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In alcuni ambienti cattolici, ma anche protestanti, si è voluta celebrare, con convegni, mostre e quant’altro, la ricorrenza del 1700° anniversario del cosiddetto “Editto di Milano” promulgato nel febbraio dell’anno 313 non dal solo Costantino, come normalmente si pensa, ma dalla diarchia allora a capo dell’impero romano (Costantino in Occidente e Licinio in Oriente). Quando si parla dell’editto di Milano sarebbe perciò storicamente più corretto parlare di “editto di Costantino e Licinio”, nel cui testo leggiamo queste parole:

“Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità”.

Non possiamo disconoscere che sul momento fu un atto gratificante per i cristiani che videro la conclusione delle persecuzioni nei loro confronti e la possibilità di professare liberamente la loro fede. Ma questa libertà fu loro concessa nel nome di una visione utilitaristica della religione (ricevere dalla divinità “pace e prosperità”) e diuna sua strumentalizzazione per fini di potere.

Infatti, secondo il suo biografo Eusebio, obiettivo della politica religiosa dell’imperatore Costantino fu non soltanto quello di “far confluire in un’unica forma e idea le credenze religiose di tutti i popoli”, ma soprattutto quello di utilizzare questa nuova religione universale per “rivitalizzare e riequilibrare l’intero corpo dell’Impero, che giaceva in rovina come per l’effetto di una grave ferita”. Come sappiamo da lì a pochi anni (381) l’obiettivo di avere un’unica religione fu perseguito dall’imperatore Teodosio con l’editto di Tessalonica nel quale si decretava che tutti i non cattolici fossero considerati “come persone senza intelletto”, per questo, proseguiva Teodosio: “Ordiniamo di condannarli alla pena dell’infamia come eretici, e alle loro riunioni non attribuiremo il nome di chiesa; costoro devono essere condannati dalla vendetta divina prima, e poi dalle nostre pene, alle quali siamo stati autorizzati dal Giudice Celeste”. Nei fatti la libertà religiosa avente come obiettivo di Costantino “un’unica forma e idea” produsse la proclamazione da parte di Teodosio dell’unica religione di Stato che è, in sé stessa, la negazione più aberrante di quella libertà.

La storia ci rivela quanto le parole di Gesù (“Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, Mr 12:17) siano state disattese e come, da allora fino ad oggi, si è cercato di unire quello che Gesù aveva esortato a tenere ben separato, così che “Cesare” ( cioè lo Stato) ha utilizzato “Dio” (cioè la religione) per consolidare il suo potere e, viceversa, la religione ha utilizzato lo Stato per i suoi interessi che, invece che essere di servizio, si sono rivelati in questo modo di dominio e di potere. È evidente che una vera libertà religiosa è possibile soltanto quando lo Stato non si lega a nessuna religione particolare, quando si pone davanti ai suoi cittadini (e non soltanto nelle parole di una carta costituzionale fin qui disattesa come la nostra!) con l’intenzione di rispettare tutti, minoranze comprese, con un atteggiamento di assoluta neutralità. Questo che molti spacciano per un principio laico è in realtà un principio cristiano. E se qualcuno ha potuto affermare che “la libertà religiosa è stato il dono della laicità al cristianesimo”, ciò è accaduto per colpa di chi ha disatteso le parole e gli insegnamenti di Gesù. Perché, in realtà, avrebbe dovuto essere vero il contrario!