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L’uguaglianza degli uomini di fronte a Dio

 

Il primo punto che dobbiamo considerare è che il cristianesimo è la base di una uguaglianza sostanziale che riguarda tutti gli uomini.

 

Paolo scrive:

“…infatti non c’è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù” (Ro 3:22-23).

 

Ed ancora:

“Poiché non c’è distinzione tra Giudeo e Greco; essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano” (Ro 10:12).

 

E nella lettera ai Galati sempre Paolo scrive:

“Non c’è qui né Giudeo né Greco, non c’è né schiavo né libero, non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Ga 3:28).

 

Quindi davanti a Dio gli uomini (e le donne) sono tutti uguali, tutti sullo stesso piano di partenza.

Questa era, per quei tempi, una rivoluzione incredibile, un cambiamento radicale dei punti di riferimento. Veramente il cristianesimo costituì un capovolgimento totale di mentalità e di cultura.

E, come abbiamo visto nella lettera ai Galati, fu una rivoluzione da molti punti di vista:

 

 Demolì la distinzione, diciamo così, in classi o stirpi “religiose”.

Gli Ebrei pensavano di essere l’unico popolo di Dio e consideravano i Gentili dei cani. Anche Gesù nell’episodio della donna cananea (Mt 15:21-28) rimarcava la posizione ebraica quando disse alla donna che non si poteva dare il pane dei figli ai cani, ma alla fine, colpito dalla fede della donna, le guarì la figlia. E dopo il rifiuto del Messia da parte di Israele, con la morte e risurrezione di Cristo, queste differenze non ci sarebbero più state.

 

• Fu anche una rivoluzione per la distinzione in classi sociali.

Di fronte a Dio non ci sono differenze tra nobili e plebei, tra ricchi e poveri, tra schiavi e liberi. Tutti siamo uguali e peccatori davanti a lui. L’idea era talmente rivoluzionaria che l’uguaglianza spirituale di fronte a Dio implicò rapidamente anche l’idea di una eguaglianza sociale. Tanto che Paolo scrisse a Timoteo (1Ti 6:1) affinché gli schiavi credenti avessero un giusto atteggiamento nei confronti dei loro padroni, credenti o meno che fossero; e d’altra parte scrisse a Filemone intercedendo per Onesimo schiavo fuggito, ma poi convertito da Paolo al Signore.

 

• Venne anche demolita la distinzione tra maschio e femmina.

Di fronte a Dio non c’è differenza, ogni individuo ha la stessa posizione e la stessa responsabilità. Questa era una cosa rivoluzionaria, sia per il mondo ebraico che per quello pagano.

 

• E per completare il quadro dobbiamo anche aggiungere che con Cristo è caduta anche ogni distinzione di luogo.

Nonostante che per gli Ebrei Dio fosse assolutamente trascendente e non rappresentabile in alcuna maniera, il tempio era il luogo in cui Dio manifestava la sua presenza. E c’era anche dissidio con i Samaritani che invece adoravano sul monte Gherizim. Ma anche questo legame con un luogo particolare sarebbe stato annullato. Gesù alla donna samaritana disse:

“Donna credimi; l’ora viene che né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre”

e poi aggiunse:

“Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e verità, poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito; e quelli che l’adorano bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Gv 4:21, 24).

 

Dobbiamo purtroppo ammettere che con il tempo questa visione rivoluzionaria data da Gesù, universalistica, egualitaria, in un certo senso “democratica”, si è andata annacquando, si sono riformate le gerarchie, certi luoghi sono diventati più “santi” di altri, ci si è attaccati sempre più a reliquie e statue, la donna è tornata ad essere di una classe inferiore al punto che in certi periodi ci si chiedeva se avesse l’anima, la schiavitù non è scomparsa nel mondo “cristiano” ed ha prosperato fino ad un secolo e mezzo fa ed il razzismo dimora ancora nelle nostre società.

 

 

Una cristiana democrazia?

 

Se dal punto di vista sociale le cose, con alterne fortune, sono comunque lentamente migliorate nel corso dei secoli, dal punto di vista spirituale-religioso la riconquista di una visione “democratica” egualitaria del cristianesimo avvenne sostanzialmente con la Riforma Protestante del XVI secolo, con la rinnovata visione di un rapporto personale dell’uomo con Dio e con la sua Parola, senza intermediari.

E da allora i movimenti che hanno cercato di tornare alla semplicità ed alla purezza delle origini sono ciclicamente emersi dall’interno delle chiese che, invece, progressivamente diventavano istituzioni: nel XVII secolo dalla Chiesa d’Inghilterra si staccarono i battisti ed i quaccheri, nel XVIII i metodisti, nel XIX sorse quel movimento che avrebbe nel giro di qualche decennio portato alla formazione delle nostre Assemblee.

 

L’occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia e delle Assemblee dei Fratelli in Italia (concretizzatesi nelle quattro agapi nazionali) ha permesso a molti di noi di “riscoprire” alcuni aspetti peculiari che hanno caratterizzato questo movimento fin dalle origini.

Fra questi il sacerdozio universale dei credenti che si riuniscono in una comunità “organizzata secondo la forma più libera, consentendo la partecipazione attiva dei vari fedeli alla predicazione, alle preghiere e in genere a tutte le manifestazioni della Chiesa” come scrive Domenico Maselli (M. Introvigne, D. Maselli, 2007, “I Fratelli – una critica protestante alla modernità”, Editrice Elledici, Torino, pag. 42).

E se a ciò aggiungiamo il fatto che le nostre Assemblee si sono organizzate secondo un principio congregazionalista (cioè di comunione nell’autonomia delle singole chiese locali) abbiamo la chiara sensazione di una vita ecclesiale ispirata a principi di vera eguaglianza e democrazia.

 

Ma è corretto usare il termine democrazia per rappresentare la “società” dei credenti in Cristo?

Lo Zingarelli definisce la democrazia “forma di governo in cui la sovranità risiede nel popolo che la esercita per mezzo delle persone e degli organi che elegge a rappresentarlo”.

È chiaro che c’è qualcosa che non torna.

 

 

Una cristiana monarchia?

 

Quando Gesù insegnò ai discepoli a pregare disse:

“Padre nostro che sei nei cieli… venga il tuo regno” (Mt 6:9, 10).

E il ladrone sulla croce implorò Gesù dicendo “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno!” (Lu 23:42).

E fra questi due episodi, Gesù parlò del regno dei cieli o del regno di Dio decine e decine di volte.

 

Quindi noi non siamo cittadini di una repubblica, ma di un Regno.

Se siamo in un regno, la sovranità non è nostra. Non siamo noi che facciamo le leggi o stabiliamo principi e regole di comportamento.

 

Ma siamo comunque in un Regno in cui tutti i cittadini sono uguali di fronte al Re senza distinzione fra Ebrei e Gentili, liberi e schiavi, donne e uomini e dove ogni cittadino ha contatto diretto col Sovrano e accesso alla conoscenza delle regole stabilite da lui.

Siamo sudditi suoi, ma non sudditi di altri.

In questo senso, al di sotto del comune Signore, siamo ancora in una democrazia, anzi in una democrazia più forte, perché fatta di cittadini senza sovranità da esercitare.

 

Ma quali sono i diritti e i doveri dei cittadini del Regno? Dove li troviamo definiti?

Cristo è il Re: per prima cosa, quindi, dobbiamo andare a vedere le regole che egli ha stabilito, quelle a cui ogni cittadino del Regno si deve attenere.

 

 

La costituzione del Regno

 

Vediamo allora nei Vangeli, come esempio, quali sono alcune delle regole che Cristo ha dato.

 

1. Vivere le relazioni con tutti gli uomini.

Per quanto riguarda i rapporti dei figli di Dio con tutti gli uomini troviamo che in Matteo 22:37, 39-40 Gesù parla del primo grande comandamento (“Ama il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua e con tutta la mente tua”) e aggiunge: “Il secondo, simile a questo è: «Ama il tuo prossimo come te stesso». Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge ed i profeti”.

In Matteo 5:44 egli afferma: “Ma io vi dico: «Amate i vostri nemici e… pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano»”.

 

E, ancora:

Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti” (Mt 7:12).

Infine afferma:

“Siate misericordiosi com’è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato. Date e vi sarà dato: vi sarà versata in seno buona misura, pigiata scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate sarà rimisurato a voi”(Lu 6:36-38).

 

2. Relazioni con i fratelli nella fede.

Passando ai rapporti tra fratelli nella fede Gesù dice:

“Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13:34-35).

Matteo ci racconta di Gesù che “… chiamato a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18:2-3).

E poco più avanti aggiunse:

“Guardatevi dal disprezzare uno di questi piccoli” (Mt 18:10).

 

3. Giudicare

A proposito della nostra tendenza a giudicare gli altri Gesù afferma:

“Come puoi dire a tuo fratello: «Fratello, lascia che io ti tolga la pagliuzza che hai nell’occhio», mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?” (Lu 6:42).

 

4. Perdonare.

E, a proposito del perdonare, nel “Padre nostro” Gesù insegna a pregare (Mt 6:12): “Rimettici i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori”.

Nella parabola del malvagio servitore il padrone lo rimprovera dicendo:

“Servo malvagio, io t’ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo come io ho avuto pietà di te?” (Mt 18:32-33).

E a commento della parabola Gesù dice: “Così farà il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello” (18:35).

 

A proposito del perdonare possiamo ricordare ancora due passi:

“Badate a voi stessi! Se il tuo fratello pecca, riprendilo; e se si pente, perdonalo. E se ha peccato contro te sette volte al giorno, e sette volte al giorno torna a te e ti dice: mi pento, perdonagli” (Lu 17:3).

E dire del passo famoso di Matteo 18:21-22?

A Pietro che chiedeva:

Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me?Fino a sette volte?,

Gesù rispose:

“Non ti dico fino a sette volte ma fino a settanta volte sette”.

 

5. Chiedere perdono.

Ma c’è anche l’ordine di chiedere perdono:

“Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello, poi vieni a offrire la tua offerta” (Mt 5:23-24).

 

6. Avere ambizioni.

E per quanto riguarda il cercare riconoscimenti e soddisfare la nostra ambizione Gesù è categorico:

Ma voi non vi fate chiamare «Rabbì»; perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli. Non vi fate chiamare guide, perché una sola è la vostra Guida, il Cristo; ma il maggiore tra voi sia vostro servitore. Chiunque s’innalzerà sarà abbassato, e chiunque si abbasserà sarà innalzato” (Mt 23:8-12).

“Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra di voi; anzi, chiunque vorrà esser grande tra di voi sarà vostro servitore; e chiunque fra di voi vorrà esser primo sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per esser servito ma per servire, e per dar la vita come prezzo di riscatto per molti” (Mt 20:25-28).

“Se alcuno vuole essere il primo, sarà l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mr 9:35).

 

7. Servire.

Ed arriviamo al momento cruciale, la sera dell’ultima cena di Gesù con i suoi.

“Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola e disse loro: «Capite quel che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io che sono il Signore e il Maestro v’ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti io vi ho dato un esempio affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. In verità in verità vi dico che il servo non è maggiore del suo signore, né il messaggero è maggiore di colui che lo ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate” (Gv 13:12-17).

 

Ecco dunque la costituzione del Regno!

Ecco le regole di comportamento per i suoi cittadini.

 

 

Una cristiana servocrazia

 

Nella visione di Gesù la struttura gerarchica del Regno è completamente ribaltata: il Sovrano ha servito i suoi sudditi e si è sacrificato per loro.

Nessuno si deve far chiamare maestro, guida o padre perché uno solo è e Maestro e Guida e Padre e si è fatto servitore per noi.

Chi vuole esser primo deve esser servitore di tutti.

Sono queste le regole di una democrazia?

Di più: sono le regole della cristiana servocrazia!

E non si tratta di un pio desiderio o di un lontano ideale a cui tendere, rassegnati a vivere senza raggiungerlo.

Gesù dette all’ordine di servire la massima importanza.

 

Nella fatidica sera in cui gli eventi precipitavano verso l’epilogo, poche ore prima del tradimento, della drammatica preghiera nel Getsemani e dell’arresto, Gesù durante l’ultima cena pasquale vuole dare ai suoi discepoli un ultimo insegnamento (forse il più importante?): si alza da tavola, depone le vesti, si cinge di un asciugatoio, prende una bacinella d’acqua, si inginocchia davanti a ciascuno di loro e lava loro i piedi.

Ma non si accontenta di un gesto simbolico che i suoi avrebbero dovuto poi interpretare.

No! Si preoccupa che lo capiscano subito in modo chiaro ed esplicito.

 

Tornato a tavola chiede ai suoi:

“Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni degli altri”.

 

Quella sera Gesù fece anche un altro atto simbolico, che tutti conosciamo molto bene, Egli lo suggellò con le parole:

“Fate questo in memoria di me”.

 

Noi oggi ripetiamo sistematicamente quell’atto in memoria del nostro Salvatore, ma quanto ubbidiamo al suo ordine esplicito di essere gli uni i servi degli altri?

 

Tutte le domeniche, mentre ricordiamo il sacrificio di Cristo, non dovremmo anche rinnovare il nostro impegno nel servirci a vicenda?

 

È all’ubbidienza a quell’ordine che dobbiamo tornare sistematicamente se vogliamo vivere secondo la Costituzione del Regno e se vogliamo che le nostre chiese ne siano, almeno un poco, l’immagine.