Fra le onde sempre più agitate (e confuse!) delle ideologie e delle religioni, si sta muovendo con crescente impatto mediatico la barca di chi auspica una maggiore diffusione e conoscenza della Bibbia. Su questa barca naviga chi da tempo auspica, riconoscendone l’alto valore culturale e storico, un inserimento della Bibbia nei programmi scolastici, alla pari con l’Iliade, l’Odissea e la Divina Commedia. Su questa barca sono recentemente saliti con gran clamore i promotori della maratona televisiva che ha visto alcune centinaia di lettori, personaggi famosi e gente comune, alternarsi nella lettura “giorno e notte” di tutto il testo biblico (compresi ovviamente i libri apocrifi) per un’intera settimana. Su questa barca sono saliti i vescovi italiani che, al termine del loro ultimo Sinodo, hanno progettato “di portare la Bibbia nella società” sfruttando i più moderni strumenti di comunicazione (internet, Ipod e dvd).
Abbiamo visto salire su questa barca anche noti esponenti del mondo protestante ed evangelico, attratti dalla sirena della visibilità. È ovvio che non possiamo che rallegrarci davanti al fatto che la Bibbia viene liberamente diffusa: non soltanto pensando ai tempi in cui ne veniva esplicitamente proibita la lettura, ma soprattutto perché siamo convinti che soltanto la sua lettura ed il suo ascolto possono portare i cuori onesti e sinceri alla fede che salva.
Ma, al di là della convinzione che la Bibbia in quanto Parola di Dio, può portare frutto indipendentemente dalla barca sulla quale è trasportata, dobbiamo segnalare che in questa barca due falle restano drammaticamente aperte. Entrambe pongono dei limiti all’autorità delle Scritture: limiti che non possiamo e non dobbiamo nascondere e non denunciare.
Una falla è rappresentata dalla convinzione, persistente nella dottrina cattolica, che la Bibbia debba essere sottoposta al magistero della chiesa. Chi ha avuto la possibilità di seguire l’inizio della maratona televisiva “La Bibbia giorno e notte” avrà visto che il papa ha letto per primo, ma in diretta video, non mescolandosi cioè alla folla degli altri lettori, e, appena conclusa la sua lettura, è andato platealmente a sedersi sul suo trono con gli occhi che bucavano lo schermo quasi a dire: “Leggete pure la Bibbia ma è con il mio magistero che dovrete fare i conti”. Questa falla, che si è andata sempre più allargando nel corso della storia, ha portato la chiesa cattolica a considerare la parola degli uomini come “parola di Dio” e questo è il valore che è stato dato in realtà alle tradizioni, ai dogmi, alle encicliche: a tutti quegli atti ai quali si è voluta attribuire normatività “divina”. Solo il giudizio di Dio potrà quantificare i danni eterni prodotti attraverso questa falla da parte di chi ha sovrapposto (e continua a sovrapporre!) la parola degli uomini alla sua Parola, dandole pari dignità e autorità!
L’altra falla, di segno opposto ma di pari gravità, è rappresentata da chi vede la Bibbia come un libro di fondamentale importanza nella formazione dell’identità culturale, sociale e religiosa dell’Occidente, ma lo pone sullo stesso piano dei poemi e delle opere letterarie umane: la Parola di Dio viene considerata niente più e niente meno che parola di uomini. Purtroppo tanta teologia protestante ha fatto la sua parte nell’allargare questa falla, disconoscendo l’ispirazione divina, l’autorità, l’infallibilità e l’inerranza di tutte le Scritture e sottoponendole ad un magistero altrettanto pernicioso: quello della critica filosofica e teologica.
L’apostolo Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi (1Te 2:13), ricorda quale condizione deve realizzarsi perché “la parola della predicazione di Dio” possa operare “efficacemente”. La condizione è che essa sia accettata “non come parola di uomini, ma, quale essa è veramente, come Parola di Dio”. E ricorda anche che questa Parola“non è incatenata” (2Ti 2:9): nessuno può e deve legarla alle catene del suo magistero ecclesiastico o teologico.