempio, alla accettazione da parte di Giuseppe della gravidanza della fidanzata, poi moglie.

Già è difficile per noi accettare il fatto che una donna abbia concepito non per l’intervento di un uomo, ma per l’azione dello Spirito Santo, come aveva annunciato l’arcangelo Gabriele a Maria. L’apostolo Paolo, ricordando quest’evento straordinario, scrisse a Timoteo: “Grande è il mistero della pietà…” (1Ti 3:16), usando quindi la parola “mistero” per indicare una verità impossibile da conoscere e da comprendere se non ci fosse stata rivelata e che, in quanto rivelata, dobbiamo accettare per fede, perché indimostrabile attraverso la ragione.

L’accettazione di questo “mistero” è uno dei fondamenti della fede cristiana:

“…ogni spirito il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne è da Dio” (1Gv 4:2); subito dopo Giovanni ricorda che è anche vero il contrario e cioè chi non riconosce questo “mistero” non è da Dio.

 

Giuseppe è l’uomo al quale per primo è stato rivelato questo mistero e che per primo è stato chiamato ad accettarlo!

 

Maria era “promessa sposa” a Giuseppe: il fidanzamento nelle cultura ebraica del tempo era un atto pubblico che impegnava, in modo particolare l’uomo, al matrimonio. Nella vita di Giuseppe ecco accadere qualcosa che non avrebbe mai pensato: la sua fidanzata è incinta, sa benissimo di non essere stato lui e sa altrettanto bene che una donna non concepisce un figlio da sola.

Giuseppe viene così a scoprire che la sua promessa sposa l’ha ingannato: un altro uomo si è intromesso nella loro relazione. Dev’essere quindi annullato il matrimonio, gli inviti, la cerimonia nuziale, la festa (vanno avvertiti gli invitati: che figura gli sta facendo fare quella promessa sposa!).

Per lui si prospetta il crollo totale del suo progetto familiare.

 

Giuseppe si sente tradito ed il racconto mette in evidenza le sue perplessità. Ve lo immaginate andare a dire ai suoi familiari, ai suoi amici: “La mia promessa sposa è incinta, è stato lo Spirito Santo!”, perché questo è quello che gli aveva detto l’angelo in sogno. Sai le risatine, le prese in giro. Già molti, oggi e nel corso della storia, prendono ed hanno preso in giro coloro che accettano ed hanno accettato questa rivelazione. Figuriamoci lui che ne era direttamente coinvolto.

Per Giuseppe si prospetta quindi anche il crollo della sua fiducia, ma anche della sua credibilità.

 

 

Lasciar agire Dio nella propria vita!

 

Giuseppe ha sicuramente vissuto con grande sofferenza la scoperta della gravidanza della sua giovane promessa sposa.

Ma – ed è questo che ci interessa in modo particolare – che cosa ha fatto, lui che ci viene presentato dal racconto come un uomo per bene, anzi addirittura come “un uomo giusto”?

 

Secondo la legge giudaica (De 22:23-24) Giuseppe avrebbe potuto denunciare la promessa sposa e chiedere giustizia per il suo tradimento (la giovane e l’uomo colpevole della sua gravidanza sarebbero stati giustiziati a colpi di pietre).

Ma la denuncia non parte: è evidente che Giuseppe ama Maria. Non vuole la sua morte, sa che è giovane e che forse non ha avuto la forza di difendersi. Così per evitarle il disonore di un processo o di una condanna, decide di lasciarla segretamente, con una rescissione del fidanzamento davanti a due testimoni, come previsto dalla legge.

Così – pensa Giuseppe – l’uomo che l’ha messa incinta potrà sposarla e la vita di Maria sarà salva.

 

Ma Giuseppe non sa che Dio vuole ancora di più da lui.

Un angelo visita Giuseppe durante la notte, nel momento in cui il silenzio ci permette di riflettere meglio sui problemi e di trovare una soluzione. Ma è anche il momento in cui il pensiero del nuovo giorno che verrà, con i suoi pesi e i suoi problemi, ci espone ancora di più alle nostre paure, alle nostre debolezze, alle nostre impotenze, alle nostre ansie.

L’angelo visita Giuseppe per donargli la soluzione di Dio al suo problema, ma anche per consolarlo e fortificarlo.

 

Prima di tutto gli ricorda che egli è “figlio di Davide” ed è, questo, un richiamo implicito alle benedizioni particolari che sono riservate alla discendenza di Davide, secondo il patto che Dio stesso aveva stipulato con colui che aveva definito “un uomo secondo il suo cuore”“La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre” (2Sa 7:16).

È come se Dio volesse ricordargli: “Non sta crollando il tuo progetto familiare, anzi in quanto figlio di Davide un progetto particolare ti è riservato”.

 

Anche noi impariamo a lasciar agire Dio: quando abbiamo delle situazioni problematiche, quando ci sentiamo deboli e impotenti, egli ci ricorda di chi siamo “figli” e di quale “casa” facciamo parte e ci ricorda le sue promesse.

 

In secondo luogo l’angelo comunica a Giuseppe che Dio non gli chiede di superare sé stesso con azioni umanamente impossibili o con imprese spiritualmente sorprendenti ed eclatanti. Gli chiede semplicemente di lasciare Dio agire, di riconoscere l’azione di Dio nella storia, a cominciare dalla storia della sua vita. In sostanza infatti che cosa gli dice l’angelo?

“Lascia stare l’idea pur giusta di lasciare la tua promessa sposa con un atto segreto, anzi prendila per moglie, non avere paura e neppure vergogna di sposarla! In sostanza: accetta che la gente creda che sei stato tu a mettere incinta Maria!”.

 

Giuseppe, dopo aver messo in gioco il suo amore per Maria pensando di lasciarla, ora è chiamato a mettere in gioco la sua onorabilità, la sua reputazione, la sua credibilità ma solo davanti alla sua coscienza, non più davanti agli altri. Gli altri infatti avrebbero pensato che era lui il responsabile della gravidanza di Maria e di conseguenza la loro relazione sarebbe proseguita davanti agli altri con il matrimonio, con il solo incidente di percorso di una relazione sessuale consumata prima del matrimonio e quindi di una disubbidienza al progetto divino che limita all’ambito matrimoniale il godimento legittimo del sesso.

 

 

Quando la Parola di Dio ci visita…

 

La fede di Giuseppe viene fortemente provata da questa proposta divina, ma evidentemente Giuseppe ha la convinzione che è stato Dio a parlargli in modo diretto ed accetta la rivelazione che non c’è stato un altro uomo nel cammino di Maria, crede cioè al fatto che la gravidanza sia stata la conseguenza di un intervento, di un miracolo divino.

 

Che cosa fa al suo risveglio?

Decide di fare quello che Dio gli ha proposto e gli ha chiesto! Cioè: nulla! Nessun rimprovero, nessuna denuncia, nessuna lapidazione, ma anche nessuna rottura del fidanzamento, nessun annullamento delle nozze… i preparativi andranno avanti verso la cerimonia nuziale come dovevano andare!

Egli proseguirà il suo cammino con Maria e lascerà Dio agire nella loro vita.

 

La differenza fra la disponibilità di Maria (“Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua Parola”) e la disponibilità di Giuseppe non sta certamente nella disposizione dei loro cuori: entrambi infatti ascoltano la Parola di Dio e si sottomettono ad essa, pronti in due prospettive diverse ad accettare la volontà divina.

La differenza sta nel fatto che Maria è chiamata a proseguire il suo cammino con una straordinaria novità che lo sconvolgerà totalmente, Giuseppe invece è chiamato in fondo a proseguire il suo cammino, agendo in modo tale che quello che è successo non interrompa questo cammino.

 

Giuseppe non è un bugiardo e neppure un uomo che copre la realtà con l’apparenza, è un uomo che ha accettato quello che Dio gli ha detto anche se umanamente incredibile (“ciò che in lei è generato viene dallo Spirito Santo”) ed agisce in conseguenza della fede in questa Parola, di una Parola che ha illuminato a nuovo per lui quello che era accaduto: non c’era stato nessun tradimento, non c’era un altro uomo nella vita di Maria, ma c’era il Signore che stava agendo e che stava utilizzando lui, sì proprio lui, per il bene del suo popolo (“TU gli porrai nome Gesù, perché è lui che salverà il suo popolo dai loro peccati”).

 

“Tu gli porrai nome Gesù”: un uomo nel momento in cui dava il nome a un bambino riconosceva anche la paternità, quindi l’ordine dell’angelo è un esplicito invito a Giuseppe a dichiararsi pubblicamente padre del figlio di Maria! Giuseppe accetta l’invito senza esitazione. In quel momento, in cui conosce come stanno le cose e ne è direttamente coinvolto, la fonte della sua preoccupazione e della sua sofferenza, alla luce della rivelazione di Dio che gli offre la reale spiegazione di quanto era successo, diventa la fonte della sua consolazione e della sua gioia.

 

Come accadde a Giuseppe, anche a noi può succedere “nel seno della tempesta” – per usare un’espressione cara a Giobbe – cioè nel bel mezzo di una prova, di una malattia, di una preoccupazione, di una situazione senza apparente via di uscita – di essere visitati dalla Parola di Dio che ci parla nel cuore della notte.

 

Come nella relazione fra Maria e Giuseppe non si era interposto nessun uomo, ma era Dio che aveva agito per portare avanti i suoi piani per la loro vita e per quella del loro popolo, così anche noi potremo scoprire attraverso l’ascolto della Parola che nella nostra vita è Dio che sta agendo, che sta operando per rendere più forte la nostra fede in lui, per purificarla dalle scorie e renderla più preziosa dell’oro.

 

La convinzione che ebbe Giuseppe è che stava operando davvero Dio nella loro vita, per questo “destatosi dal sonno, fece come l’angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie”.

Questa stessa ubbidienza la ritroveremo in lui più tardi a Betlemme e lo porterà a rifugiarsi in Egitto (Mt 2:13-14) e, in seguito, la ritroveremo in lui anche in Egitto e lo riporterà a Nazareth, nella loro città (Mt 2:20-21).

 

La storia di Giuseppe è là per dirci: “Guardate! È Dio che agisce ed opera nella vita di coloro che in lui sono diventati uomini e donne giuste perché giustificate, perché desiderose di compiere la sua volontà!”.

 

La convinzione che è Dio che agisce in ogni situazione della nostra vita sarà per noi fonte di consolazione, di incoraggiamento e di benedizione perché ci offrirà la vera chiave di lettura per tutto ciò che ci accade e che, come per Giuseppe, può essere inizialmente motivo di perplessità, di turbamento, di sofferenza, di scoraggiamento e forse anche di ribellione e di rifiuto.