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Quando si vuole indicare una realtà che procede a velocità tartarughesca e che ha evidenti difficoltà a raggiungere i propri obiettivi, va ormai di moda utilizzare l’espressione “tempi biblici”. Così oggi capita di sentir parlare (lo ha fatto anche il “nostro” nuovo presidente del Consiglio nel suo discorso programmatico alla Camera) di giustizia dai tempi biblici, di ripresa economica che ha bisogno di tempi biblici, di burocrazia che costringe i poveri cittadini a lungaggini e ad attese degne dei tempi biblici e… così via.
Così oggi capita di sentir parlare (lo ha fatto anche il “nostro” nuovo
presidente del Consiglio nel suo discorso programmatico alla Camera) di
giustizia dai tempi biblici, di ripresa economica che ha bisogno di tempi
biblici, di burocrazia che costringe i poveri cittadini a lungaggini e ad
attese degne dei tempi biblici e… così via. No! Non dobbiamo pensare che chi
usa questa espressione voglia fare sfoggio delle proprie conoscenze bibliche,
perché in realtà è vero il contrario. Infatti è evidente che alla base dell’uso
inopportuno di questa espressione vi sia una profonda ignoranza biblica e,
oserei dire (e credo di essere molto vicino alla verità!) anche una mancanza di rispetto nei confronti
della Bibbia
, che per la stragrande
maggioranza dei cattolici, pur sé dicenti “cristiani”, è semplicemente un testo
sacro, un testo religioso, ma non la Parola di Dio, i cui contenuti vanno
ricordati e citati con il rispetto che si deve a storie, insegnamenti, messaggi
che Dio ha ispirato per la nostra salvezza e per la nostra formazione.

Ma forse c’è anche un altro motivo, più sottile e più subdolo, che
spinge ad usare questa espressione: sembra che si voglia usare Dio per giustificare i nostri difetti, con un ragionamento
che suona più o meno così: “È vero il cammino della nostra giustizia, della
nostra economia, della nostra burocrazia è caratterizzato da ritardi e
lungaggini. Ma anche Dio, in quanto a ritardi e lungaggini, non è che sia
proprio un modello esemplare”. Se  i
tempi biblici sono i tempi Dio, vuol dire che anche Dio è sempre in ritardo
come noi, quindi: non fasciamoci troppo la testa, perché siamo in buona
compagnia. Anzi: noi siamo migliori perché, così ha fatto capire, il nostro
effervescente presidente, “noi ci impegniamo a ridurre i tempi biblici”.

Dalla sua Parola apprendiamo che Dio, pur essendo l’eternamente
presente (il suo nome è: “Io sono”!) e, pur essendo quindi al di fuori del
tempo, ha da sempre dato un grande valore al tempo, perché ha dato valore a
ciascuno di noi, a noi uomini che viviamo nel tempo, nella storia. Se egli,
nella persona del suo Figlio Gesù, è un giorno entrato nel tempo, nella storia,
lo ha fatto per amore di noi. Paolo ci ricorda che “quando giunse la pienezza del tempo
Dio mandò suo Figlio” (Ga
4:4) e lo mandò per riscattarci dal nostro peccato e perché da creature
potessimo diventare figli. “La pienezza del tempo” è espressione che ricorda
come Dio non lasci nulla al caso, ma come tutto sia frutto di un suo preciso progetto
che egli realizza quando i tempi sono maturi. I tempi biblici, i tempi di Dio
sono quindi quelli che egli nella sua sovranità stabilisce per intervenire
nella storia. E, nell’unico caso in cui la Parola parla di ritardi e lungaggini
di Dio, e lo fa in riferimento al ritorno del suo Figlio che tante generazioni
di cristiani hanno atteso invano, ci viene detto che ciò accade perché il
Signore “è paziente” verso di noi, “non volendo che qualcuno perisca, ma che
tutti giungano al ravvedimento” (2P 3:9). Non ritarda perché è lento,
indolente, indifferente come noi. Ritarda
perché ci ama
! “Per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni
sono come un giorno”: Dio misura il
tempo in modo ben diverso da noi
. Guardiamoci bene quindi dal parlare con
irriverenza, ironia e superficialità di “tempi biblici”! Faremo piuttosto bene
a  ricordare che anche per il
calendario della nostra vita vi è una “pienezza del tempo”. I giorni che ci
sono destinati sono stati scritti nel libro di Dio prima ancora della nostra
nascita (Sl 139:16). Il tempo non ci appartiene. Piuttosto, siamo chiamati a
consacrare “alla volontà di Dio” il tempo che ci resta da vivere (1P 4:2). Solo
così il nostro sarà un “tempo biblico”!