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Tre notizie di cronaca mi hanno colpito in questi giorni e mi hanno incoraggiato, collegandole fra di loro pur se riferentesi a fatti assai diversi e distanti fra loro, ad una riflessione sui contenuti che la nostra testimonianza dell’Evangelo deve avere per l’uomo di oggi. 
    Un biologo tedesco avrebbe scoperto un gene che spingerebbe gli uomini in particolare, ma pare anche le donne, all’adulterio. La conclusione alla quale sono arrivati alcuni giornalisti nel riferire “la scoperta” è che quindi gli adùlteri non possono essere ritenuti responsabili dei loro tradimenti perché le loro scelte sono “irresistibilmente” guidate dal loro DNA. 
    Nella “chiesa” parrocchiale a non più di quattrocento metri da casa mia sono stati celebrati nei primi giorni di settembre i funerali di un giovane ragazzo, suicida dopo aver ucciso la fidanzata. Posso comprendere e giustificare il desiderio di dare consolazione ad una famiglia tremendamente provata, ma nei manifesti e nei discorsi si è omesso di ricordare l’estrema gravità delle sue azioni che lo hanno portato prima a togliere la vita alla fidanzata poi a toglierla a sé stesso. Si potrebbe aprire qui una facile ma inutile polemica sul fatto che l’organizzazione religiosa che ha concesso “gli onori del proprio tempio” ad un omicida-suicida, è la stessa che li ha con gran clamore mediatico rifiutati a Pier Giorgio Welby, che due anni fa aveva chiesto di staccare le macchine che lo tenevano in vita. 
    Nell’ultima settimana di agosto si è concluso a Torre Pellice il sinodo della chiesa valdese, con l’approvazione di un ordine del giorno sull’omosessualità che ribadisce “una piena accettazione delle persone omosessuali nelle chiese valdesi e metodiste” e questo perché “l’Evangelo non è paura, anzi la dissipa. L’Evangelo è accoglienza”. 
    Ringraziamo il Signore perché, al di là delle opinabili “scoperte” di un biologo, delle scelte discriminatorie e di convenienza della chiesa cattolica e delle indicazioni di percorso della chiesa valdese, rimane ferma, inerrante, indiscutibile la sua Parola: “Non vi illudete; né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né oltraggiatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi, ma siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito del nostro Dio” (1Co 6:9-10). 
    L’Evangelo è prima di tutto denuncia del peccato dell’uomo. Le prime parole uscite dalla bocca di Gesù sono state: “Ravvedetevi e credete al Vangelo” (Mr 1:15). L’invito al ravvedimento è invito a riconoscere la propria condizione di peccato e le responsabilità che ne conseguono davanti alla giustizia di Dio. L’invito a credere al Vangelo è invito a riconoscere che vi è “una potenza” che Dio mette a disposizione dell’uomo per modificare questa condizione, attraverso una trasformazione talmente radicale da essere paragonata da Gesù ad una “nuova nascita”. Cristo accoglie i peccatori, ma non per lasciarli così come sono: li accoglie per trasformarli! È certamente vero che “l’Evangelo è accoglienza”, ma non solo questo! Alcuni abitanti di Corinto hanno conosciuto l’accoglienza dell’Evangelo, ma non sono rimasti come erano, perché sono stati lavati, santificati, giustificati! 
    Nella società di oggi, anche nella sua componente religiosa, si tende a giustificare l’adulterio, l’omicidio, il suicidio, l’omosessualità così come ogni altra forma di peccato. Questo è, dal tempo di Adamo, il progetto dell’uomo: nascondersi, mascherarsi, giustificarsi, chiamare in causa la responsabilità degli altri. Ma noi siamo chiamati a vivere il progetto di Dio e ad esserne testimoni: questo progetto ci chiama a confessare le nostre trasgressioni per ricevere il perdono e per conoscere la trasformazione di una vita “lavata” e “santificata”.