Tempo di lettura: 9 minuti

Premessa

 

Con questo articolo facciamo un tuffo nel passato, più precisamente al 1979, quando dall’1 al 4 novembre si svolse nel Centro Evangelico di Poggio Ubertini il Convegno dal titolo: “Confessare Cristo oggi, nel mio ambiente di lavoro”. Nei mesi precedenti lo svolgimento del Convegno venne inviato un questionario a credenti di tutta Italia, impegnati in settori diversi del mondo del lavoro, le cui domande riguardavano alcuni dei problemi più sentiti da un cristiano che desideri confessare il suo Signore, con fedeltà ed onestà, anche nell’ambiente di lavoro.

Di seguito riportiamo la sintesi di alcune delle risposte che 25 tra i fratelli e le sorelle contattati hanno dato alle domande del questionario.

 

Una considerazione: se da un lato è vero che in questi ultimi 35 anni trascorsi da allora molto è cambiato nella società, è pur vero che essendo l’uomo ed il mondo sostanzialmente gli stessi nella loro essenza, queste testimonianze sono assolutamente attuali e significative. Le stesse esperienze sono anche le nostre oggi, perciò leggere dell’impegno cristiano di tanti nostri fratelli e sorelle (la maggior parte oggi pensionati, qualcuno già con il Signore!) non può che incoraggiarci e suscitare una riflessione più profonda sull’argomento.

Prima di leggere i risultati del questionario, un suggerimento: perché non aggiungere le proprie risposte alle stesse domande, inviandole a questa rubrica?

 

 

Domande e sintesi delle risposte

 

1. ­HAI VISTO LA VOLONTÀ DI DIO PER LA TUA VITA REALIZZATA NELLA TUA SCELTA DI LAVORO?

 

La risposta è unanimemente affermativa.

Non mancano però sfumature sulla maturazione di questa convinzione, dovute al fatto che diversi già lavoravano al momento della conversione: interessante notare che essi si sono posti il problema, dopo aver conosciuto Cristo, se dovevano restare in quel posto di lavoro o se dovevano lasciarlo.

Alcuni affermano che non sono stati loro a scegliere il lavoro ma piuttosto il lavoro a scegliere loro; ciò è accaduto per “le esigenze della vita” che li hanno posti davanti alla necessità di lavorare, realizzando solo successivamente l’approvazione del Signore.

Altro problema: c’è chi risponde che sono stati i genitori a scegliere per lui, quando aveva 10 anni!

Altri sono passati attraverso diverse esperienze di lavoro ed hanno compreso la volontà di Dio nel lavoro che dava loro più tempo libero (per la chiesa) e maggiori possibilità di contatti umani e quindi di testimonianza.

 

 

2. COME VIVI IL TUO LAVORO? COME RISULTATO DI UNA TUA LIBERA SCELTA IN CUI SENTI REALIZZATA LA TUA VITA ANCHE COME CRISTIANO? O COME RISULTATO DI UNA COSTRIZIONE CHE TI OPPRIME E TI FRUSTRA?

 

La tendenza generale è quella di ritenersi soddisfatti, essendo il lavoro frutto di libera scelta; non mancano però osservazioni che puntualizzano questa risposta e che stimolano un’utile riflessione.

Eccone alcune:

a) Occorre distinguere tra frustrazioni e preoccupazioni; pur non essendo frustrato, il credente che lavora ha, com’è normale, preoccupazioni di cui farebbe volentieri a meno.

b) Quando si riesce, con la guida del Signore, a realizzare il proprio lavoro nella direzione desiderata è possibile vivere momenti di autentica soddisfazione, anche sul piano della testimonianza.

c) Esiste il problema di lavori che assorbono interamente le energie psichiche e fisiche, per cui diversi credenti vi trovano un ostacolo alla loro vita cristiana, non potendosi dedicare come vorrebbero al Signore e alla sua volontà.

d) Il lavoro è previsto nel piano di Dio per l’uomo e non può essere né opprimente né frustrante, soprattutto per un credente.

e) Il cristiano è un morto che lascia vivere in sé un’altra persona (Dio), facendogli usare il proprio cadavere. Il suo lavoro diventa anormale e drammatico quando rivela i tentativi di risurrezione del “cadavere”.

f) Il cristiano deve imparare, nella comunione dello Spirito, ad essere contento dello stato in cui si trova e, quindi, anche di un lavoro che non soddisfa momentaneamente le sue aspirazioni.

g) Occorre tenere ben presente, senza sminuire l’importanza del lavoro, che il credente ha ben altre possibilità per realizzarsi nella vita.

h) Possono esistere momenti di transizione nel proprio lavoro per cui anche per il cristiano il lavoro diventa frustrante, ma egli ha sempre in sé la speranza del progresso.

i) Interessante la risposta di un fratello che, per ragioni dipendenti dal modo nuovo di impostare i rapporti umani, ha scritto: “Ho iniziato ad apprezzare e oserei dire ad amare il mio lavoro dal momento in cui sono diventato cristiano”.

 

 

3. QUALI OSTACOLI, COMPROMESSI E TENTAZIONI TI HANNO FATTO MAGGIORMENTE SOFFRIRE NEL CONFESSARE CRISTO NEL TUO AMBIENTE DI LAVORO?

PUOI RACCONTARE DEGLI EPISODI CONCRETI?

 

Tutti sono concordi nell’osservare che al cristiano non sono risparmiate sofferenze nel proprio ambiente di lavoro, come del resto in qualsiasi altro ambiente nel quale egli collochi la sua fede in antitesi ai modi di vita degli altri. Le difficoltà emerse dalle risposte si possono classificare in interiori ed esteriori.

 

Le difficoltà interiori sono costituite:

a) dalla paura di essere derisi e ritenuti degli allocchi in un mondo di furbi;

b) dalla tensione di ricercare una necessaria coerenza tra il dire e il fare, cioè fra testimonianza verbale e testimonianza di vita;

c) dalla connaturata mentalità che porta a separare marcatamente il lavoro dalle attività spirituali.

 

Le difficoltà esteriori sono di due tipi: generali, cioè comuni a qualsiasi ambiente di vita, e specifiche, cioè proprie dell’ambiente di lavoro.

Le difficoltà generali che si incontrano nel confessare Cristo sono costituite dal materialismo, dall’indifferenza, dall’ateismo, dalla religiosità, dalle differenze ideologiche e prammatiche dei colleghi di lavoro.

Le difficoltà specifiche sono ovviamente più profonde e non riguardano gli altri, ma piuttosto il nostro rapporto con gli altri:

a) difficoltà di dire la verità, anche quando il dirla significa danneggiare il datore di lavoro;

b) difficoltà di “donare” il nostro lavoro al datore di lavoro “come al Signore” (Cl 3:23) e difficoltà nel vincere la tendenza comune a lavorare “per piacere agli uomini”;

c) difficoltà a non cadere nei compromessi che sono sempre in agguato quando si lavora gomito a gomito con dei non credenti;

d) difficoltà a proporre l’etica cristiana senza offendere la sensibilità degli altri;

e) difficoltà a parlare con gli altri (per mancanza di tempo o per timore di essere, anche se infondatamente, considerati fannulloni o perditempo);

f) difficoltà per i cristiani dipendenti a eseguire lavori imposti e ritenuti non giusti;

g) difficoltà nell’evitare di seguire passivamente conversazioni immorali, senza mostrare un giusto disappunto.

 

 

4. RITIENI DI AVER COMPIUTO QUALCHE GRAVE ERRORE DI ATTEGGIAMENTO CHE HA CONDIZIONATO LA TUA TESTIMONIANZA E L VALORE DELLA TUA PRESENZA COME CRISTIANO?

QUALE O QUALI?

 

Pur se la maggior parte ha risposto di non aver commesso gravi errori, sono stati indicati alcuni errori precisi che è interessante riportare:

a) contrasti con colleghi di lavoro su questioni marginali, cioè per puntiglio e non per principio;

b) aver trascurato preziose occasioni di testimonianza;

c) adeguamento al modo di agire, pensare e parlare dei colleghi di lavoro;

d) chiusura verso colleghi ritenuti vuoti e antipatici;

e) presentazione del messaggio cristiano fatta in maniera brusca e inopportuna, tale da provocare immediate reazioni di rifiuto;

f) maldicenza nei confronti di colleghi di lavoro ritenuti non all’altezza;

g) testimonianza di vita insufficiente.

5. COME VORRESTI CHE GLI ALTRI (SORELLE E FRATELLI) PREGASSERO PER TE, PER IL TUO LAVORO, PER LA TUA FEDELTÀ AL SIGNORE NEL LAVORO?

HAI ESPERIENZE DI COMUNIONE O DI MANCANZA DI COMUNIONE DA RACCONTARE, IN PROPOSITO?

FINO A CHE PUNTO QUINDI LA TUA ASSEMBLEA È SOLIDALE CON I TUOI PROBLEMI DI LAVORO E FINO A CHE PUNTO TI SENTI LIBERO DI FARLA PARTECIPE DELLE TUE DIFFICOLTÀ E DELLE TUE VITTORIE?

 

Solo quattro persone rispondono di aver stabilito da tempo un sufficiente rapporto di comunione e di preghiera reciproca.

La grande maggioranza invece ha sempre tenuto per sé i propri problemi.

Diversi lamentano questa situazione come una grande carenza e mostrano di essere stati stimolati in senso positivo da questa domanda. Una sorella risponde: “Penso che farebbe piacere ad ognuno di noi sapere che gli altri membri dell’assemblea pregano per il nostro lavoro e la nostra testimonianza sul lavoro e naturalmente noi pregare per gli altri. Questo lo facciamo mio marito ed io per il nostro lavoro e sentiamo un grande beneficio in ciò…”.

 

Un fratello osserva amaramente che, durante il lungo periodo della sua disoccupazione, ha sofferto per il disinteresse ai suoi problemi da parte di fratelli anche stimati (probabilmente questa indifferenza, tragica sul piano della comunione e dell’amor fraterno, è propria ancora oggi di tante assemblee).

Un altro fratello ancora sostiene che “nelle nostre assemblee manca questo spirito di condividere i propri problemi con gli altri e manca di conseguenza la preghiera specifica…Dobbiamo riconoscere che siamo molto individualisti sia nel condividere le difficoltà che le vittorie”.

 

Positiva infine l’osservazione di un fratello che considera come “un’esperienza veramente preziosa far parte di una comunità in cui si vive gomito a gomito e ci si sente uniti nel legame della fede comune, pur trovandosi nelle situazioni sociali, economiche, professionali più disparate. Ho imparato nella chiesa tante lezioni in questo campo ed ho avuto tante opportunità per capire i problemi degli altri che nella vita di lavoro, chiuso nel mio ambiente, non avrei mai avuto.”

 

 

6. RIESCI AD EQUILIBRARE L’ESERCIZIO DEL TUO DONO NELLA CHIESA LOCALE CON L’ESERCIZIO DELLA TUA VOCAZIONE AL LAVORO?

CIOÈ: RIESCI AD ESPRIMERE LO STESSO IMPEGNO IN ENTRAMBI QUESTI SERVIZI CHE IL SIGNORE TI CHIAMA A SVOLGERE?

IL TUO LAVORO CONDIZIONA IL TEMPO E L’IMPEGNO CHE SEI CHIAMATO DAL SIGNORE A DEDICARE ALLA TUA ASSEMBLEA ED ALLA TUA FAMIGLIA?

SEI CONSAPEVOLE DI QUESTO PROBLEMA?

COME CERCHI DI RISOLVERLO?

 

In generale emerge un marcato senso di difficoltà nel realizzare l’equilibrio sul quale la domanda richiama l’attenzione degli interpellati. Alcuni parlano apertamente di “impossibilità”, ma è evidente l’esigenza comune di programmare la propria vita (energie fisiche, mentali e tempo disponibile) con un vero spirito di disciplina e di dipendenza dal Signore che è il nostro Dio, personale e vivente.

Alcuni giustamente hanno detto che non “è così definita la distinzione fra queste diverse attività”. Una sorella osserva che tutta la vita è consacrata al Signore, perciò è sbagliato ritenere “profana” la vita nel lavoro e “santa” quella nella chiesa locale.

È responsabilità propria della chiesa locale incoraggiare un fratello a dedicare più tempo al suo dono spirituale a scapito del lavoro, intervenendo in modo che lo squilibrio che ne nasce non lo danneggi spiritualmente e materialmente. Poiché dobbiamo servire i nostri datori di lavoro “come al Signore” (Cl 3:23), se abbiamo la necessità di dedicare più tempo alla chiesa e alla famiglia, è preferibile programmare altro lavoro piuttosto che insistere su un’attività, umanamente gratificante, ma troppo dispendiosa di tempo e di energie.

Alcuni hanno scritto di aver rifiutato straordinari molto remunerativi per dedicare alla chiesa e alla famiglia il maggior tempo possibile.

C’è anche il caso (forse non troppo strano!) della sorella che sul posto di lavoro soffre perché deve stare spesso lì senza aver niente da fare e… pensare ai tanti bisogni di fuori!

 

 

7. QUALI RAPPORTI HAI CON I TUOI COLLEGHI DI LAVORO, CON I DIPENDENTI O CON I TUOI SUPERIORI?

C’È QUALCUNO NEL TUO AMBIENTE DI LAVORO CHE È CREDENTE TRAMITE LA TUA TESTIMONIANZA?

LA TUA PRESENZA DI “SALE” E DI “LUCE” HA TRASFORMATO O CONDIZIONATO L’AMBIENTE IN CUI LAVORI?

 

Dalle risposte si conoscono tre conversioni avvenute grazie alla testimonianza resa nell’ambiente di lavoro.

In generale i rapporti umani appaiono improntati da cordialità, simpatia, stima e tutti ritengono di aver condizionato, anche se non trasformato, il proprio ambiente di lavoro.

Infatti i valori che un credente onesto cerca di vivere e di far vivere (chiarezza, sincerità, mancanza di sotterfugi) non possono, a lungo andare, restare senza effetto, anzi talvolta provocano un vero interesse per la Parola di Dio e per quello che Dio dice.

Un fratello però mette in guardia contro un interesse “interessato” per l’Evangelo, che può verificarsi quando il credente ha posti di responsabilità e persone a lui dipendenti che desiderano entrare nelle sue grazie.

La risposta di un giovane operaio, che è una vera testimonianza, è particolarmente degna di nota:

“Da quando sono diventato credente è sorto in me il desiderio di vivere in pace e in sottomissione con gli altri colleghi e con i tre datori di lavoro. Prima avevo la reputazione di sovversivo ed attaccabrighe ed ora invece di giovane paziente e onesto. È importante per me sapere che i miei datori di lavoro reputano ora i credenti come persone sincere e oneste. Dopo la mia conversione, ad esempio, il Signore mi ha fatto vedere come cosa non giusta ricevere denaro fuori dalla busta paga. La mia paga non risultava perciò per intero nelle tasse; con insistenza ho chiesto di finire questo modo di fare per pagare tutte le tasse: mi è stato concesso, sono passato per «non furbo» ma ho fatto ciò che il Signore voleva. Ancora, i miei datori di lavoro mi dissero di dichiarare, in caso d’ispezione, una paga inferiore a quella realmente percepita. Un giorno venne l’ispettore del lavoro al quale dissi la verità. Ciò costò ai miei datori di lavoro una forte multa, ma il Signore li convinse ad apprezzare la mia sincerità. Ora dove lavoro sono stimato e apprezzato dai principali e dai miei colleghi ed alcuni non accettano più denaro fuori della busta paga”.

 

 

8. IN QUALE MODO CREDI SI POSSA EFFICACEMENTE CONFESSARE CRISTO NEL PROPRIO AMBIENTE DI LAVORO?

CON L’ESEMPIO DI VITA, DI SERIETÀ E DI IMPEGNO?

CON L’ANNUNCIO DELL’EVANGELO?… COME?

 

Tutte le persone che hanno risposto sentono che oggi, in qualsiasi ambiente di lavoro, i credenti sono minuziosamente osservati perché gli altri desiderano, dal comportamento, verificare la coerenza della nostra fede.

Per questa ragione emerge la necessità di privilegiare l’esempio di vita come primo momento del confessare Cristo.

Un comportamento “diverso” non mancherà di farsi notare e di provocare le domande dei colleghi che ci porteranno ad una testimonianza verbale dell’Evangelo. Del resto quest’ultima sarà interessante e credibile, soltanto se sarà preceduta da un comportamento serio, onesto, impegnato.

In sostanza i colleghi di lavoro potranno mostrare interesse e accettare ciò che diciamo, se dietro c’è tutta una seria testimonianza di vita. Sul vivere quest’esempio non si possono fissare regole perché, come risponde una sorella, “ogni ambiente e tipo di lavoro ha le sue esigenze particolari”.

L’importante è porsi sotto una reale dipendenza dallo Spirito Santo per vivere questo indispensabile esempio di vita.

 

 

9. ESSENDO CRISTIANO, COME PENSI DI COMPORTARTI QUANDO IL TUO GUADAGNO SUPERA LE TUE NECESSITÀ?

E QUANDO È INSUFFICIENTE A SODDISFARLE?

 

La domanda ha provocato un’utile riflessione sull’uso del proprio denaro.

Un fratello ha osservato che “le necessità sono un concetto vago oggi: nel mondo c’è la continua tendenza a farle crescere a dismisura e anche noi credenti seguiamo spesso questa tendenza”.

Ad esse si contrappone il guadagno che, come scrive un altro credente, dev’essere ricevuto “come se provenisse dal Signore”.

Quest’affermazione ci porta veramente a compiere un serio esame sia sul grado del nostro impegno sia sul modo di amministrarne i proventi.

È generalmente emersa la convinzione che entrambe le situazioni, prospettate dalla domanda, siano difficili da sostenere per chi vuole realmente seguire il Signore; in entrambi i casi, ma forse più nel primo che nel secondo, si devono ricercare la sua guida e il suo aiuto (Pr 30:8-9).

Parlando del primo caso, molti indicano l’opportunità di donare il guadagno eccedente le necessità per l’opera del Signore, ma un fratello domanda: “Ma a Dio interessa il superfluo?”. Infine una sorella osserva che, in entrambe le situazioni, è necessario tenere in primo luogo presenti le necessità dell’opera del Signore e non prima di tutto le nostre come saremmo tentati di fare, soprattutto trovandosi nella prima situazione.