Alcuni mesi un caro fratello in visita all’assemblea di Anghiari, nel condividere con i presenti al culto di adorazione alcuni pensieri dalla Parola del Signore, espresse il suo dispiacere perché nella sua assemblea non c’erano giovani disponibili a spendere il loro tempo per visitare gli ammalati o per stare loro accanto nelle lunghe notti ospedaliere. Sul momento pensai che probabilmente questi giovani erano latitanti perché non sufficientemente incoraggiati dai credenti più maturi o perché nessuno aveva mai fatto loro conoscere i bisogni presenti nella chiesa e nessuno li aveva mai inco- raggiati a farsene carico, ricordando il prezioso principio secondo il quale “se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui” (1Co 12:26). Oggi purtroppo spesso accade che “se un membro soffre” o se si trova comunque in una situazione di bisogno o non lo sa nessuno o i pochi che lo sanno pensano che tanto ci sono già altri che si occupano di lui. Non è solo un problema di comunicazione, come si potrebbe pensare, ma è soprattutto un problema di sensibilità. Al recente incontro dei fratelli Anziani delle Assemblee era stata proposta dagli organizzatori una lunga serie di argomenti relativi alla vita ed alle attività delle chiese locali; a ciascun argomento era riservato un tavolo di lavoro (di conversazione e condivisione). Ebbene, mentre ad alcuni tavoli, quelli in cui si parlava di formazione biblica, di cura pastorale, di evangelizzazione ecc., i posti quasi non erano sufficienti, al tavolo in cui si parlava di “disabilità” si sono ritrovati insieme quattro “capotavola” e ben... due “commensali”. Nella sua debolezza è stato questo un segnale forte che ha evidenziato come i doni di “opere di misericordia” (Ro 12:8) e di “assistenze” (1Co 12:28) siano davvero il fanalino di coda nella vita delle chiese locali. Se sono così poco sensibili i fratelli Anziani, perché meravigliarsi poi che i giovani non abbiano attenzioni, premure ed impegni di servizio verso chi è nella sofferenza o, comunque, in una situazione di bisogno? Spesso parliamo della centralità della chiesa locale nella testimonianza e nella formazione biblica dei giovani, dei bambini e dei nuovi credenti, ma dimentichiamo che essa deve essere la realtà in cui “la comunione fraterna” venga concretamente vissuta attraverso quell’amore gli uni per gli altri che – secondo le parole di Gesù – è la condizione essenziale perché il mondo riconosca che siamo suoi discepoli (Gv 13:35), cioè che stiamo davvero camminando sulle sue orme, mostrando compassione, misericordia e disponibilità di servizio verso chi vive un momento di particolare bisogno. Grazie all’incoraggiamento che ho ricevuto dall’esempio di fratelli della piccola chiesa locale dove sono cresciuto, mi sono ritrovato negli anni della mia adolescenza a trascorrere del tempo accanto ad Angela, una sorella analfabeta, per aiutarla a decifrare le pagine di un Nuovo Testamento consunto dall’uso, che lei si sforzava poi di “rileggere” da sola, ma anche per leggerle le lettere che riceveva dalle sue tre figlie lontane e per scrivere poi le risposte
che lei mi dettava. Ma anche accanto a Santa, una sorella paralizzata che non poteva frequentare gli incontri della chiesa e che ardeva dal desiderio di avere qualcuno che la visitasse per starle accanto e leggerle la Parola. Ho ancora il ricordo quasi fisico delle sue mani rugose e scarne che stringevano le mie, men- tre leggevo, e dei suoi occhi che si inumidivano quando il testo biblico parlava in modo più diret- to al suo cuore. Certo sono stati importanti, per la mia formazione gli insegnamenti ricevuti che mi hanno permesso di conoscere la Parola di Dio, ma “Angela e Santa” sono state gli strumenti che il Signore ha usato per insegnarmi a vivere la Parola. Se il mondo non è attirato verso il Signore di cui diciamo di essere discepoli, non è forse anche perché ci nutriamo di troppa conoscenza ma veniamo poi meno nella vita?
Angela e Santa
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