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 Inutile nasconderlo: la crisi che sta attraversando l’Italia non è né economica né politica, ma è una profonda crisi morale e, ancor prima, spirituale. Una crisi di valori che si ripercuote inevitabilmente su tutti gli altri aspetti della vita sociale. Dove sono le tanto evocate radici “cristiane”? Nei dieci milioni di persone che ogni giorno seguono, morbosamente attaccate alla televisione, le squallide vicende del “Grande Fratello”? Nel linguaggio sconcio ed offensivo di tanti protagonisti televisivi, ma soprattutto del quotidiano dei vescovi che, davanti ad una decisione discussa e discutibile ma indubbiamente causa di inimmaginabile sofferenza, non esitano a definire “boia” papà Englaro? Nei “milioni di atei” che, secondo una scritta che i nostri amici genovesi saranno costretti a leggere sugli autobus della loro città, si nasconderebbero all’interno di quell’irreale 96% di cattolici indicato dalle statistiche? Nei continui e ripetuti insulti che volano, ormai quotidianamente e reciprocamente, fra le opposte fazioni politiche? Nelle barzellette del nostro premier (chiamato per la sua posizione ad essere un esempio per il popolo!) che, dopo aver preso di mira i malati di AIDS, non ha recentemente risparmiato gli internati nei lager nazisti ed i desaparecidos argentini? Nel ripetersi di fenomeni di razzismo e di xenofobia? Nel diffondersi, ormai senza più freni, dell’omosessualità (conclamata anche dal palcoscenico di Sanremo) e di ogni tipo di violenza sessuale? Per non parlare del divorzio, dell’aborto, delle manipolazioni genetiche e, fra breve, dell’eutanasia… 
     Ecco i frutti che sono maturati sull’albero che si vorrebbe nato dalle radici “cristiane”! 
     “Ahi serva Italia, di dolore ostello, – nave sanza nocchiere in gran tempesta, 
     non donna di province, ma bordello! (…) – e ora in te non stanno sanza guerra 
     li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode – di quei ch’un muro e una fossa serra”. 
     Il quadro, “dipinto” da Dante, in alcuni fra i più noti versi della sua “Divina Commedia”, ci presenta un’Italia profondamente sofferente, paragonabile ad una nave alla deriva senza più alcuna guida e senza più valori morali e spirituali, i cui abitanti si “rodono” l’un l’altro, si disprezzano ed alzano, gli uni nei confronti degli altri, muri e barriere. Mi chiedo: cosa è cambiato in ottocento anni? È vero: ci vuole del tempo per costruire una nazione. Il Signore stesso ce lo ricorda: “Un paese nasce forse in un giorno? Una nazione vien forse alla luce in una volta?” (Is 66:8). Ma è evidente che qui si è perso del tempo ma, soprattutto, si è costruito su basi sbagliate e con materiali sbagliati. Dobbiamo con tristezza prendere atto che le sole radici sulle quali è cresciuta per secoli la nostra nazione sono quelle di un “cristianesimo” che ha avuto e che continua ad avere, come direbbe Paolo, “l’apparenza della pietà” avendone però “rinnegato la potenza” (2Ti 3:5). Cosa fare davanti a questa situazione oggettivamente preoccupante e drammatica? Rimanere distaccati ed assistere a quello che succede con spirito disfattista, rassegnato e fatalista, tanto sappiamo che la situazione di ogni società umana si va sempre più deteriorando e che, tanto, ci penserà Gesù al momento del suo ritorno a rimettere tutto a posto? È questo l’atteggiamento che vuole da noi il Signore? Sicuramente no! Non potremo tornare indietro e ridare radici “cristiane” ad un albero che in realtà non ne ha mai avute. Ma possiamo, con la nostra preghiera e con la nostratestimonianza, recuperando quella “potenza” della “pietà” che spesso anche noi abbiamo smarrito, dare nuove radici a quegli abitanti di questa nazione che si mostreranno disponibili ad ascoltare l’Evangelo e a lasciarsi trasformare da Cristo attraverso una scelta responsabile e personale. “Cercate il bene della città dove io vi ho fatti (abitare) e pregate il Signore per essa, poiché dal bene di questa dipende il vostro bene” (Gr 29:7). Questa esortazione c’incoraggi nell’impegno e nel servizio!