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Che cos’è l’uomo?

 

Nell’articolo precedente abbiamo visto che Dio preparò il pianeta terra. Le caratteristiche di questo pianeta, in particolare la biosfera, sono assolutamente uniche, come hanno dimostrato tutte le esplorazioni dell’uomo nello spazio compiute fino a questo momento.

 

Ma che tipo di creatura è questo uomo posto come custode del pianeta terra?

Il Salmista, dopo aver contemplato il creato, in particolare i cieli, per poi considerare sé stesso in questo contesto maestoso, rimase meravigliato.

Ecco le parole che rivolse a Dio:

“Quando io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos’è l’uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne prenda cura? (Sl 8:3-4).

 

Già: che cos’è l’uomo?

Il Salmista si sentiva significativo per il semplice motivo che riusciva a contemplare il resto del creato. Ma la sua riflessione nasceva da qualcos’altro.

Sapeva che Dio è dietro ogni cosa creata.

Infatti aveva iniziato questo Salmo, scrivendo: “O Signore, Signore nostro, quant’è magnifico il tuo nome in tutta la terra! Tu hai posto la tua maestà nei cieli” (v. 1).

Secondo la Bibbia Dio ha creato l’uomo come l’apice della sua opera creatrice, con la capacità di contemplare il resto del creato, dominarlo e di percepire oltre il creato stesso il suo Creatore (Ge 1:28; Sl 19:1-6).

 

Di conseguenza l’uomo trova il suo supremo significato nel lodare il Creatore e glorificarlo con la propria vita.

Secondo Stephen Hawking, il noto scienziato inglese, invece, che non concepisce niente e nessuno oltre l’universo fisico, ogni persona crea un significato per la propria vita in base al proprio modo di concepire l’universo intorno a sé. In questo caso non ci sarebbe nessuno rapporto intrinsecamente significativo fra l’indi-
viduo e il resto della realtà.

 

 

L’uomo, un essere contraddittorio

 

Prima di investigare ulteriormente il significato dell’uomo, dando ascolto alla Parola del Creatore, vale la pena osservare ciò che sembra essere un vero e proprio paradosso.

Mentre sul piano fisico, l’uomo è l’insieme di numerosi sistemi sofisticatissimi, compresi i cinque sensi, che rendono possibile la vita in questo mondo, a livello morale è un vero e proprio disastro.

 

In qualsiasi momento della storia ci sono innumerevoli esempi di questo fatto. Ad esempio, mentre alle Olimpiadi di Londra (2012) centinaia di persone manifestavano la propria destrezza in gare con un alto grado di difficoltà come il salto con l’asta, in Siria la popolazione si stava sparando in una guerra civile, distruggendo in modo indiscriminato tutto ciò che era stato costruito in molti anni.

 

Tale è l’uomo, così come lo conosciamo: un essere contraddittorio, da una parte un capolavoro, dall’altra invece un disastro sul piano morale e sociale.

La teoria che l’uomo sia il prodotto di un processo di selezione non può spiegare questo paradosso, perché non può giustificare il contrasto fra l’incredibile raffinatezza biologica e intellettuale dell’uomo da una parte e la sua persistente incapacità di comportarsi in modo socialmente accettabile dall’altra.

 

 

L’origine del paradosso

 

La Parola di Dio getta luce sulla natura enigmatica dell’uomo.

 

L’Ecclesiaste lo spiega in questi termini:

“Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi” (Ec 7:29).

L’evangelista Giovanni offre un’analisi simile quando definisce i termini del giudizio di Dio: “La luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3:19).

 

Lungi dal trovarsi in una traiettoria ascendente che si muove verso un punto omega, come ipotizzato dal paleontologo evoluzionista e sacerdote cattolico Pierre Teilhard de Chardin SJ (1881–1955), tanto a livello intellettuale quanto a livello pratico “l’andazzo di questo mondo” rispecchia la grave caduta, avvenuta all’inizio della storia.

Infatti è impossibile comprendere la natura contraddittoria dell’uomo se non si tiene conto dei fatti riferiti nei primi tre capitoli della Bibbia e ribaditi ripetutamente nella rivelazione speciale.

 

Il racconto della creazione caratterizza l’uomo così:

“Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (Ge 1:27).

La duplice origine dell’uomo, essendo un prodotto sia della polvere della terra sia del soffio di Dio (Ge 2:7), determinò una nobiltà e uno scopo eccezionali. Quale agente di Dio e vice-re sulla terra, ad Adamo fu dato il compito di dare un nome alle creature nonché di curare il resto del creato (2:15-20).

 

Sempre i primi capitoli della Bibbia raccontano perché l’uomo, dall’essere stato creato retto, cominciò a seguireuna traiettoria verso il basso. Questo dipese dalla sua decisione di disubbidire al suo Creatore (Ge 3).

Così la specie umana, dopo che Adamo ed Eva ebbero cominciato a riprodurre la specie (1:28; 4:1-2), un processo anche questo altamente sofisticato, vide il primo frutto della loro unione mostrare assoluta incapacità di vivere in modo pacifico con altri della medesima specie, arrivando, per gelosia, a porre fine alla vita del suo fratello (4:3-24).

 

Tutto il resto della storia, per quanto dipende dall’uomo, è un susseguirsi di peccato, sofferenza e morte. Ma proprio nel contesto in cui si consumò il dramma primordiale della morte spirituale della prima coppia, aveva avuto inizio un’altra storia, che vede Dio promettere e poi intervenire per la restaurazione dell’uomo, contro le forze della malvagità (Ge 3:15).

 

Ci si domanda se, dopo la disubbidienza di Adamo e Eva, l’umanità abbia conservato la propria nobiltà di persone fatte a immagine di Dio o se gli siano rimasti soltanto quegli aspetti dell’immagine di Dio che lo accomunano a ogni cosa creata, che manifesta la sua gloria (Ro 1:19-21).

Tre considerazioni ci portano a rispondere che l’immagine rimane integra, sebbene compromessa dal peccato.

 

In primo luogo, nel descrivere la colpa dell’omicida, dopo il diluvio universale, Dio pronunciò le seguenti parole:

“Il sangue di chiunque spargerà il sangue dell’uomo sarà sparso dall’uomo, perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine (Ge 9:6).

 

Uccidendo un’altra persona, l’omicida offende Dio stesso perché la persona uccisa è portatrice dell’immagine di Dio. Né qui né altrove nella Scrittura quest’immagine viene scissa in diversi aspetti (quali “morale” e“naturale”).

 

In secondo luogo, in tutta la storia biblica, Dio si rivolge all’uomo con istruzioni e ordini, pretendendol’ubbidienza della fede.

La serie di inviti che Dio rivolge all’uomo continua fino all’ultimo brano della Bibbia (Ap 22:17). L’uso dell’imperativo da parte di Dio non è una finzione, bensì la conferma che l’uomo, in quanto fatto a immagine di Dio, è considerato come responsabile delle proprie decisioni e azioni. Ciò che manca nell’uomo separato da Dio è la santità e la giustizia, non l’immagine che lo rende responsabile per la scelta di dare ascolto o meno al suo Creatore.

 

In terzo luogo appare significativo che, nel riassumere le responsabilità etiche dell’uomo, Pietro inizia con questa direttiva:

“Onorate tutti” (1P 2:17).

Ogni persona, non importa quanto sia caduta in basso, va onorata in quanto portatrice dell’immagine di Dio.

 

 

Il destino dell’uomo

 

Chi si lascia orientare dalla Parola di Dio non ha problemi a sottoscrivere la seguente dichiarazione: Dio ha creato ogni cosa “per la manifestazione della gloria della sua eterna potenza, sapienza e bontà” (“Confessione di Westminster, 1646; cap. IV, I).

 

Ad esempio il salmista scrive:

“Tutte le nazioni che hai fatte verranno a prostrarsi davanti a te, Signore, e glorificheranno il tuo nome. Poiché tu sei grande e operi meraviglie; tu solo sei Dio. O SIGNORE, insegnami la tua via; io camminerò nelle tua verità; unisci il mio cuore al timor del tuo nome. Io ti loderò Signore, Dio mio, con tutto il mio cuore, e glorificherò il tuo nome in eterno” (Sl 86:9-12).

Anche l’agire dei discepoli di Cristo dovrebbe mirare a portare gli uomini a glorificare Dio (Mt 5:16; cfr. 1P 2:12).

 

Similmente lo scopo di avere, nell’ambito delle chiese locali, “un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù” è:“affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” (Ro 15:5-6).

 

Ma lo scopo di glorificare Dio è soltanto un lato delle finalità per cui Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza.

L’altro lato, su cui la Bibbia insiste molto, è che il destino dell’umanità è di godere la gloria di Dio, contemplarla e gustarla.

 

La vera crisi sperimentata da Israele al tempo del sommo sacerdote Eli era che la gloria di Dio, che aveva riempito il tabernacolo al tempo di Mosè e aveva accompagnato Israele durante le loro peregrinazioni nel deserto, si era allontanata (Es 40:35; Nu 9:15-23; 1 S 4:21-22).

Lo stesso dramma si ripeté al tempo di Ezechiele, quando la gloria di Dio abbandonò il tempio (Ez 10:4, 18; 11:22-23).

 

Il vero dramma dell’umanità intera è che: “tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Ro 3:23).

Essere privi della gloria di Dio significa non avere il diritto di stare nella sua presenza e quindi godere delle sue benedizioni.

Senza Dio, l’uomo rimane nella morte e nelle tenebre spirituali. Al contrario, ricevere “vita eterna” significa tornare a conoscere “il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17:3). Il destino di coloro che ottengono questa conoscenza di Dio è di vivere per sempre nella sua presenza.

 

Gesù aveva glorificato Dio Padre sulla terra, facendo la sua volontà in modo perfetto e completo (Mt 17:5; Gv 12:12:28; 17:4; 19:30).

Nel fare questo anche Gesù stesso è stato glorificato, in particolare in virtù della sua vittoria sulla croce (Gv. 12:23-32). Ma nella sua preghiera sacerdotale Gesù non si limita a caratterizzare il proprio operato come un modo per manifestare la gloria di Dio nel mondo.

 

Esprime anche questo desiderio riguardo al destino dei suoi discepoli:

 

“Padre, io voglio che dove sono io, siano con me anche quelli che tu mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo” (Gv 17:24).

 

Coloro che sono i beneficiari dell’opera di salvezza che Gesù ha compiuto sulla terra sono “messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce” in quanto:

 

“Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Cl 1:12-14).

 

Non siamo più “privi della gloria di Dio”; al contrario siamo destinati a vedere la gloria di Cristo ed esserne partecipi per l’eternità!

Questo è il vero destino di chi è riconciliato con Dio per mezzo di Cristo.

 

Così Paolo può definire la “ricchezza della gloria” di coloro che fanno parte della chiesa: “Cristo in voi, la speranza della gloria (Cl 1:24-27). Ecco l’aspetto caratterizzante il cielo: “la presenza gloriosa di Dio”.

È questo che Gesù desidera per noi.

 

 

Conclusione

 

Per non sentirci condizionati da ciò che succede intorno a noi, giorno per giorno, dobbiamo ricordare qual è la nostra vera natura e qual è il nostro destino.

Ricordare che siamo stati creati all’immagine e somiglianza di Dio ci nobilita.

Ricordare che l’umanità discesa da Adamo, in quanto ribelle a Dio, è per natura spiritualmente morta e priva della gloria di Dio, spiega il perché dei tanti problemi che affliggono la nostra società. L’uomo vive come essere frustrato, incapace di sentirsi realizzato.

 

Per coloro che sono stati riconciliati con Dio per mezzo della croce, invece, la presenza di Cristo in loro per mezzo dello Spirito Santo può definirsi “la speranza della gloria” (Cl 1:27).

Tale speranza li stimola a manifestare la gloria di Dio in questo mondo e, così facendo, aiutare coloro che non conoscono Dio a intravedere la sua gloria e a sentirne il bisogno.

 

 

Per la riflessione personale

o lo studio di gruppo

 

1. Quale risposta dà la Bibbia alla domanda: “Che cos’è l’uomo?”

 

2. Qual è il rapporto fra l’essere stati fatti all’immagine di Dio e le responsabilità che Dio ci attribuisce, anche di fronte all’annuncio del Vangelo della grazia?

 

3. In che modo il sapere che il destino dei discepoli di Cristo è la gloria di Dio influisce su quelle che riteniamo essere le priorità della vita?