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“L’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica”: così recitava l’art. 36 del Concordato siglato nel 1929 fra il Vaticano ed il governo italiano. Quando iniziai il mio lavoro di insegnante, sentii il dovere di scrivere all’allora Ministro della Pubblica Istruzione Franco Maria Malfatti per autodenunciarmi perché la mia fede cristiana evangelica non mi avrebbe consentito di rendere “fondata e coronata” l’istruzione dei miei alunni. Mi permisi di notare che ero risultato vincitore di un concorso “pubblico”, per partecipare al quale non mi era stata richiesta alcuna documentazione sulle mie convinzioni in materia di fede, ma che ora, per i programmi scolastici che avevano accolto in toto quell’articolo del Concordato, mi si chiedeva di impartire un’istruzione “pubblica” con un unico orientamento confessionale. 
    È ovvio che, nonostante ripetuti solleciti, non ho mai ricevuto risposta a quella lettera né a quella che scrissi al ministro Falcucci nel 1985 all’indomani dell’intesa fra governo italiano e Conferenza Episcopale Italiana che introduceva in modo fortemente invasivo l’insegnamento della religione cattolica in ogni ordine e grado della scuola “pubblica”. Non sto qui a segnalare l’evidente contraddizione fra gli articoli della nostra carta costituzionale che a parole proclamano la piena uguaglianza di tutti i cittadini ed il significato che viene ancora oggi dato all’aggettivo “pubblico”, che, almeno nel campo dell’insegnamento e dell’istruzione, non vuol più dire “di tutti”, ma solo di “alcuni”. Che poi questi “alcuni” siano maggioranza o minoranza ha poca importanza davanti al fatto che si è comunque operata una pesante discriminazione che ha trasformato di fatto la scuola “pubblica” in una grande scuola “privata”, dove all’aggettivo “privata” si potrebbe attribuire un doppio significato: sia quello di proprietà di una parte sola sia quello legato al concetto di privazione, di mancanza, ricordandoci, in questo caso, che la Scuola italiana è “privata” dell’uguaglianza e della libertà che dovrebbero essere cardini essenziali di qualsiasi istruzione di Stato. 
    Nel contesto di questa situazione, stride il titolo (“Io non mi vergogno del Vangelo”) dato al Convegno nazionale degli insegnanti di religione cattolica svoltosi recentemente a Roma. Ma… quale “Vangelo”? Il Vangelo di Cristo è rifiuto di qualsiasi collusione con “i regni di questo mondo”, di totale separazione fra “Cesare e Dio”, mentre la realtà ecclesiale cattolica si muove ed opera proprio come “i regni di questo mondo”, trasformando di fatto la “Chiesa” nel più forte potere politico. Il Vangelo di Cristo è libertà, è messaggio fondato non sulla ricerca di strategie di potere sulle persone e sui loro governi, ma sul: “Ve ne volete andare anche voi?”, cioè sulla sollecitazione di scelte libere: individuali e responsabili. Il Vangelo di Cristo è giustizia: Dio non opera né discriminazioni né favoritismi (At 15:8-9), mentre la chiesa cattolica ha dato il via alla più grossa discriminazione operata nel nostro Paese. 25.000 persone (tanti sono gli insegnanti di religione cattolica con un costo annuo per lo Stato di oltre 60milioni di euro!) hanno oggi un posto di lavoro “pubblico”, senza aver dato alcun concorso, ma solo grazie alla scelta “privata” operata esclusivamente per “meriti religiosi”, dalle autorità religiose cattoliche. Poiché questi docenti hanno acquisito il diritto di potersi “trasferire” all’insegnamento di altre materie, c’è il rischio che fra qualche anno nella Scuola “pubblica” lavori una grande maggioranza di insegnanti selezionati in forma “privata” dalla “Chiesa”. Potrei proseguire, ma mi fermo qui. Ce n’è abbastanza per capire che dobbiamo operare perché in Italia si faccia strada un sentimento di profonda vergogna per questo “altro Vangelo”, che è potere, discriminazione, favoritismo: cioè tutto ciò che il Vangelo di Cristo non è!