Tempo di lettura: 3 minuti

 Hanno fatto scalpore le dichiarazioni di un vescovo cattolico, esponente del movimento dei lefebvriani, secondo le quali l’Olocausto degli Ebrei ad opera del nazismo sarebbe una strategica invenzione del movimento sionista, dal momento che a morire sarebbero state non più di 300mila persone. A queste dichiarazioni hanno fatto seguito quelle di un prete di Treviso, appartenente allo stesso movimento, per il quale le camere a gas sarebbero state usate per lodevoli motivazioni igieniche. Ancor più scalpore ha fatto la notizia che il movimento dei lefebvriani è stato riaccolto in seno alla chiesa cattolica dall’attuale pontefice che, nonostante forzate ed affannose smentite, non ha molta simpatia per gli Ebrei. Per commentare certe prese di posizione ed altre analoghe si è fatto strada un termine di nuovo conio per la nostra lingua: “negazionisti”, usato per indicare coloro che negano l’evidenza storica dell’Olocausto. I negazionisti sono motivati, nelle loro convinzioni, da un marcato antisemitismo. Un antisemitismo nato dalla confusione dottrinale della chiesa cattolica che, proclamatasi come la Nuova Israele che avrebbe sostituito nel nuovo Patto il popolo dell’antico Patto, non sa come giustificare quella che, in un eloquente articolo apparso su “La Repubblica” del 29 gennaio (pagg.1, 27) il noto giornalista ebreo Gad Lerner, definisce come “la persistenza ebraica nel mondo, senza conversione”. In sostanza la teologia della sostituzione (la Chiesa che soppianta totalmente Israele), purtroppo fatta propria anche da alcune realtà riformate, per essere credibile avrebbe dovuto essere sorretta dalla scomparsa di Israele come realtà etnica e politica. Per questo motivo – ricorda Gad Lerner – la chiesa cattolica “ha vissuto la nascita dello Stato d’Israele come evento sospetto, se non malefico (…) e non può che rifiutare l’attribuzione di un significato provvidenziale al ritorno degli Ebrei nella Terra Promessa”. Tutto il contrario di come hanno vissuto e vivono quest’evento coloro che, affidandosi al Magistero divino della Parola di Dio e non a quello umano di una “chiesa”, sanno bene che la Chiesa non è la soppiantatrice di Israele, cui il Signore riserva un futuro di gloria e spirituale e politica (Ro 11); la Chiesa non è il regno di Dio visibile sulla terra qui ed ora, ma è realtà spirituale che vede uniti “ebrei e stranieri” che hanno riconosciuto in Gesù di Nazareth il Cristo annunciato e promesso dai profeti. Questa chiesa si rende visibile attraverso le vite trasformate dei suoi menbri e non attraverso le strutture tipiche dei regni di questo mondo, e attende la venuta del Regno. 

    Ci sono, per questo, altre forme di negazionismo che devono fortemente preoccupare, ma delle quali non si parlerà mai nei media. “Negazionisti” sono infatti anche coloro che, nel corso dei secoli, hanno auspicato la scomparsa di Israele (spesso dandosi concretamente da fare per realizzarla!!), negando la realtà secondo la quale nei confronti di questo popolo “i carismi e la vocazione di Dio sono irrevocabili” (Ro 11:29). Ma c’è, d’altro canto, anche il negazionismo che faceva provare a Paolo, “ebreo figlio di Ebrei”, “una grande tristezza ed una sofferenza continua nel suo cuore” (Ro 9:2). È il negazionismo espresso da tanti suoi “parenti secondo la carne” non riconoscendo che Gesù è “il Cristo, che è sopra tutte le cose Dio benedetto in eterno” (Ro 9:5). Scandalizziamoci per i negazionisti che disconoscono le tragedie e la persistenza storica del popolo di Israele, ma continuiamo a soffrire con Paolo e come Paolo per i tanti negazionisti di Gesù come Cristo che vi sono fra gli Ebrei (e non solo fra loro!). 
“Chi è il bugiardo se non colui che nega che Gesù è il Cristo? Egli è l’anticristo che nega il Padre e il Figlio. Chiunque nega il Figlio non ha neppure il Padre; chi riconosce pubblicamente il Figlio, ha anche il Padre” (1Gv 2:22-23): è di questi negazionisti che dobbiamo soprattutto preoccuparci. Per loro dobbiamo testimoniare e pregare.