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CONSEGUENZE

DELL’UBBIDIENZA

 

L’ultima parte del nostro studio sarà dedicata ai brani scritturali concernenti le conseguenze dell’ubbidienza e della disubbidienza nei confronti dei comandamenti di Dio.

Naturalmente, un tema come quello che stiamo trattando merita senz’altro di essere studiato, ma ancor più merita di essere messo in pratica nella vita quotidiana di tutti gli uomini, specialmente dei figli di Dio. Non possiamo esimerci, pertanto, dal considerare quali siano le benedizioni collegate all’ubbidienza, ma pure quali siano le minacce conseguenti alla disubbidienza ai comandamenti di Dio.

 

 

Le benedizioni promesse

 

Per il Signore degli eserciti, Creatore dei cieli e della terra, è una cosa seria l’ubbidienza dei suoi figli ai comandamenti contenuti nella sua Parola. È seria al punto di aver menzionato chiaramente, nelle Sacre Scritture, parecchie benedizioni che egli promette di elargire a coloro che disporranno i loro cuori e le loro braccia all’ubbidienza.

Nell’Antico Testamento, per esempio, leggiamo che, in Israele, l’ubbidienza ai comandamenti dell’Eterno era la chiave per ottenere prosperità materiale:

 

“Se ubbidirete diligentemente ai miei comandamenti che oggi vi do… io darò al vostro paese la pioggia nella stagione giusta… perché tu possa raccogliere il tuo grano, il tuo vino e il tuo olio, e farò pure crescere l’erba dei tuoi campi per il tuo bestiame, e tu mangerai e sarai saziato!” (De 11:13-15)

 

In altre parole, tutto il lavoro della campagna sarebbe stato benedetto dal Creatore della terra, nella misura in cui i contadini avessero ubbidito ai suoi comandamenti (vedi anche un’analoga promessa in Le 26:3-5), con le comprensibili ricadute positive sull’intera società teocratica d’Israele.

Più in generale, nel bel mezzo delle peregrinazioni d’Israele nel deserto, l’Eterno degli eserciti aveva già promesso al suo popolo:

 

“Se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare… e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa” (Es 19:5-6).

 

Si tratta di benedizioni generali, di carattere spirituale, che però implicano tutta una serie di conseguenze pratiche per la vita quotidiana: essere il tesoro particolare dell’Eterno, far parte del suo regno e della sua nazione, essere da lui considerati santi e degni di una funzione sacerdotale… non porterà forse alla pace nel cuore e a benedizioni spirituali e materiali di ogni genere?

Ecco perché il Signore esprime il desiderio che gli Israeliti possano vivere sempre nel timore del suo santo nome e, quindi, essere sempre ubbidienti ai suoi comandamenti. Tutto ciò, infatti, porterà soltanto “…del bene a loro e ai loro figli per sempre!” (De 5:29)

Anche la misericordia fa parte delle promesse divine per gli Israeliti che avessero ubbidito alla Sua Parola. Neemia iniziò infatti la sua preghiera al Dio onnipotente con queste parole:

 

“O Signore,… che mantieni il patto e fai misericordia a quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti…”(Ne 1:5).

 

Non sono promesse da poco. La compassione di Dio ed il movimento delle sue viscere conducono l’Onnipotente all’azione, a sicuro beneficio di coloro che vivono nell’ubbidienza al suo volere. Se Neemia riuscì a ricostruire in 52 giorni le mura di Gerusalemme distrutte da Nabucodonosor, non riuscirà forse il Signore a compiere ancora meraviglie, oggi, in mezzo a noi, anche prima del ritorno di Gesù?

D’altro canto, le benedizioni generali appena elencate coinvolgevano pienamente l’intera nazione d’Israele. Oltre ai riflessi delle benedizioni individuali, nella Scrittura abbiamo menzione di dirette promesse di benedizione rivolte all’intero popolo e a tutta la nazione d’Israele, alla quale il Signore degli Eserciti si rivolge con un significativo “tu”:

 

“Se tu ubbidisci diligentemente alla voce del Signore tuo Dio… egli ti metterà al di sopra di tutte le nazioni della terra; e tutte queste benedizioni verranno su di te…” (De 28:1-2).

La disubbidienza del popolo d’Israele sarà, storicamente, la migliore dimostrazione che questa promessa era veritiera: la nazione eletta ha prosperato fin tanto che e nei limiti in cui ha vissuto l’ubbidienza alla Parola del suo Dio. Al contrario, Israele ha vissuto una decadenza progressiva e ha perduto ogni lustro internazionale nella misura in cui, viceversa, si è allontanato dall’Eterno.

 

Per noi, oggi, vi sono tante promesse di benedizioni contenute nella Bibbia: alcune sono nell’Antico Testamento e si applicano anche oggi per la loro generalità, altre sono nel Nuovo Testamento e sono specificamente dirette ai membri della Chiesa di Dio.

 Innanzitutto, in generale si dirige anche a noi credenti di oggi la promessa di felicità che Dio rivolge a tutti i suoi figli ubbidienti:

 

“Ora, figlioli, ascoltatemi: Beati quelli che osservano le mie vie!” (Pr 8:32).

 

Osservare le sue vie, cioè mettere in pratica i suoi comandamenti, è la chiave giusta per essere felici in questa vita e per sperimentare concretamente quella beatitudine preziosa dovuta alla presenza di Dio nel nostro cuore.

Nell’Antico Testamento vi sono, poi, diverse promesse divine in relazione alla prosperità nella vita terrena ed al benessere materiale e spirituale. Oltre alle promesse, già viste in precedenza e collegate alla buona riuscita dei lavori in campagna, annotiamo le parole di Eliu rivolte a Giobbe da parte di Dio:

 

“Se lo ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere e i loro anni nella gioia!” (Gb 36:11).

 

Che bello pensare a un Dio che si rallegra per quelle persone che si sottomettono a lui e che, di conseguenza, egli benedice grandemente donando loro un po’ della sua gioia, tanto benessere interiore e talvolta anche materiale.

In questo senso, allora, si può ritenere che siano applicabili anche a noi, come a qualsiasi figlio di Dio, le meravigliose promesse che il Signore fece a Salomone, condizionandole alla sua vita di ubbidienza:

 

“Se cammini nelle mie vie, osservando le mie leggi e i miei comandamenti… io prolungherò i tuoi giorni” (1Re 3:14)

 

È il Creatore che decide la lunghezza della nostra vita (cfr Mt 6:27) e nessuno ha il diritto di accorciarla o di allungarla, tranne colui che l’ha creata. Spesso, realizzando la promessa che abbiamo appena menzionato, il prolungamento della vita umana è la risposta di Dio alla sottomissione ed all’ubbidienza umana.

Ma non è l’unica risposta benevola da parte sua. Il Signore promette anche benessere fisico e guarigioni corporee ai suoi figli, ed ancora oggi tanti cristiani possono testimoniare la potente realtà di queste parole:

 

“Se tu ascolti attentamente la voce del Signore che è il tuo Dio, e fai ciò che è giusto agli occhi suoi, porgi orecchio ai suoi comandamenti e osservi tutele sue leggi, io non ti infliggerò nessuna delle malattie che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono l’Eterno, colui che ti guarisce!” (Es 15:26).

 

Nel Nuovo Testamento troviamo, poi, diverse promesse di benedizione, condizionate all’ubbidienza, che Dio rivolge alla Chiesa.

Una di queste, assai generale, è contenuta la troviamo nella lettera di Giacomo:

 

“Chi guarda attentamente nella legge perfetta… e in quella persevera… sarà un ascoltatore… che la mette in pratica; egli sarà felice nel suo operare” (Gm 1:25).

 

Osservate come la benedizione di felicità viene collegata direttamente ed esclusivamente alla messa in pratica dei comandamenti divini, e non soltanto all’ascolto della Parola (cfr. 1:22). In generale, dunque, anche il Nuovo Testamento afferma con forza che chi “guarda attentamente” nel tesoro della Bibbia e mette in pratica quel che Dio vuole, sarà beato nella sua vita e sarà felice in tutto quello che farà, riuscendo in tutte le sue imprese (cfr Gs 1:8-9).

Nei Vangeli sinottici troviamo queste bellissime parole che il Signore Gesù disse un giorno e che vale la pena di ricordare:

 

“Chiunque avrà fatto la volontà del Padre mio, che è nei cieli, mi è fratello e sorella e madre” (Mt 12:50).

 

Il contesto è noto: mentre Gesù parlava alle folle, la madre e i fratelli del Signore si recarono da lui per parlargli (v. 46), ma Gesù fece sapere a tutti gli astanti che ciò che davvero conta per Dio non sono i legami carnali bensì quelli spirituali. Ancora oggi, coloro che osservano la sua Parola sono destinatari di una stima e di un amore particolare da parte di Dio, che li considera suoi stretti parenti… ovviamente da un punto di vista spirituale!

L’apostolo Giovanni, da parte sua, in almeno due occasioni ci ha lasciato nel suo Vangelo altrettante dichiarazioni del Signore che ci riempiono di gioia per la loro forza e profondità. In particolare, in Gv 14:21 e 23 vengono elargite promesse meravigliose con riferimento all’ubbidienza che scaturisce dall’amore:

 

“Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui”.

 

E poi, ancora…

 

“Se uno mi ama, osserverà la mia Parola, e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui”(Gv 14:21, 23).

 

Si tratta, a ben vedere, di una vera e propria concentrazione di promesse a tutto tondo: Dio s’impegna a ricambiare l’amore mostrato da colui che gli ha ubbidito e promette anche di porre stabile dimora nel cuore del discepolo ubbidiente, al quale egli si manifesterà in tutta la sua gloria.

L’ubbidienza, allora, è anche la chiave per conoscere meglio il nostro meraviglioso Signore, il quale ama l’ubbidienza e soprattutto ama gli ubbidienti.

Ancora l’apostolo Giovanni, nella sua prima lettera, riprende il tema degli effetti benefici dell’ubbidienza nella vita del credente, e lo fa con riferimento alla vita di preghiera del discepolo:

 

“Qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui, perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo ciò che gli è gradito” (1Gv 3:22).

 

Se rileggiamo questo versetto al contrario, ci accorgiamo che la condizione posta da Dio è quella dell’ubbidienza pratica, e che essa ha come diretta e inconfutabile conseguenza la risposta di Dio alle nostre preghiere di supplica e d’intercessione.

Non è forse meraviglioso, ma pure impressionante, il “qualunque” che apre il versetto? Fratelli carissimi, siamo sinceri: crediamo davvero in questa promessa divina? Se la facciamo nostra e ce ne appropriamo per fede (cfr Eb 11:1), ben presto scorgeremo la sua potente realizzazione e daremo gloria a Dio!

 

 

CONSEGUENZE

DELLA DISUBBIDIENZA

 

Nella Parola di Dio non troviamo solo promesse di benedizione per coloro che ubbidiscono alla volontà del Signore. Non c’è solo il dolce. C’è anche l’amaro.

Dal momento che risulta evidente a tutti che, a fianco dell’ubbidienza, esiste anche la ribellione, ecco che le Sacre Scritture non illudono nessuno e parlano pure delle conseguenze negative che si verificheranno in capo a coloro che avranno disubbidito ai comandamenti dell’unico vero Dio.

La disubbidienza, che nasce dall’emergere di uno spirito di ribellione, si verifica ogni volta in cui un uomo o una donna non mettono in pratica uno o più comandamenti che il Signore ha lasciato nella Bibbia, oppure quando essi falliscono nelle modalità di esecuzione di ordini impartiti dall’Eterno nella sua santa Parola. Ogni atto di disubbidienza è punito da Dio, che minaccia punizioni, talvolta severe, contro coloro che si ribellano alla sua perfetta volontà.

 

Nell’Antico Testamento, all’interno delle prescrizioni rivolte al popolo d’Israele, in più occasioni l’Eterno prefigurò il verificarsi di ogni sorta di maledizioni materiali e spirituali nel caso in cui gli Israeliti avessero disubbidito ai suoi comandamenti.

In primo luogo, nel libro del Deuteronomio, il Signore preannunciò una generale “maledizione” in caso di ribellione e di idolatria (11:28), ma aggiunse anche maggiori dettagli quando elencò (De 28:15-68) tutte le nefaste conseguenze che sarebbero ricadute sul capo delle persone disubbidienti alla sua Parola. Solo per delineare un rapido sommario di queste minacce divine, i ribelli sarebbero stati maledetti dovunque (v. 16) e sempre (vv. 19-20), in tutti i loro lavori di ordinaria amministrazione (vv. 17, 38-40) e con malattie di ogni sorta (vv. 21-22, 27-29, 35). Il Signore avrebbe tolto loro la pioggia (vv. 23-24) e, nei conflitti o nelle guerre, egli avrebbe favorito i loro nemici (vv. 25-26, 49-57), mentre anche in famiglia essi avrebbero vissuto aridità e problemi di svariato genere (vv. 18, 30, 32, 41).

Molte di queste promesse, purtroppo, si sono avverate concretamente nella vita del popolo d’Israele, a motivo della sua persistente disubbidienza alla Parola di Dio.Per esempio, quasi tutta la generazione di Israeliti che erano usciti dall’Egitto non entrarono nella Terra Promessa… e per motivi legati alla loro disubbidienza a Dio:

 

“…essi furono distrutti perché non avevano ubbidito alla voce del Signore” (Gs 5:6).

 

L’Eterno aveva preannunciato tutto ciò e realizzò senz’altro le sue promesse: la ribellione del popolo d’Israele, consumata a Kades Barnea dopo il rapporto degli esploratori mandati da Mosè nel paese di Canaan (Nu 13), provocò la morte immediata di queste spie incredule (14:37) ma anche la peregrinazione di tutto il popolo per quarant’anni nel deserto, finché tutta quella generazione morì, con le uniche eccezioni di Giosuè e Caleb (vv. 29-30).

 

Un altro episodio molto importante, nell’Antico Testamento, per considerare la gravità delle conseguenze della disubbidienza ai comandamenti dell’Eterno, è quello riportato in 1Samuele 2:29-36.

Il sommo sacerdote Eli apparteneva alla dinastia di Aronne e, come tale, era destinatario di meravigliose promesse di benedizioni da parte del Signore, soprattutto quella secondo cui tale dinastia sarebbe stata per sempre al servizio dell’Eterno (Es 29:9). Ma Eli non camminava rettamente davanti al suo Dio, specie per quanto concerne l’educazione dei suoi figli, i quali erano assai perversi per quanto concerne le offerte che il popolo portava per il culto levitico (cfr 1Sa 2:12-17). Eli non era neppure fermo nel condannare le cattive azioni dei suoi figli (cfr vv. 23-25) e tutto ciò condusse al giudizio di Dio, il quale innanzitutto ricordò ad Eli il peccato suo e dei suoi due figli, Ofni e Fineas (v. 29):

 

“Perché calpestate i miei sacrifici e le mie oblazioni, che Io comandai di offrire nel mio santuario?”.

 

Poi, dopo aver fatto riferimento alla promessa di benedizione rilasciata ad Aronne, il Signore Onnipotente espresse la sua ferma condanna sull’operato di Eli, Ofni e Fineas, con queste parole (vv. 30-36):

 

“Io avevo dichiarato… Ma ora il Signore dice: «Lungi da me tale cosa!. Ecco… io troncherò il tuo braccio e quello della casa di tuo padre… Non vi sarà mai più nessun vecchio nella tua casa… Tutti i nati e cresciuti nella tua casa moriranno nel fiore degli anni… I tuoi figli, Ofni e Fineas… moriranno in uno stesso giorno!»”.

 

Chi conosce il seguito della storia, sa bene che queste terribili promesse si realizzarono pienamente: sia nell’immediato, per i figli di Eli (4:11) e subito dopo per lo stesso sommo sacerdote (v. 18), sia per quanto concerne la fine della dinastia di Eli, che si verificò in via definitiva ai tempi di Salomone (1Re 2:27, 35).

 

Una situazione in parte analoga, ma riferita ad un sovrano d’Israele anziché ad un sommo sacerdote, è quella riportata in 1Samuele 13:13-14 e concerne il fallimento del re Saul, dovuto alle sue gravi disubbidienze ai comandamenti dell’Eterno.

Ancor prima di far scoppiare definitivamente l’ira del Signore dopo il peccato che egli commise a seguito della guerra con gli Amalechiti (cap. 15), il re Saul aveva già mostrato la sua indole ribelle disubbidendo al profeta Samuele che gli aveva ordinato di aspettarlo a Ghilgal per offrire un sacrificio all’Eterno in relazione alla guerra contro i Filistei (10:8; 13:2-7). Saul, vedendo che Samuele non arrivava e che il popolo cominciava a spazientirsi e ad abbandonarlo, decise autonomamente di offrire questo sacrificio, contravvenendo all’ordine di Samuele ma anche all’ordine di Dio stesso.

Il profeta, a questo punto, disse chiaramente al re d’Israele che egli aveva agito con stoltezza (v. 13) e che, a seguito di tale suo comportamento (v. 13-14), se da un lato era vero che, secondo le sue promesse, “il Signore avrebbe stabilito il tuo regno sopra Israele per sempre…” era anche vero che, a questo punto: “…ora, invece, il tuo regno non durerà…poiché tu non hai osservato quello che il Signore ti aveva ordinato!”.

Ed effettivamente da quel giorno in poi il regno di Saul conobbe una parabola discendente che portò alla consacrazione di Davide come nuovo re d’Israele (16:12-13), a ripetute sconfitte ed a fallimenti progressivi, fino alla morte dello stesso Saul e di suo figlio Gionatan (31:4-6).

Le promesse divine di maledizione per la disobbedienza del popolo del Signore si sono protratte nella storia d’Israele fino all’epoca conclusiva della teocrazia. In Geremia 32:31-33, per esempio, l’Eterno ricorda tutti i peccati e le abominazioni commesse dal suo popolo eletto e subito dopo afferma, con grande serietà, qual era diventato il suo progetto nei riguardi della città di Gerusalemme: i peccati del suo popolo erano così gravi e ripetuti che, dice il Signore, “la voglio togliere via dalla mia presenza!”

Le successive promesse di restaurazione del popolo d’Israele, anch’esse puntualmente verificatesi nella storia dell’umanità, stanno lì a confermare la serietà delle promesse di maledizione appena esaminate. Esse, infatti, si verificarono allorché Gerusalemme fu presa dal re babilonese Nabucodonosor ed il popolo fu portato in esilio a Babilonia (39:1-10).

Davvero, è terribile cadere nelle mani dell’Iddio vivente! (Eb 10:31).

 

Passando ora al Nuovo Testamento, per noi che apparteniamo alla Chiesa di Cristo a motivo dell’opera della grazia di Dio, vi sono diverse indicazioni scritturali in materia.

In 2Corinzi 10:6, per esempio, lo Spirito Santo, tramite l’apostolo Paolo, non si rivolge solo ai credenti di Corinto del 1° secolo ma a tutti i figli di Dio di tutti i tempi, quando afferma in via generale:

 

“…siamo pronti a punire ogni disubbidienza, quando la vostra ubbidienza sarà completa”.

 

Non si tratta qui si perdere la salvezza, perché quest’ultima risiede stabilmente in Cristo e nessuno potrà toglierla a coloro che da Dio l’hanno ricevuta in dono eterno. Qui si tratta, piuttosto, dell’aspetto – più impegnativo per noi! – che concerne la nostra vita quotidiana di santificazione, purtroppo tante volte macchiata dal peccato e dalla disubbidienza ai comandamenti del nostro Signore. Questa disubbidienza non passa inosservata agli occhi dell’Eterno ed egli è pronto a perdonare, sì, se trova il nostro pentimento, ma è pronto anche a punire la ribellione, se trova l’irrigidimento del nostro collo spirituale.

Un discorso analogo va fatto per il brano di Eb 2:2-3, dove sta scritto:

 

“…se (nell’Antico Testamento) ogni trasgressione e disubbidienza ricevette una giusta retribuzione, come scamperemo noi se trascuriamo una così grande salvezza?”.

 

La nostra mente, qui, va subito alla salvezza eterna e giungiamo facilmente alla conclusione che non può scampare alle fiamme dell’inferno il credente che disubbidisce ai comandamenti di Dio. Se questa conclusione fosse corretta, oltre che semplicistica ed affrettata, nessuno di noi potrebbe vivere l’eternità con Dio perché nessuno di noi, malgrado sia stato rigenerato dallo Spirito Santo, può dire di non commette mai neppure un peccato.

La parola da sottolineare in questo brano, piuttosto, coincide con l’aggettivo “giusta” e si riferisce alla retribuzione divina che colpisce ogni trasgressione e disubbidienza umana, anche se commessa dai suoi figli. Il Signore non passa sopra le nostre iniquità, ma pure è fedele e giusto da rimetterci ogni peccato che gli confessiamo (1Gv 1:9). Se, al contrario, i suoi figli persistono impenitenti nel peccare, anch’essi riceveranno la “giusta retribuzione” da Dio, esattamente come successe ai credenti dell’Antico Testamento, e non potranno certo “scampare” da essa.

Siamo di fronte, allora, ad un ulteriore richiamo all’esame personale, unito ad un appello all’umiltà ed alla consapevolezza di essere tuttora dei peccatori bisognosi di perdono. Lo stesso apostolo Paolo parla del necessario esame che ogni credente deve fare su sé stesso, ed anche della finalità correttiva del giudizio di Dio:

 

“Ora, se esaminassimo noi stessi, non saremmo giudicati; ma quando siamo giudicati, siamo corretti dal Signore, per non essere condannati con il mondo” (1Co 11:31-32).

Davanti a Dio c’è una grande differenza (cfr. Ma 3:18) tra i suoi figli e quelli che ancora non sono diventati tali, per grazia mediate la fede. Egli vuole preservare i suoi figli e vuol essere certo che, alla fine dei tempi, il grano sarà ben distinto dalla zizzania (cfr. Mt 13:30). In questo modo, la condanna che incombe su questo mondo, destinato alla distruzione, diventa, per un figlio di Dio, “soltanto” punizione e correzione da parte di colui che vuole il nostro bene!

 

Altro e differente discorso, anch’esso presente nel Nuovo Testamento, è quello relativo alle promesse di calamità che incombono sugli increduli che rifiutano la salvezza eterna in Cristo Gesù.

In primo luogo, non potremo mai sottolineare abbastanza la potenza delle parole di Gesù:

 

“Chi crede nel Figlio ha vita eterna, ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (Gv 3:36).

 

Questa è la peggiore forma di disubbidienza alla santa volontà di Dio: il Creatore dei cieli e della terra ci ha tanto amati da mandare nel mondo il suo unigenito Figlio a soffrire e a morire per cancellare i nostri peccati, e noi… rifiutiamo questo dono d’amore? Abbiamo lo spudorato coraggio di rigettare il sangue dell’Agnello di Dio che ha tolto il peccato del mondo, cioè anche il mio e il tuo?

Davanti a quest’atteggiamento irriconoscente e denso di orgoglio, il Signore emana la sentenza peggiore che possa mai esistere: la sua ira. Fermiamoci un attimo a riflettere: la sua ira! Essa è già presente sul peccato e su tutti i peccatori, ed essa rimane come una spada di Damocle su tutti coloro che rifiutano di credere in Gesù Cristo e nella sua unica e insostituibile opera di salvezza!

L’apostolo Paolo, ispirato dallo Spirito Santo, riprende questo tema quando esclama da parte di Dio:

 

“L’ira di Dio si rivela dal Cielo contro ogni empietà e ingiustizia degli uomini, che soffocano la verità con l’ingiustizia” (Ro 1:18).

Il Signore è tre volte santo e non può stare davanti allo spettacolo dell’iniquità, per cui ogni empietà ed ogni ingiustizia sono per Lui fonte di giudizio: esso si manifesta nelle forme più disparate ma si rivela sempre dal Cielo mediante la sua terribile ira.

Non prendiamocela con Dio: siamo noi, piuttosto, che soffochiamo la verità con l’ingiustizia, e pertanto è giusto che il Signore intervenga con il suo giusto giudizio, già da ora e già da questa vita.

Naturalmente, come sappiamo dalle Sacre Scritture, i giudizi che Dio manifesta in questa terra non sono assolutamente da paragonare a quelli che mostrerà in avvenire, alla fine dei tempi, e di cui parla l’apostolo Paolo:

 

“…quando il Signore Gesù apparirà dal Cielo… in un fuoco fiammeggiante, per fare vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al Vangelo del nostro Signore Gesù” (2Te 1:7-8).

 

Il libro dell’Apocalisse, inoltre, è pieno di descrizioni dettagliate di come tale “vendetta” avrà luogo nei tempi futuri. Qui desideriamo solo evidenziare la causa motrice di tali, giusti giudizi divini: ancora una volta, la disubbidienza al volere di Dio, che in questo caso è rappresentato dal Vangelo della salvezza eterna per l’umanità peccatrice, destinata giustamente alle fiamme dell’inferno.

L’apostolo Paolo aveva già trattato questo tema:

 

“Tu… accumuli un tesoro d’ira per il giorno dell’ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio… Egli renderà… ira e indignazione a quelli che… invece di ubbidire alla verità ubbidiscono alla menzogna” (Ro 2:5-8).

 

Anche in questo caso, il discrimine è dato dall’ubbidienza alla Parola di Dio: ciascun uomo sarà chiamato in giudizio dal Signore con riferimento a ciò che ne avrà fatto del sacrificio espiatorio di Gesù Cristo, e gli verrà imputata la sua ubbidienza alla verità del Vangelo di Dio, oppure alla menzogna di Satana. Chi avrà accumulato, già da qui e già da ora, un tesoro d’ira a motivo della sua ribellione alla volontà di Dio manifestata nella Scrittura, non potrà che essere giustamente condannato dall’Eterno all’eterna punizione nelle fiamme dell’inferno. In quel giorno, l’ira e l’indignazione del Salvatore saranno grandi e terribili, ma possiamo ancora oggi scampare a questi giusti giudizi, se decidiamo ora di ubbidire alla verità del Vangelo di Dio.

A cosa e a chi crediamo qui ed ora? A cosa stiamo dedicando la nostra vita: alla verità contenuta nella Bibbia oppure alla menzogna del consumismo o di una religione che non può salvare? Siamo davvero ubbidienti a Dio oppure cerchiamo di nasconderci dietro un paravento di apparente irreprensibilità o di religiosità? La scelta è nostra e ne va della nostra eternità.

La mia preghiera è che possiamo scoprire l’amore e la potenza di Gesù Cristo e della sua Parola e, di conseguenza, dedicare tutto il resto della nostra vita ad ubbidire a lui e alla sua santa e perfetta volontà.

 

 

CONCLUSIONI

E APPLICAZIONI

 

A conclusione della ricerca che abbiamo svolto finora, desideriamo elencare qui di seguito alcune considerazioni finali ed anche alcune proposte di applicazioni pratiche in rapporto a quanto abbiamo imparato dalla Parola del Signore in relazione alla nostra ubbidienza alla sua volontà.

 

 

Conclusioni

 

Se vogliamo essere davvero ubbidenti al nostro Salvatore e Signore, potranno essere utili le seguenti direttive conclusive:

 

1. L’ubbidienza ai comandamenti di Dio è una caratteristica del cristiano che il Signore apprezza moltissimo: non si tratta di un mero optional ma di un tratto saliente dell’opera che lo Spirito Santo vuole portare avanti in ciascun figlio di Dio.

 

2. Dal momento che l’ubbidienza rappresenta una delle principali estrinsecazioni della fede e dell’amore per Dio, l’uomo non ancora rigenerato dallo Spirito Santo non potrà davvero ubbidire ai suoi comandamenti, perché non ha ancora ricevuto la natura divina.

 

3. Il figlio di Dio, invece, dal momento che – per grazia! – sperimenta la dimora dello Spirito Santo nel proprio cuore,può e, allo stesso tempo, deve ubbidire a quanto Dio ordina, ed è chiamato a farlo davvero, in diversi campi della vita individuale e sociale.

 

4. L’ubbidienza al Signore non è una dottrina astratta, ma piuttosto un aspetto pratico della vita di tutti i giorni, che va vissuto sotto la guida dello Spirito Santo, per amore di Cristo e mettendoci tutto il cuore e tutto l’impegno possibili.

 

5. Grazie a Dio, nella Bibbia troviamo luminosi esempi di uomini e donne che sono stati davvero ubbidienti al loro Signore: noi siamo chiamati ad imitarli, tenendo sempre presente, però, che il vero esempio da seguire è solo il Signore Gesù Cristo!

 

6. Dio non nasconde, nella sua Parola, quali siano le benedizioni collegate all’ubbidienza alla sua volontà, ma neppure fa mistero delle conseguenze negative legate alla disubbidienza e alla ribellione a lui: in ogni caso, non dobbiamo ubbidire per “convenienza” o pensando alle benedizioni, ma solo per amore del Signore.

 

 

Applicazioni

 

A questo punto non ci rimane altro che elencare alcune applicazioni pratiche per la nostra vita di tutti i giorni. Naturalmente, quelle che seguono non possono esaurire il campo delle applicazioni possibili, e ciascun lettore ne potrà aggiungere altre di carattere più personale:

 

1. Per i figli:

Ubbidite davvero ai vostri genitori? Lo fate sempre o solo quando ne avete voglia o vi sembra giusto? Ubbidite davvero in ogni cosa, come dice la Scrittura, o solo in ciò che ritenete più facile? Lo fate per il Signore o per far piacere agli uomini?

 

2. Per i membri battezzati di ogni chiesa locale:

Che stima e che considerazione avete voi dei vostri conduttori? Li amate davvero dell’amore di 1Corinzi 13 o siete piuttosto pronti a contestarli e a criticarli? Come reagite alle loro eventuali riprensioni: con spirito di sottomissione o di ribellione?

 

3. Per i lavoratori dipendenti:

Cosa pensate davvero, nel vostro cuore, del vostro datore di lavoro o dei vostri superiori? Gli ubbidite sempre e come se ubbidiste al Signore Gesù stesso? Oppure ubbidite solo quando vi conviene o magari per farvi vedere da lui?

 

4. Per i cittadini:

Cosa pensate, nel vostro cuore, delle autorità costituite e delle leggi vigenti? Amate davvero il Signore fino al punto di ubbidire, per amor suo, agli uomini che egli ha posto al di sopra di voi? Per esempio: pagate sempre tutte le tasse e le imposte, oppure cercate di nascondere qualche reddito? Passate sempre con il verde e non superate mai i limiti di velocità? Se disubbidite a qualche legge, è perché la ritenete ingiusta o perché ciò è chiaramente stabilito nella Parola di Dio?

 

5. Per tutti:

Abbiamo riflettuto abbastanza sulle conseguenze collegate all’ubbidienza e alla disubbidienza ai comandamenti contenuti nella Parola di Dio? Certo, esse sono diverse a seconda che siamo diventati dei figli di Dio oppure che siamo ancora fuori dalla sua Chiesa, ma meditiamo ancora su quanto sia importante, per il Signore, la nostra ubbidienza a lui… E non facciamolo perché “conviene”, altrimenti non ne avremo alcun bene: ubbidiamo a Dio, piuttosto, perché lo amiamo e vogliamo fare qualcosa che lui gradisce!