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Introduzione

 

Dio, nella sua misericordia, ci indica la strada nella sua Parola per poter arrivare ad amare del suo Amore.Non è essa “una lampada al nostro piede ed una luce sul nostro sentiero” (Sl 119:105)?

Apriamo allora la nostra Bibbia e leggiamo nella seconda lettera dell’apostolo Pietro, al cap. 1°, dal versetto 5 al versetto 15:

 

“Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; all’affetto fraterno l’amore.

Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo.

Ma colui che non ha queste cose è cieco, oppure miope, avendo dimenticato di essere stato purificato dei suoi vecchi peccati.

Perciò, fratelli, impegnatevi sempre di più a rendere sicura la vostra vocazione ed elezione; perché, così facendo, non inciamperete mai. In questo modo infatti vi sarà ampiamente concesso l’ingresso nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

Perciò avrò cura di ricordarvi continuamente queste cose, benché le conosciate e siate saldi nella verità che è presso di voi. E ritengo che sia giusto, finché sono in questa tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni. So che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come il Signore nostro Gesù Cristo mi ha fatto sapere. Ma mi impegnerò affinché dopo la mia partenza abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose.”

 

Questa lettera è indirizzata a “coloro che hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra…” (2P 1:1).

Riconoscendoci nei destinatari ed essendo questa una lettera circolare, una specie di lettera aperta, possiamo esaminarne il contenuto. Ma apriamo una piccola parentesi.

 

 

La fede e le opere

 

Noi leggiamo nella Bibbia:

“…è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti” (Ef 2:8).

 

Scrivendo ai credenti di Roma l’apostolo Paolo precisava:

“Abramo credette a Dio e ciò gli fu messo in conto come giustizia” (Ro 4:3).

 

Alla fine di un lungo discorso lo stesso apostolo Paolo concludeva:

“Noi riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge”                                        (Ro 3:28).

 

Voltando qualche pagina perveniamo alla lettera dell’apostolo Giacomo e leggiamo:

“Abramo non fu forse giustificato per le opere quando offrì suo figlio Isacco…? L’uomo è giustificato per opere e non per fede soltanto… la fede senza le opere è morta” (cfr. Gm 2:21-26).

 

A questo punto restiamo perplessi.

Qual è la verità? I testi che abbiamo letti paiono in contraddizione, ma si tratta di una contraddizione apparente.

 

Il Salmista diceva:

“La somma della Tua Parola è verità” (Sl 119:160 Vers.. Riv.).

 

La verità sta quindi nel prendere tutta la Parola di Dio e non solo una parte di essa.

I testi che abbiamo letto si riferiscono a due tempi diversi. La fede precede la giustificazione, le opere seguono la giustificazione. Oggi vanno di moda i diagrammi di flusso. Se dovessimo fare un diagramma di flusso, dovremmo mettere: Fede > Giustificazione > Opere.

Questo è ciò che avviene in una pianta selvatica che, naturalmente, produce frutti selvatici. Se verrà sottoposta all’innesto, sarà in grado successivamente di produrre frutti domestici.

 

Il Signore Gesù diceva:

“Fate l’albero buono e buono pure il suo frutto” (Mt 12:33).

Il senso del Suo discorso era: “Rendete buono l’albero ed il suo frutto sarà buono”.

Per concludere, la fede è la base di partenza, perché “senza fede è impossibile piacere a Dio” (Eb 11:6).

Successivamente verranno le opere e saranno quelle che “Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo” (Ef 2:10).

 

 

Aggiungete alla fede vostra…

 

Tornando al testo della seconda lettera di Pietro, notiamo che l’apostolo pone un’enfasi particolare nell’affermare che c’è qualcosa da aggiungere alla nostra fede, che questo “qualcosa” sono le opere e si premura di precisare quali sono queste opere. Egli afferma infatti: “…aggiungete alla fede vostra…” (2P 1:5), dicendo anche: “…mettendoci da parte vostra ogni impegno…”.

 

Ancora una volta viene precisato che non si tratta qui di un “optional”, di un’operazione facoltativa, ma diun’operazione da compiere con il massimo impegno.

Quale?

“… aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; all’affetto fraterno l’amore” (ib. vv. 5-7).

 

Abbiamo qui una specie di scala costituita da sette gradini che potremmo chiamare i gradini della perfezione. Si parte dalla fede, che è la fiducia che si pone nel Salvatore, che è la base di partenza e si arriva all’amore divino che è il gradino più alto.

Ecco perché dicevamo che l’amore divino dovrebbe essere considerato un punto di arrivo: perché si tratta del livello più elevato.

Se siamo convinti che questa sia la via da percorrere, possiamo cominciare a salire il primo gradino…

 

 

Aggiungete alla fede vostra la virtù…

 

È innanzitutto doveroso domandarci: “Cos’è la virtù?”

Noi definiamo virtuosa una persona fornita di doti morali particolari: virtù sono la fede, la speranza, l’amore; virtù sono la forza, la giustizia, la prudenza, la temperanza. Potremmo definire la virtù come l’energia per uniformarsi alla legge divina.

Ma qui il senso è di corredare o equipaggiare la propria fede con tali virtù.

“Aggiungere alla fede la virtù” significa qui aggiungere alla propria vita eccellenza morale, in maniera che la propria sia una fede viva, virile, energica, attiva, vigorosa.

Come fare per raggiungere questo obiettivo?

L’apostolo Paolo esortava i credenti della chiesa di Filippi a ricercare la virtù, scrivendo:

“Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri” (Fl 4:8)

e rincarava la dose aggiungendo:

“Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e viste in me, fatele…” (Fl 4:9).

 

Credo che di lavoro ce ne sia da fare parecchio, per attestarci saldamente su questo gradino. Quando il Signore riterrà sufficiente il lavoro compiuto, lo Spirito di Dio ci suggerirà di fare un passo avanti, dicendoci:

 

 

Aggiungete…  alla virtù la conoscenza

 

Quale conoscenza?

Evidentemente quella che si acquisisce attraverso lo studio della Parola di Dio. Ma qui occorre fare attenzione, perché “la conoscenza gonfia…” (1Co 8:1).

 

Guai, se uno crede di sapere qualcosa: è segno che non conosce ancora nulla (cfr. 1 Co 8:2).

Su cosa dobbiamo concentrare la nostra attenzione?

Sulla “conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo” (2P 3:18); infatti, è lui che è stato fatto da Dio per noi “sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1Co 1:30).

 

Questo era uno dei desideri del Signore Gesù:

“…che conoscano te, il solo vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17:3).

 

Non dev’essere però una conoscenza mentale, teorica, ma un’appropriazione personale delle verità rivelate che incida profondamente nella vita quotidiana.

Solo ponendosi con umiltà e sottomissione sotto la potente mano di Dio potremo essere riempiti della“saggezza che scende dall’Alto” (Gm 3:15) che arricchirà la nostra vita di buoni frutti. Questa conoscenza non andrà mai disgiunta dal timore del Signore, che sarà una salvaguardia della nostra vita. Sarà allora il Signore che ci rivelerà gli immensi tesori della conoscenza divina:

 

“Figlio mio, se ricevi le mie parole e serbi con cura i miei comandamenti, prestando orecchio alla saggezza e inclinando il cuore all’intelligenza; sì, se chiami il discernimento e rivolgi la tua voce all’intelligenza, se la cerchi come l’argento e ti dai a scavarla come un tesoro, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio.

Il Signore infatti dà la saggezza; dalla sua bocca provengono la scienza e l’intelligenza. Egli tiene in serbo per gli uomini retti un aiuto potente, uno scudo per quelli che camminano nell’integrità, allo scopo di proteggere i sentieri della giustizia e di custodire la via dei suoi fedeli” (Pr 2:1-8).

 

L’apostolo Paolo definiva la conoscenza di Gesù Cristo “più eccellente” di ogni altra cosa, dicendo:

“…ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore…”(Fl 3:8).

 

Quando avremo acquisito la conoscenza che ci farà comprendere come siamo stati conosciuti da Dio, il suo Spirito ci inviterà a compiere un altro passo avanti:

 

 

Aggiungete… alla conoscenza l’autocontrollo

 

L’autocontrollo è la continenza, chiamata anche moderazione o temperanza.

L’apostolo Paolo, che amava ispirarsi alle rappresentazioni figurative del mondo in cui viveva al tempo dei giochi olimpici, scriveva: “Chiunque fa l’atleta è temperato in ogni cosa” (1Co 9:25), per significare che, se desideriamo dei risultati di rilievo nel campo atletico, dobbiamo sottoporre il nostro corpo ad una seria disciplina.

Quando ero giovane, ricordo che ci entusiasmavamo alle imprese ciclistiche di Coppi e di Bartali. Tutti i giovani ed anche i meno giovani erano divisi in due categorie: chi teneva per Coppi e chi teneva per Bartali.

Ma vi erano degli atleti stranieri che compivano a volte imprese straordinarie, eguagliando le prestazioni di Coppi e di Bartali, mentre altre volte questi stessi atleti sparivano nel folto del gruppo e non si vedevano più.

 

Uno di questi atleti era uno svizzero e si chiamava U. K. K. era capace di prestazioni straordinarie, ed era in grado di sfidare gli stessi Coppi e Bartali, mentre altre volte non si vedeva neppure. Come mai? Poi il mistero fu svelato.

K era un ghiottone: amava la buona tavola e, quando veniva in Italia per il Giro ciclistico, non sapeva resistere alla tentazione di farsi delle belle mangiate. Il risultato era che le sue prestazioni a tavola erano inversamente proporzionali a quelle in sella alla bicicletta.

 

Se non impareremo ad avere autocontrollo, le nostre “prestazioni” spirituali ne soffriranno parecchio.

L’apostolo Paolo pone la temperanza, ossia l’autocontrollo, fra i frutti dello Spirito:

“Il frutto dello Spirito è… mansuetudine e autocontrollo (Ga 5:22).

 

Vorrei qui accennare ad un campo nel quale dovremmo tutti imparare ad avere autocontrollo ed è nell’uso della lingua.

L’apostolo Giacomo annette una grande importanza a questo argomento, quando scrive che “chi tiene a freno la lingua è capace di tenere a freno tutto il corpo” (cfr. Gm 3:2), aggiungendo: “chi non sbaglia nel parlare è un uomo perfetto”.

 

Chi può dire di non essersi mai pentito per una parola di troppo che non sia stato in grado di trattenere?

“Chi tiene a freno la lingua è capace di tenere a freno tutto il corpo”.

 

Quanti guai di meno, anche in seno alle assemblee, se imparassimo a tenere a freno la nostra lingua!

 

La moderazione e l’autocontrollo riguardano tutti i campi della vita umana. Nel bere come nel mangiare. Noi siamo usi stigmatizzare chi indulge al bere, ma anche nel mangiare si può essere intemperanti. Nel lavoro, come nel gioco. L’apostolo Pietro consiglia:

“Siate moderati e sobri” (1P 4:7).

 

È facile diventare schiavi di un’attività anche legittima, se mantenuta nei limiti, ma che diventa dannosa quando questi limiti vengono superati.

 

“Io non mi lascerò dominare da nulla” (1Co 6:12), affermava l’apostolo Paolo, per significare che chi ha sperimentato la “libertà di figlio di Dio” non può tornare ad essere schiavo di cosa alcuna, perché: “Se il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi” (Gv 8:36).

 

Di qui la necessità di vigilare su noi stessi, secondo il consiglio dell’apostolo Pietro, al fine di non perdere mai l’autocontrollo e la moderazione in qualsiasi campo della nostra vita.

Il quarto gradino di questa scala della perfezione è costituito dalla pazienza.

 

 

Aggiungete… alla continenza la pazienza

 

La pazienza è virtù divina. Noi troviamo questa qualità al primo posto fra i caratteri dell’amore divino: “L’amore è paziente” (1Co 13:4) e nel frutto dello Spirito: “Il frutto dello Spirito è… pazienza” (Ga 5:22).

 

La pazienza è virtù interiore; quando viene esercitata nei rapporti con gli altri è chiamata “longanimità”. La longanimità è quindi quell’atteggiamento di indulgente comprensione e sopportazione che contraddistingue i rapporti interpersonali.

 

Siamo chiamati ad essere pazienti e longanimi perché il nostro Padre celeste è paziente e longanime con noi. Guai se Dio non avesse avuto pazienza e non fosse stato longanime verso di noi! Dove saremmo noi oggi?

 

L’apostolo Giacomo fa una rivelazione sorprendente: la pazienza è la via che porta alla perfezione!Leggiamo con attenzione questo testo:

“Fratelli miei, considerate una grande gioia quando venite a trovarvi in prove svariate, sapendo che la prova della vostra fede produce costanza (= pazienza). E la costanza compia pienamente l’opera sua in voi, perché siate perfetti e completi, di nulla mancanti” (Gm 1:2-4).

 

Quando la nostra pazienza è esercitata, noi ci avviciniamo quindi a quel divino obiettivo che Dio ha prescritto per ciascuno di noi: quello cioè di essere trasformati all’immagine del suo Figlio diletto. Quando perdiamo la pazienza, ahimè, ce ne allontaniamo!

 

Quanti problemi sarebbero risolti o non sorgerebbero neppure, se riuscissimo ad improntare i nostri rapporti interpersonali a questa divina pazienza, essendo sempre “pazienti e longanimi”!

 

L’apostolo Paolo fa un’altra sorprendente rivelazione: attribuisce alla pazienza ed alla consolazione che procurano le Sacre Scritture la facoltà di lodare Dio come si conviene:

“Tutto ciò che fu scritto nel passato (cioè l’Antico Testamento) fu scritto per nostra istruzione, affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono dalle Scritture, conserviamo la speranza. Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di aver tra di voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo” (Ro 15:4-6).

 

Straordinario! Con la pazienza e la consolazione che dà la Sacra Scrittura possiamo realizzare quel “pari consentimento”, senza il quale non è possibile glorificare e lodare Dio, avendo un medesimo sentimento, essendo d’un animo solo come i nostri fratelli della chiesa delle origini.

Quando non riusciamo ad essere pazienti nella ricerca di un accordo o nei rapporti interpersonali, cerchiamo di ricordarci che il nostro Dio è il Dio della pazienza e della consolazione! Se saremo pazienti fino in fondo, egli sarà colui che consolerà i nostri cuori.

Il gradino successivo è quello della pietà:

 

 

Aggiungete… alla pazienza la pietà

 

La pietà è l’atteggiamento di colui che ricerca un rapporto con Dio.

La Sacra Scrittura definisce “mistero della pietà” il piano divino perché l’uomo potesse entrare in rapporto con Dio:

“Grande è il mistero della pietà: (Dio) è stato manifestato in carne” (1Ti 3:16).

 

Del centurione Cornelio, che era un pagano, ma ricercava Dio, la Sacra Scrittura dice che era un uomo pio:

“Vi era in Cesarea un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte detta Italica. Quest’uomo era pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia” (At 10:1-2).

Dio gli manderà allora l’apostolo Pietro, perché lo istruisca sulla verità e Cornelio si convertirà insieme alla sua famiglia.

 

Viceversa, l’atteggiamento opposto di colui che rifiuta ogni rapporto con Dio, e vive come se Dio non esistesse è definito “empietà”.

L’apostolo Paolo esorta il giovane Timoteo a praticare la pietà: “…esercitati alla pietà… (perché) la pietà è utile a ogni cosa” (1Ti 4:7,8).

 

“Come può la pietà essere utile ad ogni cosa?” domandiamo noi.

Se la pietà è l’atteggiamento di colui che ricerca il rapporto con Dio e Dio è l’Onnipotente, ecco come di fronte ad ogni problema e ad ogni difficoltà, per mezzo dello strumento della preghiera, noi possiamo muovere il braccio dell’Onnipotente, il quale è sempre vicino a coloro che confidano in lui.

L’apostolo Paolo aggiungeva scrivendo a Timoteo:

“Attieniti alla dottrina che è conforme alla pietà… (perché) la pietà con animo contento del proprio stato è un grande guadagno (1Ti 6:3,6).

 

Mantenere vivo il rapporto con colui che è il Re dei re ed il Signore dei signori (1Ti 6:15) non può che arricchire la nostra vita sotto ogni aspetto; di qui l’insistenza dell’apostolo Paolo:

“Tu, uomo di Dio, …ricerca la pietà…” (1 Ti 6:11), ossia, coltiva, cura il tuo rapporto con il Signore.

Siamo arrivati così al sesto gradino, quello dell’affetto fraterno.

 

 

Aggiungete… alla pietà l’affetto fraterno

 

A proposito dell’amore fraterno, così si esprime l’apostolo Paolo:

“Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri” (Ro 12:10).

 

Siate pieni di affetto; non ne abbiate solamente un poco, ma siate pieni, ossia abbiatene tanto, fate a gara nel dimostrarvi affetto gli uni gli altri, nel dimostrarvi quella tenerezza che sa comprendere le debolezze degli altri, che sa incoraggiare e confortare, che sa scusare e perdonare le offese, che sa dimenticare i torti subiti.

Pieni di affetto gli uni per gli altri. L’apostolo Paolo approfondisce questo concetto, dicendo:

“Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda, come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Ef 4:31-32).

 

Se i rapporti interpersonali fra fratelli fossero improntati a questi principi, veramente si potrebbe dire che la volontà di Dio sarebbe fatta in terra come è fatta nel cielo.

Quale tristezza, invece, quando si vedono servitori dello stesso Signore contendere per mantenere il punto su vedute particolari, impiegando energie preziose che vengono così sottratte a fini che potrebbero glorificare il Signore!

 

Eccoci, infine, arrivati all’ultimo gradino: quello dell’amore divino.

 

 

Aggiungete… all’affetto fraterno l’amore

 

Scrivendo ai credenti della chiesa di Colosse, l’apostolo Paolo esorta:

“Rivestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Al di sopra di tutte queste coserivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione (Cl 3:12-14).

 

Poco prima l’apostolo Paolo aveva esortato i Colossesi a svestire l’uomo vecchio dei suoi atti, cioè a deporre ed abbandonare quelle tipiche manifestazioni della nostra carnalità, quali l’ira, la malignità, la maldicenza e via di questo passo ed a rivestirsi dei caratteri della nuova natura che si rinnova a immagine di Dio (v. 10).

 

Troppo spesso, invece, armati di buone, anzi di ottime intenzioni, noi ci spogliamo idealmente di questi vecchi abiti davanti al Signore poi, al termine della nostra confessione, ci rialziamo e ci rivestiamo con essi, anziché rivestire gli abiti nuovi che Dio ci dona nella sua grazia.

Perché ci comportiamo così?

Perché ci dimentichiamo, al termine della vestizione, di aggiungere, a mo’ di mantello, l’amore divino, che è il vincolo della perfezione.

 

Che cos’è un vincolo?

E’ un fermaglio, un qualcosa che tiene insieme tutto. Se non impareremo ad avere amore gli uni per gli altri, anziché il frutto dello Spirito, saranno i frutti della carne a manifestarsi nei rapporti interpersonali.

L’apostolo Pietro esortava:

“Soprattutto abbiate amore intenso gli uni per gli altri, perché l’amore copre una gran quantità di peccati” (1P 4:8).

Il termine qui è agapen, ossia l’amore divino.

 

Quando l’apostolo dice che l’amore “copre i peccati”, non vuol dire che nasconde gli errori, ma piuttosto che perdona e dimentica il male che ci è stato fatto.

Questo non è altro che mettere in pratica l’insegnamento del divino Maestro, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, il quale diceva:

“Amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi odiano; benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano” (Lu 6:27-28).

 

Un pensiero affiora nella nostra mente: “Ma Signore, chi è sufficiente a queste cose?” Poi tentiamo una difesa:“Signore, Tu mi dici di amare i miei nemici; ma io non ho nemici!”

Ma la voce del Signore continua: “Fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano”!

E noi: “Ma Signore, io non ho nessuno che mi odia, che mi maledica o che mi abbia oltraggiato!”

Ma la dolce voce del Signore continua: “Amate quelli che fanno maldicenza contro di voi, fate del bene a quelli che vi sono antipatici, pregate per coloro che la pensano diversamente da voi”.

 

A questo punto abbiamo la bocca chiusa.

Chi non ha mai subìto della maldicenza?

Chi non ha mai avuto qualcuno che gli fosse antipatico o che la pensasse diversamente da lui?

L’abbiamo amato?

Gli abbiamo fatto del bene?

Abbiamo pregato per lui?

 

Più avanti il Signore completa così il suo insegnamento:

“Amate i vostri nemici… e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo” (Lu 6:35).

Straordinario: figli dell’Altissimo. Ma, dopo un momento di riflessione, obiettiamo: “Ma Signore: come tuoi figli diletti, non siamo già figli dell’Altissimo?”

Ma ecco la dolce voce del Signore ribattere:

“Perché mi chiamate «Signore, Signore1 e non fate quello che dico?” (Lu 6:46).

 

A questo punto non ci resta che tacere e riflettere, ma riflettere seriamente.

 

 

Se queste cose si trovano e abbondano in voi…

 

Ci scuote dalla nostra riflessione l’apostolo Pietro che, al termine di quella che abbiamo chiamata la “scala della perfezione”, continua il suo pensiero, aggiungendo:

“Se queste cose si trovano e abbondano in voi…”

 

Lo Spirito di Dio, per mezzo dell’apostolo Pietro, non ci abbandona alla nostra riflessione, ma ci interpella immediatamente con due interrogativi che sono un vero pugno nello stomaco:

“Queste cose di cui abbiamo parlato si trovano in voi?”

Questo il primo interrogativo.

Il secondo non è da meno:

“Vi sono in abbondanza?”

 

Se così è – continua l’apostolo – vi saranno quattro risultati:

1. non sarete pigri restando nell’ozio (v. 8);

2. non sarete sterili, ma pieni di frutti di giustizia (v.8);

3. non inciamperete mai (v.10);

4. entrerete trionfalmente nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo (v.11).

Magnifico!

Ma questa era solo la prima ipotesi. Vi è una seconda ipotesi.

 

 

Colui che non ha queste cose…

 

Questa ipotesi presenta tre risultati a dir poco preoccupanti; colui che non ha queste cose:

1. è cieco;

2. è miope (cioè, ha la vista corta);

3. ha dimenticato la purificazione dei suoi vecchi peccati.

 

La cecità e la miopia spirituale sono due gravi affezioni: tutte e due impediscono di vedere il proprio stato. Vi era una chiesa, la chiesa di Laodicea, che nel suo orgoglio riteneva di essere ricca e di non avere bisogno di niente (Ap 3:17), ma lo Spirito di Dio indirizza a questa chiesa, nella persona dell’angelo (la parte responsabile) una parola molto severa:

“Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo”.

 

La cosa tragica di questo messaggio è: “Tu non sai”; quella cosiddetta “chiesa” non sapeva di essere in quello stato. Ma lo Spirito di Dio la richiama all’ordine, consigliandole di procurarsi dell’oro, una veste bianca e del collirio (per vedere meglio il proprio stato), ossia fede, giustificazione e Spirito Santo.

Quale tristezza, poi, avere dimenticato la purificazione dei propri vecchi peccati!

Quand’è che dimentichiamo di essere stati perdonati dal Signore? Quando non sappiamo perdonare il nostro prossimo.

 

Abbiamo detto in apertura che questa è una lettera circolare e che ci riconoscevamo nell’indirizzo.

A questo punto dobbiamo anche domandarci se ci riconosciamo nella prima o nella seconda ipotesi, cioè se le qualità di cui abbiamo parlato sussistano o meno in noi. Se ci riconosciamo nella prima ipotesi, ringraziamo il Signore, perché tutto ci è stato donato per grazia. Infatti, direbbe l’apostolo Paolo:

“Chi ti distingue dagli altri? Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto?” (1 Co 4:7).

 

Ma se ci riconosciamo nella seconda ipotesi, ritorniamo alla croce, dove Gesù ha pagato per tutte le nostre mancanze, per me e per voi. Ricerchiamo il suo perdono e chiediamogli di ristorarci e donarci la sua pienezza.

 

 

Conosciamo queste cose?

 

Così l’apostolo Pietro interpella ancora i suoi lettori.

“Bene, non importa se sapete già queste cose” – sembra dire l’apostolo – “ve le ricordo lo stesso e ve le ricorderò continuamente (v.12); ve le ricorderò fino a quando avrò vita per tenervi desti (v.13); e farò in modo che anche dopo la mia dipartita per la Casa celeste abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose” (v.15).

Sorprende il modo “incalzante” dell’apostolo, ma ciò è in relazione all’importanza che egli annette a queste cose.

 

“Chi ha orecchi per udire oda”, diceva Gesù (Mt 11:15);

“Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese” (Ap 2:7).

Saremmo noi diventati duri d’orecchio come i destinatari della lettera agli Ebrei? (cfr. Eb 5:11, V. Riv.).

“Così non sia!”, direbbe l’apostolo Paolo.

 

Il Signore voglia renderci sensibili alla Parola divina e ai suoi richiami.

Egli terrà fede alla sua divina promessa: “ colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fl 1:6).

L’apostolo Paolo aveva questa fiducia; questa promessa è anche per noi, se avremo un orecchio sensibile ai richiami dello Spirito di Dio.

 

Allora la nostra testimonianza verbale sarà più efficace, perché supportata e confermata da una vita che parlerà da sé ed inciderà profondamente nella vita delle famiglie e delle assemblee, trasformando i rapporti interpersonali fra i fratelli.

Essi allora non dovranno più occuparsi dei problemi di convivenza, ma potranno concentrare tutte le proprie energie verso coloro che periscono per mancanza di conoscenza.

Il Signore lo voglia per ciascuno di noi.