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“…giovane e bello; tra i figli d’Israele non ce n’era uno più bello di lui; era più alto di tutta la gente dalle spalle in su” (1Sa 9:2).

Questo era Saul il primo re di Israele.

Fu scelto dal Signore per questo incarico.

 

“Io ti manderò – disse Dio stesso a Samuele – un uomo del paese di Beniamino e tu l’ungerai come capo del mio popolo” (1Sa 9:16).

La sua storia iniziò mentre cercava le asine smarrite del padre (1Sa 9:3).

Proseguì con una dimostrazione di umiltà davanti alle parole del profeta che indicavano la scelta di Dio di farlo re (1Sa 9:21).

Al momento dell’unzione infatti non si trovava. Era nascosto fra i bagagli della sua gente (1Sa 10:22).

 

“Nessuno” era come lui e tutto il popolo mandava grida di gioia per il fatto di averlo come sovrano (1Sa 10:24).

Ai malvagi che lo disprezzavano e lo sbeffeggiavano egli, non rispondeva (1Sa 10:27).

Unto re continuava il suo lavoro nei campi dietro i buoi, aspettando le successive indicazioni del Signore (1Sa 11:5). Guidato dall’Eterno, sconfisse gli Ammoniti (1Sa 11:11).

 

Saul iniziò bene il compito affidatogli da Dio. Partì con umiltà, semplicità, sottomesso e ubbidente al Signore. Quel suo andare a cercare le asine smarrite dietro indicazione del padre, è una straordinaria immagine del contenuto del suo cuore in quella fase della sua vita.

Dopo il buio periodo dei Giudici, dove “ognuno faceva quel gli pareva meglio” (Gd 21:15), vi erano tutti i presupposti per un regno sotto l’insegna della dipendenza da Dio.

 

Iniziare bene è essenziale.

Per farlo serve un cuore che non si sopravvaluta, ma che valuta Dio colui al quale essere sempre sottomessi.

È necessario non avere “di sé un concetto più alto di quello che si deve avere” (Ro 12:3).

È necessario ricordarsi che il Signore non ci chiama, perché siamo importanti, ma perché egli, nella sua grazia, ci affida un compito nel suo piano.

 

 

Un’offerta che non doveva essere fatta

 

Subito dopo averlo unto re, Samuele disse a Saul che sarebbe giunto il momento in cui trovandosi a Ghilgal avrebbe dovuto aspettarlo sette giorni.

Al termine della settimana egli sarebbe giunto per offrire olocausti e sacrifici e gli avrebbe dato indicazioni sul da farsi (1Sa 10:8).

Dopo la vittoria sugli Ammoniti, il re di Israele e tutto il popolo si ritrovarono proprio a Ghilgal. Sarebbe iniziata di lì a poco la battaglia contro i Filistei.

L’esercito nemico era imponente: “Trentamila carri, seimila cavalieri e gente numerosa come la sabbia che è sulla riva del mare” (1Sa 13:5).

Gli Israeliti ebbero paura. Molti si nascosero, altri scapparono, gli unici rimasti con Saul tremavano.

Che fine aveva fatto Samuele?

Era iniziato il settimo giorno e non era ancora arrivato.

 

Il settimo giorno per la fede di Saul era come il fuoco che prova la purezza dell’oro (1P 1:7). Purtroppo l’esito di quella prova diede risultati negativi.

Saul vedendosi abbandonato dal popolo fece quello che non avrebbe mai dovuto fare: “offrì l’olocausto” (1Sa 13:9).

Saul aveva iniziato bene il compito affidatogli da Dio ma ecco che arrivò il momento in cui ebbe di se “un concetto più alto di quello che” avrebbe dovuto avere.

Si prese delle libertà che non doveva prendersi. L’olocausto doveva essere offerto dai sacerdoti e non dai re. Disubbidì a Dio e commise un peccato che segnò una svolta negativa nel suo cammino.

 

Mancarono l’umiltà, la fede, l’attesa, la certezza che quello che Dio dice non lo dimentica.

Ci furono orgoglio, presunzione, fretta, dubbio, sovrastima della propria persona.

 

Quel settimo giorno a Ghilgal il re umile divenne il re che pensava di poter decidere da solo il da farsi.

Iniziare bene è essenziale, ma proseguire allo stesso modo è indispensabile.

 

Nel nostro cammino con il Signore siamo chiamati a iniziare nella dipendenza da Dio, ma anche a proseguire in ugual maniera.

Spesso, nel corso del tragitto, si possono acquisire sicurezze umane che ci rendono presuntuosi al punto tale di pensare che sia giunto il momento che possiamo fare da soli.

Saul iniziò bene ma non proseguì allo stesso modo!

Che il nostro cammino non sia segnato dal fare quello che non dovevamo. Sia piuttosto caratterizzato dalla certezza che Dio farà quel che ha promesso.

 

 

Pochi minuti che cambiano una vita

 

 “Appena finito di offrire l’olocausto” ecco che a Ghilgal “arrivò Samuele” (1Sa 13:10).

Saul non seppe aspettare. Sarebbero bastati solo pochi minuti di attesa in più, ma il re ebbe la presunzione di poter aiutare Dio.

Credeva che l’Eterno avesse bisogno di una mano, ma così facendo commise un peccato.

 

“Che hai fatto?” gli chiese Samuele (1Sa 13:11). Questa domanda riecheggiò quel giorno in Ghilgal. Il richiamo di Dio davanti al peccato del re da lui scelto era arrivato.

 

Nonostante tutto, Saul si stava illudendo che quello che aveva fatto fosse corretto.

Infatti “uscì incontro a Samuele per salutarlo” (1Sa 13:10).

Cercò di giustificare il suo peccato mediante una scusa “spirituale”: non si può iniziare la battaglia senza aver prima implorato il Signore (1Sa 13:12).

Purtroppo Saul basò la scelta di offrire l’olo-
causto sulle sue impressioni“vedevo che …. Mi sono detto … mi sono fatto forza e ho offerto l’olocausto”(1Sa 13:11-12).

Agì “stoltamente” e disubbidì a un comandamento di Dio (1Sa 13:13).

 

Le conseguenze che giunsero nello svolgimento del suo compito di re furono a dir poco disastrose, dal momento che non ci fu in Saul un autentico pentimento per quello che aveva fatto.

Infatti in lui vediamo solo la ricerca di scuse per nascondere un’infedeltà. Tuttavia, come scritto, il nostro peccato ci ritroverà (Nu 32:23).

Il cumulo di macerie che cercò di sotterrare finì per diventare una montagna, dietro la quale tramontò il servizio di chi era stato chiamato a essere il sovrano della nazione di Israele.

 

 

Una preziosa lezione per noi

 

Quante volte corriamo il rischio di agire in base alle nostre impressioni!

Queste non devono trovare spazio nel nostro servizio. Serve ubbidienza incondizionata a Dio senza valutazioni umane, che ci portano solo ad agire stoltamente.

Dio non si serve della nostra presunzione, della nostra intraprendenza, della nostra solerzia.

 

Dio prima di tutto si serve della nostra ubbidienza.

Ubbidire, significa fare quello che Dio vuole. Tutte le volte che pensiamo di volere anticipare Dio con delle azioni disgiunte dall’ubbidienza, ricordiamoci di quello che accade circa 3060 anni fa a Ghilgal.

Un uomo doveva aspettare con fede. Ebbe fretta e fece ciò che non doveva. “Appena finito”, vide arrivare ciò che Dio aveva promesso. Cercò delle scuse. Per non aver saputo aspettare solo qualche minuto compromise una vita, un servizio, un cammino.

Che non sia così anche per noi!

 

Infine, se purtroppo abbiamo fatto ciò che non dovevamo, non cerchiamo scuse.

Confessiamo subito il nostro peccato.

Ripartiamo!

Il figlio fedele non serve il Padre in base alle proprie impressioni ma come conseguenza delle sue indicazioni!