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Chi ha vissuto come me un’intera vita fra bambini e ragazzi di ogni età, sa bene che il desiderio istintivo di tutti è quello di primeggiare. In qualsiasi situazione, nessuno vuole arrivare ultimo perché a nessuno piace essere ultimo. La parola più frequente sulle labbra dei bambini è sicuramente la parola “prima”: “L’ho detto… l’ho visto… l’ho chiesto prima io… ho alzato la mano prima io… prima a me… sono arrivato prima io…”. E potremmo continuare… così, come crescendo, continua con la stessa musica la storia di ogni bambino. L’unico aspetto su cui siamo tutti pronti ad accogliere l’invito di Gesù a “diventare come i bambini” (Mt 18:3) è proprio questo. Anche da adulti infatti rimane in noi quel desiderio infantile, che abbiamo espresso in tanti giochi e in tante situazioni, di arrivare sempre primi o, almeno, di non essere mai ultimi. Anche il tanto conclamato motto olimpico “L’importante è partecipare” è da sempre disatteso, perché nella realtà conta soltanto vincere, conta arrivare primi. Gli ultimi non li considera nessuno, il loro nome non appare in nessun tipo di “albo”, gli ultimi non vanno avanti, ma retrocedono, gli ultimi sono i falliti, i perdenti…

L’uomo, da sempre, vive con il desiderio, talvolta ossessivo, di non farsi mettere sotto i piedi da nessuno, di non essere mai ultimo e, come ben sappiamo, in tutte le relazioni, a partire da quelle più intime e familiari, quest’atteggiamento ha provocato e continua a provocare ogni genere di conflittualità e di violenza. Partendo da questa più che realistica situazione, mi chiedo cosa avranno pensato i discepoli sentendo più volte ripetere da Gesù: “Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi” (Mt 20:16). Ancora oggi purtroppo queste parole non sono comprese: vengono frequentemente usate come fossero una battuta carica di umorismo o come una sorta di proverbio.

Ma in realtà cosa voleva e cosa vuole dirci Gesù, esortandoci ad essere “ultimi”?

Quale applicazione pratica può avere questa esortazione nella nostra vita?

Davanti a queste domande, mi è tornata in mente una dichiarazione solenne pronunciata da Dio attraverso il profeta Isaia: “Io, il Signore, sono il primo; io sarò con gli ultimi” (Is 41:4b).

Il Signore non si presenta come “uno” fra i primi, ma come “IL primo”. Ciò significa che non esiste nessuno al di sopra di lui, prima di lui. Ma ciò significa anche che nessuno di noi potrà mai essere primo (ai “padroni”che pensavano forse di poter essere primi in tutto e di poter disporre degli altri a loro piacimento, Paolo ricorda:“anche voi avete un padrone nel cielo”, Cl 4:1).

Presentandosi come colui che è “il primo”, Dio ci ricorda il suo primato nel tempo (la sua eternità!), il suo primato su tutta la realtà (la sua sovranità, la sua onnipresenza e la sua onnipotenza), ma anche il suo primato nei valori (il suo amore, la sua giustizia, la sua santità). Se così non fosse, egli non sarebbe Dio! Egli è, sempre e comunque, IL primo in ogni situazione.

Ma, tornando alle nostre domande: chi sono “gli ultimi” dalla cui parte il Signore dice di schierarsi? Per il nostro comune modo di pensare, “gli ultimi” sono i poveri, gli emarginati, i sofferenti: coloro che a causa della loro povertà o della loro malattia sono costretti a vivere ai margini della società, spesso trascurati e dimenticati, destinati a rimanere “ultimi” senza alcuna speranza di poter diventare “primi”. Ma per il Signore in realtà “gli ultimi” sono coloro che mettono gli altri sempre prima di loro, mossi da un atteggiamento di umiltà e da un desiderio di amore che si traducono, nella vitra di ogni giorno, in un impegno di servizio. Sono coloro cioè che non sono “ultimi” a causa delle circostanze sfavorevoli della vita, ma sono “ultimi” per scelta. Ecco allora un’indicazione importante per me: il Signore sarà dalla mia parte quando accetterò di essere “ultimo”. Accettando di essere “ultimo”, avrò sempre con me colui che è “il primo”. Ed è in questo modo (e solo in questo modo!) che da “ultimo” possono diventare “primo”.