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Uno degli idoli più influenti e devastanti del nostro tempo (ma, forse, non solo del nostro!) è sicuramente il successo. Un’iniziativa funziona se raccoglie consensi; un movimento è credibile se aumenta il numero dei suoi adepti; uno spettacolo è valido se il numero degli spettatori è notevole… E, in questa prospettiva quanti aggiustamenti, quante modifiche, quanti sacrifici si è pronti a fare sull’altare del successo, per aumentare i consensi o per non perderli! L’idolo del successo ha contagiato da tempo anche le chiese nel loro cammino di servizio: spesso non ci si chiede più se un’iniziativa è in sintonia con la volontà del Signore, l’importante è che funzioni! Non si è più condotti dalla luce della Parola, ma dalle leggi del marketing. Così si cerca di presentare un messaggio “cristiano” più attraente ed accettabile; si punta sul valore dell’immagine trascurando quello irrinunciabile della Scrittura (= Parola scritta!), stampando e diffondendo fumetti di un inguardabile “Messia manga”; si è restii a parlare di peccato, di giudizio, di perdizione, di inferno; si è talvolta perfino propensi a pensare, influenzati da un sincretismo-universalismo sempre più dilagante, che, se è vero che noi abbiamo scelto Cristo come Via per andare al Padre, possono esservi anche altre vie. È importante allora ricordare e ribadire con forza, in questo deviante contesto, che nel nostro servizio, nella nostra testimonianza, nell’evangelizzazione non dobbiamo guardare al successo ma all’esempio di Cristo!

Un giorno, quando “molti dei suoi discepoli, dopo aver udito, dissero: «Questo parlare è duro; chi può ascoltarlo?»” (Gv 6:60 e segg.), Gesù non modificò di una virgola quanto aveva detto ed insegnato, anzi ne diede una conferma rafforzativa. Non ammorbidì la presunta “durezza” delle sue parole né cercò di renderle più gradevoli all’orecchio di chi le aveva ascoltate! Non è la Parola che deve uniformarsi all’uomo, ma è l’uomo che, per la sua salvezza ed il suo benessere eterno, deve uniformarsi alla Parola.

E quando, dopo aver udito la conferma dei suoi insegnamenti, “molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui”, Gesù non li rincorse aggrappandosi alla loro tunica ed implorandoli di rimanere con lui. Fu certamente rattristato da questa forte emorragia di discepoli, così come si rattristò quando vide il giovane ricco voltargli le spalle ed allontanarsi da lui, ma non fece assolutamente nulla per impedirla. Giovanni ci ricorda che “Gesu sapeva fin dal principio chi erano quelli che non credevano” e, ciò nonostante, li tenne accanto a sé, manifestò loro il suo amore, rivolse anche a loro le sue parole di “spirito e vita”. Ma, davanti alla loro scelta, non si oppose: li lasciò liberi, pur sapendo a quale destino di perdizione e di morte sarebbero andati incontro se nel tempo avessero confermato la scelta di tenersi lontani da lui. La sua “audience” aveva subito un crollo clamoroso. Accanto a lui non rimaneva che uno sparuto gruppo di dodici uomini: altro che successo! Eppure Gesù non si preoccupò di quelli che erano andati via, piuttosto si preoccupò di quelli che erano rimasti: “Non volete andarvene anche voi?”. Gesù non trattiene accanto a sé nessuno con la forza, ma se, ancora oggi, pone a me e a ciascuno di noi la stessa domanda, è perché egli vuole che a seguirlo siano discepoli motivati e convinti! Anche a noi è richiesto di essere motivati, come i discepoli di allora: “Signore, da chi andremmo noi?”, cioè: “Se lasciamo te, dove andiamo? Non esiste nessuno che possa dirci e darci quello che ci dici e ci doni tu!”. Ma ci è anche richiesto di essere convinti, come loro: “Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Dobbiamo con convizione testimoniare chi è Gesù per noi e cosa abbiamo ricevuto da lui!