Qualche giorno fa ho assistito ad una conversazione
pubblica con Luigi Ciotti, il sacerdote cattolico torinese diventato famoso per
la sua lotta, per tanti aspetti encomiabile, prima contro l’emarginazione
sociale e poi contro la mafia. Ricordi, riflessioni, testimonianze, denunce,
progetti, appelli… dopo momenti emotivamente intensi, arriva una sorta di
“chicca” finale, certamente non sorprendente vista la collocazione
ecclesiastica del personaggio: l’esaltazione del pontefice attraverso una frase
che, del resto, avevo sentito anche altrove e che suona più o meno così:
“Finalmente lo Spirito Santo ha azzeccato la scelta giusta”. Fossi stato al
posto del conduttore della conversazione gli avrei chiesto chi avesse allora
scelto i 265 papi che hanno preceduto quello attuale. Ma sarebbe stata, questa,
solo una sterile polemica. Piuttosto mi sono chiesto, incoraggiato ad una
riflessione personale, quante volte anche io ho attribuito allo Spirito Santo
o, più semplicemente, al Signore decisioni e scelte che in realtà erano solo
mie, erano frutto di spirito umano e non di Spirito divino. Attribuire
l’elezione di un papa allo Spirito Santo è assurdo semplicemente perché, come
ha ricordato Gesù nelle sue ultime promesse ai discepoli, “quando sarà venuto
lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non
parlerà di suo… Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo
annunzierà” (Gv 16:13-14). La guida dello Spirito si esprime cioè nella
“verità” e la verità è nella Parola. Lo Spirito non dirà mai cose diverse da
quelle dette dalla Parola, perché questa è stata da lui ispirata. Come
sappiamo, la struttura gerarchica della chiesa cattolica, i cardinali, il
conclave, la figura del papa come vicario di Cristo sono tutte realtà frutto
della tradizione degli uomini e del tutto estranee alla Parola che lo Spirito
Santo ha ispirato e, di conseguenza, del tutto estranee alla guida dello
Spirito. Ma anche quando io mi muovo in modo autonomo e indipendente dalla
Parola, sono estraneo a questa guida e questo mi rende certamente responsabile
davanti al giudizio divino, ma ancor più responsabile lo sono quando
attribuisco al Signore pensieri miei, parole mie, scelte mie.
Non
dobbiamo mai dimenticare che il terzo
comandamento ci mette in guardia dal tirare in ballo il Signore e dal
pronunciare il suo nome coinvolgendolo nelle nostre scelte ed anzi
attribuendole indebitamente a lui. Condizionati dal sentire popolare, forse
pensiamo anche noi che questo comandamento riguardi le offese contro Dio, le
bestemmie nelle quali noi italiani siamo tristemente campioni del mondo (culla
della “cristianità”=culla della bestemmia: vorrà dire pur qualcosa anche questo
fenomeno!). In realtà Dio non ci ordina di non offenderlo con parole ed espressioni
oltraggiose e volgari, ma ci ordina di non usare inutilmente il suo nome e ci
ricorda poi che “non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano”, cioè chi pronuncia il suo nome
in modo del tutto inutile e chi lo chiama in causa in faccende nelle quali in
realtà lo si è tenuto estraneo, lontano (la Treccani ci ricorda che quel
“invano” originariamente significa “non chiamare Dio a testimonio per cose
vane, futili o false”). Se la bestemmia può essere una deprecabile
caratteristica degli increduli, il nominarlo “invano” è una, altrettanto e
forse più deprecabile, caratteristica di chi si dice credente e di chi, nel
tentativo di ammantare di santità e di rendere più autorevoli certe sue scelte,
lo cita impropriamente come ispiratore e promotore. Per il nome di Dio, in
tutta la sua componente trinitaria (Padre, Figlio e Spirito Santo) dovremmo
avere un rispetto tale da non
trasformarlo in ispiratore di progetti soltanto nostri e a non citarlo tanto
per il gusto di pronunciare il suo nome. Anche l’abitudine di dire “O Dio, per
Dio, mio Dio… o Signore…” o di ripetere ripetutamente e a sproposito il
nome glorioso di “Gesù” è una brutta e ben triste abitudine!