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Introduzione

 

Viviamo in un’epoca che si autodefinisce impegnata nel sociale. Tutto viene programmato per la massa, dai generi di consumo alle idee politiche e religiose: ognuno pare cercare il consenso del vicino in ogni cosa che fa, compreso perfino il modo di vestire. Ma questa nostra società, malgrado le apparenze, a un’analisi meno superficiale, risulta composta da individui che in realtà hanno perso la capacità di stare insieme, di collaborare, di essere solidali fra loro. Sembra addirittura che una forza invisibile comprima l’individuo all’interno delle pareti domestiche, lo renda incapace di interessarsi ad altro che a sé stesso e al massimo alla propria famiglia o che lo sprofondi addirittura nella solitudine e nella abulia.

 

Dobbiamo riconoscere che questo clima di disinteresse per gli altri ha varcato anche i confini delle nostre comunità cristiane, portandovi noia, opportunismo e disinteresse totale fra i fratelli in fede, anche per quello che è seduto accanto a noi durante il culto, tanto per fare un esempio. Per poco che ci riflettiamo sopra, ci rendiamo infatti conto che ignoriamo tutto di lui: se lavora o se è disoccupato, se sta bene o è malato, se ha problemi, se sta attraversando momenti di crisi… Eppure Gesù parla chiaro:

“Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13:55).

Spesso basta la minima mancanza, il minimo errore commesso da un fratello in fede per scatenare le critiche più spietate degli altri. Ma colui a cui ci rivolgiamo in preghiera chiamandolo “Signore”, da quasi duemila anni, ci ripete:

“Amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi” (Gv 15:12).

 

“Non ingannate voi stessi quando mi chiamate: «Signore, Signore!» e non fate quello che vi dico” (Lu 6:46).

Senza dubbio infatti l’abuso della Parola Signore le ha fatto perdere molto del suo significato ai nostri occhi. Ma, quando la pronunciamo, bisogna che la nostra vita, i nostri atti e le nostre parole siano concordi con la sua volontà altrimenti invocarlo non ha senso.

 

 

Essere cristiani

 

La chiesa così come l’ha voluta Cristo è una comunità di rigenerati, cioè di uomini e donne che hanno consapevolmente risposto alla sua chiamata e hanno deciso di impostare la loro vita seguendo gli insegnamenti del vangelo. I credenti di una comunità cristiana devono quindi interessarsi l’uno all’altro, portare i pesi uno dell’altro (Ga 6:2), amarsi come Cristo li ha amati tutti quanti.

Se questo non si realizza vuol dire che nella comunità ognuno si costruisce il proprio “cristo” personale da pregare e adorare a ore e giorni fissi e che si pensa e si agisce come tutti gli altri, mirando, nel migliore dei casi, a evitare seccature, da qualsiasi parte provengano.

 

“Se uno dice: «Io amo Dio e odia suo fratello» è bugiardo perché chi non ama suo fratello che non ha veduto non può amare Dio che non ha veduto” (1Gv 4:20).

 

Solo quando avremo scoperto la benedizione di stare insieme nel nome di Cristo cioè l’amore per il nostro prossimo, potremo accogliere l’invito di Gesù:

“Andate per tutto il mondo e predicate l’evangelo a ogni creatura” (Mr 16:15).

 

 

Fare e insegnare

 

Nel giusto ordine, prima viene il fare e dopo l’insegnare. L’uomo però in genere fa esattamente il contrario e da questo errore deriva l’ipocrisia. Gli scribi e i farisei per esempio avevano una buona conoscenza biblica, che era però limitata al piano intellettuale: non la mettevano in pratica. Dicevano e non facevano insomma (Mt 23:3).

 

La Scrittura parla di fare e insegnare soltanto due volte.

Lo fa la prima volta con le parole pronunciate da Gesù nel sermone sul monte:

“Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini sarà chiamato minimo nel regno dei cieli. Ma chi fa e insegna sarà chiamato grande nel regno dei cieli (Mt 5:19).

 

Lo fa per la seconda volta all’inizio del libro degli Atti:

“Nel mio primo libro parlai di tutto quel che Gesù prese a fare e a insegnare (At 1:1).

 

Non a caso il libro non si intitola “Ammaestramenti degli apostoli” ma “Atti degli apostoli”Gesù prima fece poi insegnò.

La sua vita fu la messa in pratica dei suoi stessi insegnamenti. Egli era ciò che diceva.

Infatti:

“Ammaestrava come avente autorità e non come gli scribi” (Mr 1:22).

 

Anche noi quindi dobbiamo prima vivere imitando più possibile la realtà della vita di Gesù per poter poi dimostrare agli altri la realtà dei suoi insegnamenti. Le anime sinceramente interessate a seguire Gesù sono stanche di prediche e di chiacchiere: vogliono vederne la manifestazione pratica.

 

 

L’amore

 

La religione che Gesù ci ha insegnato è quella dell’amore. Dio stesso è amore. Gesù ha incarnato l’amore di Dio per gli uomini.

L’amore non deve sottostare a nessuna condizione: è sovrano, non conosce ostacoli, deve riempire ogni angolo della vita di ogni cristiano.

 

“Se uno ti percuote sulla guancia destra por-
gigli anche l’altra; e a chi vuol litigare con te e toglierti la tunica lasciagli anche il mantello” 
(Mt 5: 39-40).

 

La parola “nemico” deve scomparire dal vocabolario dei discepoli di Gesù.

Però non nascondiamoci che non è affatto facile amare, dato che i fratelli in fede non sono sempre amabili.

Spesso si comportano con asprezza, oppure noi li vediamo come nullità oppure come persone distratte, noncuranti, ingiuste.

Il fatto è però che di tutte queste caratteristiche non dobbiamo tenere affatto conto:

“Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13:34).

 

Dobbiamo amarci, anche se qualche volta sembra impossibile riuscire a farlo.

Amarsi è facile quando tutto scorre liscio, quando gli interessi collimano e si va d’accordo. Ma a volte amarsi racchiude in sé una componente molto dolorosa, come quando fra fratelli in fede si rompe il legame di simpatia, o per un’offesa, o per una azione che ci danneggia o calpesta la nostra reputazione, il nostro onore, il nostro diritto.

 

L’amore però si deve manifestare sempre e comunque col perdono e con la comprensione: sappiamo bene quanto sia difficile perdonare e comprendere gli altri, ma se non lo facciamo vuol dire che il nostro amore per gli altri non è che il tintinnare di un cembalo e il risuonare di uno strumento di rame (1Co 13:1).

La motivazione dell’amor fraterno non è più soltanto l’utilità, la gioia che ci può dare, ma l’invito di Dio, che ama noi dello stesso amore.

 

Il nostro amore verso i fratelli passa attraverso Dio, e in Lui trova la sua ragion d’essere.

Anche se il fratello con cui abbiamo a che fare fosse indegno, ostile verso di noi, magari ingiustamente, nessuna sua colpa potrà mai far sgretolare quel vincolo di fratellanza con noi. Gesù ha dato la sua vita anche per lui!

Se non perdona, non è amore ma odio, e l’odio non si ricorda nemmeno del perdono di Dio per il quale si è stati salvati. Il Signore è duro verso chi non perdona, verso chi non ama:

 

“«Malvagio servitore, io ti ho rimesso tutto quel debito perché tu me ne supplicasti. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo come ebbi anch’io pietà di te?» E il suo Signore adirato lo diede in mano degli aguzzini finché non avesse pagato tutto quanto gli doveva. Così vi farà anche il Padre mio celeste se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello (Mt 18:32-35).

 

Dobbiamo amare anche i nostri nemici (Mt 5:44). Amare i fratelli appare quindi abbondantemente scontato (1Gv 4:20; 1P 1:22).

Dobbiamo cercare di amare anche coloro che non ci amano! Facciamolo… e non a parole, ma coi fatti, nella vita di ogni giorno, facciamolo anche con la persona che ci ha fatto più male di tutte le altre, che ci ha magari calunniato, ingannato, o insultato senza motivo: amiamola!

 

Amiamo anche coloro che non vogliono aver comunione con noi, che parlano male di noi. Non basta tollerarli, dobbiamo amarli, amarli ed essere quindi pronti ad aiutarli in ogni momento, facendo loro un dono, dando loro il nostro apprezzamento con le parole e anche coi fatti.

Dopo quella di Gerusalemme una della prime chiese locali fu la chiesa di Roma, che nacque quasi certamente prima della conversione di Paolo, quando era ancora un persecutore dei cristiani.

In questo modo Dio voleva dimostrare di amare coloro che avevano piantato i chiodi nelle mani di Gesù e proprio per questo in quella città fu stabilita una delle prime testimonianze cristiane.

 

La misura del nostro amore per gli altri, amici o nemici che siano, non deve avere limiti.

Oggi la Chiesa è debole proprio perché molti non ubbidiscono all’invito ad amare tutti.

La mancanza di amore nelle chiese porta divisioni, causa gravi perdite, rende la vita della chiesa sterile e ci mette allo stesso livello dei pagani.

In genere si ama chi ci somiglia, ma i figli di Dio amano coloro che non somigliano a loro, che non li amano.

 

Consideriamo quindi questo invito all’amore con la più grande serietà e promettiamo a noi stessi e a Dio di metterci a posto spiritualmente, psicologicamente e praticamente, e chiediamogli di renderci più saggi e di mostrarci in che modo possiamo amare concretamente gli altri, specialmente coloro che non ci amano.

 

Se ameremo tutti incondizionatamente e se apriremo loro il nostro cuore, Dio ci farà “vedere cose meravigliose” (Mi 7:15).